I prodromi li avevano posti nel 2008, con un assaggio-sondaggio fatto a scaglioni in casa Cliquot per avere un primo feedback da una serie programmata e selezionata di giornalisti e degustatori opinion leader divisi in mini task force. Poi, nel 2010, il primo splash down ufficiale, varato in concorso con i solenni festeggiamenti per il duecentesimo anniversario del primo millesimato creato in Champagne (1810, appunto) proprio nella maison della Vedova più famosa al mondo. A gestire l’operazione, Dominique Demarville, lo chef de cave prima affiancato e poi subentrato in toto a Jacques Péters, lo storico maker e plenipotenziario di chez la Veuve. Chiaro che nella cave in cui è nato il primo millesimo della storia sciampagnotta si celi un autentico tesoro di profondità e di quantità di annate rispetto a molte altre maison. Ed era altrettanto chiaro che di quel forziere fantastico mr. Péters fosse custode (e maieuta per una buona fetta) abilissimo e fedelissimo, ma anche… geloso.
Con Demarville in sella, altro giro, altra politica. Anche perché i tempi erano maturi. E il messaggio che arrivava (e arriva) dal mercato è che anche per i grandi vini con le bolle la patente di vera noblesse si conquista – come per tutti gli altri – dimostrando al mondo degli intenditori longevità, complessità crescente, vita: in una parola, la capacità di evoluzione lunga e positiva nel tempo. Ecco allora l’idea di Cave Privée. Estendere alla Veuve (che persino più di altri in fondo, come si diceva prima, ha materia e diritto per entrare nel gioco) la dinamica della Oenotheque: collezioni ragionate di millesimi a rilascio tardivo che diventano un mondo parallelo a quello normale della maison. L’uscita molto dopo la vendemmia (tra i 15 e i 30 anni dopo) di vini importanti per nobiltà d’annata, o perché capaci di ribaltarne in corso d’opera il giudizio magari non eccelso dato a suo tempo con una parabola vitale di grande interesse. Per tutti, naturalmente, si tratta di dégorgement tardif, cioè di vini sboccati per la nuova vita. E non di bottiglie già sboccate e dosate all’epoca del primo release. Al primo giro vennero scelte il 1990 Vintage; il 1989 Vintage Rosé; il 1980 Vintage; il 1978 e il 1975 Vintage Rosé, con singole disponibilità estremamente divaricate (dalle oltre 20mila e oltre 15mila bottiglie rispettivamente per 1989 e il ’90 alle 2.000 e poco più di mille per i millesimi storici e più anziani).
Ora, quattro anni dopo, eccoci al secondo giro. Quattro eminenze, disponibili nei tre formati a salire (bottiglia, magnum, Jeroboam). Un’altra volta il Signor ’90, ma in abito rosa stavolta, come pure il 1979. Scelta inversa per l’89, che stavolta è il Vintage d’oro vestito. E, a completare il quadro, un big come l’82 Vintage. Come sono? Di seguito le schede. Qui solo il giudizio medio: altissimo.
Veve Cliquot Cave Privée Rosé 1990
Il 1990 è il 1990. Non è un caso che il primo giro della Cave Privée in casa della Vedova fosse stato inaugurato con il ’90 versione oro (lì segnata da una cornucopia di miele e più scuri aromi di spugnola e di noisette), sapendo che con un’annata così non si può sbagliare, e si metton tutti d’accordo. Questo due terzi Pinot Noir-Chardonnay un terzo, dai riflessi ramati, il naso di frutta e spezia, lo sfondo più scuro con note jodate e di legno di liquirizia, è altrettanto buono. Non ci sono maschere di liqueur a velare la beva (come in tutti i “promossi” alla Cave il dosaggio è accortamente tenuto giù) e la vinosità se ne esalta. Da cibo, sì. Ma anche solo da godere. Valutazione: 94/100
Veuve Cliquot Cave Privée 1989
È in un girone di ferro: e dunque non è neanche una sorpresa trovarsi ad annotare: “il meno espressivo dei quattro”. Il che ovviamente non vuol dire che non sia pure buonissimo. È che gli altri hanno un timbro di voce non tanto più forte, quanto più articolato, più dialettico. Qui, dopo la classica “sfumata” di humus e sottobosco, entrano miele e frutta secca, e non hanno intenzione alcuna di sbaraccare. Il vino ha tempra, e persino un tocco alcolico più percepito. È figlio del caldo (l’89 fu così); non ne soffre, ma a tratti se ne ricorda. Magari ci stupirà con effetti speciali tra qualche tempo… Valutazione: 90/100
Veuve Cliquot Cave Privée 1982
L’annata che tutti i vignaioli, e non solo in Champagne (anche in Barolo non era da buttar via…) desiderano: qualità e abbondanza, e sia benedetto il santo protettore che per una volta ha fatto il suo… Il risultato (la formula è la solita, Pinot 66%, Chardonnay 34%, il dosaggio sotto i 5 grammi) è impressionante. Il vino racconta la sua età: ma tutta dal versante di una ricchezza esperienziale (riprodotta sulle papille di chi beve) davvero importante. Lo spettro è variegato e appropriato: c’è la nota salata e quella dolce, candita; c’è l’oscurità del legno, la materia minerale (con sfumatura metallica persino) e il gusto satrapico della frutta disidratata. Oltre le morbidezze d’attacco insomma, sotto vibra molto altro. Il finale è francamente tostato, un gout anglais, ma di gran razza. Valutazione: 94/100
Veuve Cliquot Cave Privée Rosé 1979
Toh! Ben trovato, Pinot Meunier. Qui ce n’è un po’ (poi è venuta l’abiura) e la mescola ne prevede in rapporto di uno a dieci e uno a sei con Pinot Noir e Chardonnay. Che abbia nociuto il Meunier a questo ‘79? Scordate pure ogni sospetto. Il “ragazzo” di 35 anni, pur figlio di vendemmia sulla carta non divina, è di quelli che sanno uscire alla distanza. Il colore lo assicura l’uso, al tempo, d’un 20% di rossi di Bouzy. Il carattere un naso totalmente esotico, più India che Parigi, almeno all’avvio. Segue, poi, quel che t’aspetti: freschezza di fondo, ma pure calore e note scure, con frutti neri più che rossi (ma anche quelli ci sono), e qualche empireumatico a venare la carnosità. La bolla è sottile, lenta. La beva riflessiva e continua. E il vino è gastronomico. Fa voglia di un piatto vicino. Occhio solo… al conto del ristorante.
Valutazione: 93/100
Veuve Cliquot | Reims | 1, place des Droits de l'Homme | tel. +33.3.26.89.53.90 | www.veuve-cliquot.com
a cura di Antonio Paolini
La seconda puntata diÂÂ Appunti di degustazione. Lo Champagne alla sfida del tempo è con una verticale di sette vecchie annate diÂÂ Doquet.
Articolo uscito sul numero di Agosto 2014 del Gambero Rosso. Per abbonarti clicca qui