Una sola uva, tre Docg e la volontà di distinguersi nettamente dal Prosecco, conquistando nuovi consumatori. Dopo Canelli, è stata Roma a ospitare la tappa del lancio della campagna di comunicazione promossa dal Consorzio dell'Asti. Campagna che si protrarrà fino a metà 2018 e che, per il solo 2017, ha previsto un budget totale di circa un milione di euro. Rivolta principalmente al segmento Millennials, considerati nel mondo la generazione chiave per il consumo di vino, punta a far parlare nuovamente di Asti, a recuperare il terreno perduto e a fare da stimolo per l'economia di un territorio che conta 3.700 aziende viticole, suddivise in 52 comuni tra Asti, Alessandria e Cuneo. "L'Asti secco ci darà prospettive importanti ma non vogliamo copiare nessuno", ha detto a Canelli l'assessore all'Agricoltura della Regione Piemonte, Giorgio Ferrero, ribadendo l'importanza di marcare le differenze con le bollicine del Nord-Est, allontanando gli scetticismi sulla nuova e neonata versione spumante. Con l'Asti secco, il consorzio presieduto da Romano Dogliotti ha ora a disposizione un tridente di tutto rispetto con cui tentare di far risalire il livello dei volumi lasciati sul campo negli ultimi cinque-sei anni: "Completiamo la gamma portando nel mondo degli spumanti qualcosa che non c'era", ha riferito il presidente durante la conferenza stampa a Roma.
Gli anni difficili della Docg
A questa Docg, estesa su 9.560 ettari a tutela Unesco, mancano all'appello circa 20 milioni di bottiglie, che pesano e non poco se raffrontate al celebratissimo record dei 107 milioni di bottiglie raggiunto nel 2011. Da lì in avanti, ci sono stati momenti difficili, con ripetuti segni meno davanti alla casella delle vendite verso mercati chiave, dovuta a una concomitanza di cause: il calo mondiale e generalizzato del consumo di vini dolci, la crisi del rublo e il crollo dell'export in Russia, la forte diminuzione delle vendite in Germania (prima destinazione per l'Asti dolce). Sono stati anni in cui abbiamo assistito ad accese polemiche in seno alla filiera tra la parte agricola e la parte industriale, sulle cause di una crisi che si è rivelata particolarmente acuta proprio nel momento in cui la spumantistica si stava rapidamente espandendo, guidata dal boom del Prosecco veneto e friulano. Una congiuntura sfavorevole che ha lasciato a Dop storiche, come Asti e Moscato d'Asti, l'amaro in bocca per un treno che non le ha incluse tra quelle vincenti.
I numeri lo dimostrano, come spiega il direttore del consorzio, Giorgio Bosticco: "Dieci anni fa si consumavano 100 milioni di bottiglie di spumante in Italia; di questi, circa 40 milioni erano dolci. Oggi, il mercato degli spumanti è cresciuto a 120 milioni, ma i vini dolci sono scesi a quota 23/25 milioni". Iniziative in giro per l'Italia come "Asti Hour" tra 2013 e 2015 oppure come "Lady Asti" in Cina, nel 2014, non sono riuscite a risollevarne a pieno le sorti.
La versione secca e gli allarmi del Prosecco
Questa considerazione ha spinto consorzio e produttori a tentare la carta della versione secca. Se ne parlò dapprima nel 2014, mentre nel 2015 sono state avviate le prime sperimentazioni in cantina. La modifica al disciplinare di produzione decisa nel 2016 è passata indenne in Comitato vini del Mipaaf e il decreto di etichettatura provvisoria è in vigore dagli inizi di agosto 2017. Il testo, in particolare, ha regolamentato l'uso in etichetta del termine "secco", che aveva in un primo momento allarmato il Sistema Prosecco su un possibile tentativo di usurpazione del marchio Dop. Pericolo scampato, anche se il dialogo Piemonte-Veneto non è stato dei migliori. Nel frattempo, sembra essersi fermata l'emorragia che ha colpito l'Asti dolce. Gli anni più duri come 2014 e 2015 sono alle spalle; e se il 2016 ha contenuto le perdite, il 2017 è finora stabile, mentre prosegue il buon momento del Moscato d'Asti, con vendite a volume a +10%.
La nuova versione punta a bar e giovani
L'Asti secco è un prodotto nuovo che, pur derivando dalle stesse uve (Moscato bianco), è diverso sia dall'Asti dolce sia dal Moscato d'Asti. È spumantizzato col metodo Martinotti e la tecnica messa a punto dal laboratorio di ricerca del consorzio di tutela ha consentito, da un punto di vista enologico, di eliminare il fastidioso retrogusto amaro, caratteristico delle uve Moscato portate a completa fermentazione. Risolto il problema, e fatte le dovute prove in cantina, l'Asti secco oggi è pronto a strizzare l'occhio alle giovani generazioni. La campagna comunicativa, affidata all'agenzia torinese Hub09, punta sul concetto di convivialità e sulla freschezza del messaggio, restituendo un'immagine moderna di questa bollicina. Il progetto strategico ruota attorno alla filosofia del "rural glam", slogan che intende veicolare insieme l'unicità di questo territorio e il fascino dell'eleganza e della sensualità.
"Oggi, chi consuma i nostri prodotti ha una certa età" ha osservato Gianni Marzagalli, manager di Campari, vice presidente del consorzio e rappresentante in cda delle case spumantiere "ma sono convinto che, grazie ai programmi a lungo termine che abbiamo messo in campo, riusciremo a riconquistare quella fascia più giovane. Sono uno strenuo sostenitore di questo prodotto nei consumi del bar, dove l'Asti non è mai entrato". L'obiettivo è certamente guadagnare spazi di mercato, come sottolinea il direttore Bosticco a Tre Bicchieri, facendo diventare l'Asti secco "lo spumante di qualità per l'aperitivo nelle nostre realtà di mescita".
I numeri dell'Asti secco
L'esordio dell'Asti secco è prudente. Il potenziale è di una ventina di milioni, ma per il 2017 la stima è di 600-700 mila bottiglie, che appaiono poche (meno dell'1% del totale prodotto), considerando l'enorme potenziale produttivo di un territorio che, nel 2016 (dati consortili), si è suddiviso tra i 53,6 milioni di bottiglie dell'Asti e i 31,6 milioni del Moscato d'Asti, con una propensione all'export dell'85%. "Vogliamo crescere gradualmente, non c'è l'ambizione di fare centinaia di milioni di bottiglie, e lo vogliamo fare a un prezzo consono", sottolinea Bosticco. Oggi, la forbice di prezzo dell'Asti secco proposto in grande distribuzione è compresa tra 6,49 e 6,99 euro a bottiglia; mentre in enoteca tra 8 e 8,5 euro.
Le aziende produttrici e l'ipotesi metodo Classico
Sedici i marchi che lo hanno etichettato: Araldica Castelvero, Arione, Matteo Soria, Bosca, Bosio, Cantina Tre Secoli, Cascina Fonda, Cuvage, Duchessa Lia, Fontanafredda, Sant'Orsola (Fratelli Martini Secondo Luigi), Tosti, Manfredi Aldo & C., Santero, Sarotto e Toso. I player più grandi stanno per ora alla finestra: il gruppo Campari e il gruppo Bacardi-Martini (prima azienda a volumi sull'Asti dolce) non sono ancora scesi in campo. Entrambi, va ricordato, da anni producono Prosecco Doc, in deroga al disciplinare.
Allargare la platea dei produttori risulta quantomai necessario ed è tra i primi obiettivi del consorzio, che quest'anno festeggia gli 85 anni. Tuttavia, il metodo Martinotti implica la dotazione di autoclavi per la presa di spuma e per le imprese più piccole lanciarsi nell'Asti secco significherebbe impegnarsi in un investimento costoso, senza un sicuro ritorno economico. Ma il cda guidato da Dogliotti, che nella sua azienda (Caudrina) per ora non produce la versione secca, ha già pronta la contromossa: un'ulteriore modifica al disciplinare, da portare a casa entro il 2018, che preveda, accanto al metodo Martinotti, anche il metodo classico
Il parere delle associazioni
I sindacati agricoli confidano in questa nuova avventura. Luca Brondelli di Brondello (Confagricoltura Alessandria) si dice ottimista: "Abbiamo in mano un prodotto concorrenziale su cui molte cantine hanno voglia di credere. Bisognerà sicuramente vedere come il territorio accoglierà questo Asti secco. E proprio sul territorio si dovrà concentrare il lavoro di comunicazione. Se i bar serviranno l'Asti secco invece che il Prosecco avremo fatto un passo avanti". Toni critici, invece, da un'altra grande associazione, la Produttori Moscato d'Asti, che conta oltre 3 mila soci. Il presidente Giovanni Satragno parla di "responsabilità morali" della governance consortile in questi anni e rimarca come il progetto relativo al fondo per la promozione sulla Docg sia ancora fermo al palo: "L'Asti ha bisogno di comunicare. Noi abbiamo creduto in questo progetto del secco, ma ci sarebbe voluta una campagna televisiva. Ricordo che oggi" sottolinea Satragno "la resa per ettaro a moscato è di circa 8.700 euro. In pratica, siamo sotto la soglia di sopravvivenza. E in un'annata come questa (-30% di raccolta uve: ndr) con un prezzo suggerito a 107 euro a quintale tutto si fa più difficile".
Ecco come si muovono le cantine
Quanto ci credono, invece, le cantine che finora fanno Asti secco? Fontanafredda, l'azienda di Serralunga d'Alba che produce anche Asti Docg, in seno al consorzio ha spinto molto per far nascere una moderna versione dell'Asti, proponendola in due tipologie diverse a seconda dei canali off trade e on trade. Come riferisce il manager Roberto Bruno, la produzione iniziale si aggira intorno a 120 mila bottiglie: "Siamo solo agli inizi del percorso. I primi riscontri a livello distributivo, dopo un mese e mezzo, sono positivi. Da un punto di vista qualitativo, abbiamo raggiunto buoni livelli, ma ci sono sensibili margini di miglioramento. L'Asti sarà l'unica bollicina al mondo a poter essere proposta nella versione dolce e in quella secca". Uno dei marchi particolarmente attivi è Duchessa Lia, brand di Cantine Capetta (16 milioni di bottiglie annue): "Prevediamo di imbottigliare 250 mila unità di Asti secco nel 2017" afferma il presidente Riccardo Capetta "abbiamo lavorato molto sull'eleganza del packaging e ritengo sia un prodotto interessante, che sta già ottenendo un buon riscontro nel pubblico femminile. E un certo interesse è dimostrato anche sul territorio sia tra i bar sia tra i ristoranti. Naturalmente, per non generare confusione con l'Asti dolce, occorrerà una giusta informazione e un corretto posizionamento a scaffale". Sulla versione secca si stanno muovendo anche importanti cooperative, come la Tre Secoli di Mombaruzzo (400 soci e altrettanti ettari a moscato): "Più etichette saranno sul mercato, più si creerà interesse verso questa nuova Docg", afferma il direttore Elio Pescarmona, ricordando, da un lato, come la crisi dell'Asti abbia sicuramente "sveltito il processo di rinnovamento", dall'altro, come l'esistenza di un "Asti asciutto" testimoni un precedente simile e soprattutto decennale: "In ogni modo, spero che l'Asti secco possa rinvigorire l'orgoglio dei produttori di essere padroni del loro territorio".
Progetti di comunicazione
Ma il Consorzio dell'Asti non si ferma e ha pronte diverse altre carte da giocare. Innanzitutto, ha coinvolto i venti chef stellati piemontesi che per le festività brinderanno nei loro ristoranti con l'Asti Docg. E ha annunciato il progetto la Dolce Valle, che a marzo 2018 sancirà l'alleanza tra Asti e Alba, con un programma di eventi che metteranno assieme la parte dolce del Piemonte. Si tratta di un patto tra Asti e Alba per valorizzare, in chiave turistica, le eccellenze del territorio: nocciole, torrone, cioccolato, miele, vini dolci, il distretto del panettone di Fossano. L'appuntamento è per gli ultimi due fine settimana di marzo 2018 con eventi che coinvolgeranno aziende, produzioni del territorio e consumatori.
a cura di Gianluca Atzeni
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 23 novembre
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