Angelo Gaja compie ottant’anni. Non glie li dai di certo: Angelo è un eterno giovane, e degli anni della sua giovinezza ha mantenuto tutto. Lo spirito critico, la voglia di battere sentieri nuovi, di sperimentare, il piacere di andare, spesso, controcorrente, semplicemente infischiandosene. Per quelli della mia generazione (ahimè, siamo ormai sessantenni!) è un maestro indiscusso, è il personaggio che ci ha iniziato ai grandi vini e ci ha fatto capire che esisteva un’altra Italia del vino, che era giusto mettere in discussione la tradizione e guardare con curiosità fuori dei patrii confini. La mia (forse la nostra) epifania è stata l’uscita dei suoi formidabili Barbaresco 1982 nella seconda metà del decennio Ottanta, seguita subito dopo dallo Chardonnay Gaja & Rey e dal Darmagi ’85, nientemeno che un Cabernet Sauvignon in terra di Langa, ai tempi roba da scomunica e interdizione dai pubblici uffici… Vini monumentali, diversi, indimenticabili.
Da quegli assaggi ci siamo lanciati avidamente alla scoperta retrospettiva dei suoi grandi Barbaresco (ma anche di quelli del papà, Giovanni), e abbiamo allargato i nostri orizzonti, che erano ristretti all’Italia e alle poche bottiglie francesi disponibili (o forse alle poche che all’epoca potevamo permetterci) fino a comprendere California, Australia, Nuova Zelanda e ogni terra dove fosse possibile vinificare uva di qualità… Per questo amiamo chiamarlo Maestro: ci ha insegnato moltissimo, soprattutto che non esistono dogmi, e che ogni teoria può e deve essere messa in discussione. Il bello è che continua imperterrito a farlo, con l’aria divertita di chi ha girato il mondo e visto tutto e non si è ancora stancato di farlo. Ha sempre la sua da dire, consigli da dare e strigliate fare. Avanti così, Angelo. Abbiamo un grande bisogno di gente capace di pensare “out of the box” come te. Auguri e lunga vita, Maestro!
a cura di Marco Sabellico