na vera e propria consacrazione.
La batteria di vini presentata era composta da 4 campioni della DOC Affile (per la prima volta in anteprima, 2 basi e 2 riserve) e 31 della DOCG del Piglio, suddivisa a sua volta tra base, riserva e superiore. Assente più o meno giustificata dell’altra DOC, quella di Olevano Romano, quella del Cirisium di Damiano Ciolli, tanto per capirci, approdato alle degustazioni finali nella scorsa edizione della nostra guida.
Procediamo con gli assaggi, partiamo con i quattro campioni di Affile: sicuramente un 2010 più felice rispetto a un 2009 molto caldo ha influito - e non poco - sul risultato nel bicchiere, ma tant’è: le basi – tra cui spicca il Cisinianum della Cantina Formiconi - si presentano di gran lunga superiori alle riserve, risultate squilibrate, con tannini slegati e a forte tendenza amara. Questo sarà grosso modo il leitmotiv dell’intera degustazione. Anche nella DOCG del Piglio infatti le categorie base e superiore sono risultate molto più interessanti delle riserve, una categoria al momento poco ben definita anche a livello di disciplinare, che impone un affinamento in bottiglia di soli 6 mesi in più rispetto ai “superiori”.
L’impressione generale è stata comunque piuttosto positiva, abbiamo notato dei passi avanti e rispetto allo scorso anno la media cumulativa dei punteggi è risultata in crescendo. Specie nelle basi quel frutto integro e maturo tanto varietale quanto necessario, era ben presente, nitido e compatto, il Colleticchio di Corte dei Papi e il Campo Novo di Casale della Ioria ci sono sembrati tra i più convincenti in tal senso. Per quanto riguarda la categoria superiore oltre ai soliti noti come il Romanico e l’Hernicus di Coletti Conti e il Casale della Ioria di Casale della Ioria ci hanno impressionato positivamente il De Antiochia della Cantina Sociale Cesanese del Piglio e l’Alagna di Marcella Giuliani, forse poco caratteristico ma ben fatto. Una serie di vini più solida rispetto al più recente passato, che deve ancora limare qualche imprecisione e acquisire consapevolezza, ma che fa ben sperare per il futuro. Quello che manca sono le punte di diamante, quelle etichette che possano trainare il carro di una zona da cui ci si aspetta ancora il salto di qualità, una zona alla disperata ricerca di costanza ed equilibrio.
L’introduzione della DOCG ha sicuramente elevato i vini base, ma ha sollevato più di una perplessità riguardo le riserve; poi l’uso del legno eccessivo in alcuni casi, la ricerca di una pulizia gustativa non propria al vitigno, sollevano ulteriori dubbi sulle possibilità di riuscita commerciale di una produzione così piccola se priva di un identità ben definita. Occorre fare territorio, delineare un percorso comune, un modus operandi – sia in vigna che in cantina – che possa identificare e rendere riconoscibile la produzione anche al di fuori dei confini laziali. La strada è ancora lunga insomma, ma i progressi fatti fino ad oggi lasciano ben sperare per il futuro.
Piergiorgio Votano
03/05/2012