L’ansonica è un vino differente. O lo ami o lo odi. «Quando ho iniziato - spiega Massimo Piccin, produttore nell’azienda gigliese Paradiso dei Conigli, ingegnere veneto trapiantato in Toscana per realizzare il suo sogno - sono stato più convinto dalla bellezza e ispidezza isolana che dalla piacevolezza del vino». L’ansonaca dell’Isola del Giglio (come viene chiamata al Giglio) è un vino scontroso, non certo ruffiano e con cui devi entrare in sintonia per apprezzarne veramente le gesta. Ha la stessa tempra degli abitanti dell’isola abituati a cavarsela da soli, ad auto appagarsi. Tra poco compirà dieci vendemmie. Per Piccin è stato un progetto sentimentale «Oggi può essere visto come una moda - spiega il produttore - considerando tutta l'attenzione che c'è al vino naturale. In realtà quello che ho fatto, oggi mi rendo conto, è quasi un miracolo. Ho creduto in questo vitigno con determinazione, non è stato facile, soprattutto considerando i costi e le forze che mi ha richiesto nel tempo. Ma mi ha convinto ed incoraggiato la sua evoluzione, la capacità di sorprendermi e di resistere anche alle annate più tremende. Il Giglio è una sorta di missione, ha un alto valore affettivo. Non produci questo vino con un progetto di ritorno economico studiato a tavolino, questo è certo».
Da Bolgheri all'Isola del Giglio
É tutto difficile ma allo stesso tempo entusiasmante. Una viticoltura eroica tangibile perché le pendenze, le posizioni, i micro appezzamenti, le vendemmie rigorosamente con raccolta a mano e trasporto a spalla, camminando per sentieri poco battuti, in saliscendi importanti, sono aspetti che danno unicità al vino e alle persone che vi si dedicano.
Massimo Piccin, al Giglio, ha manifestato e nutrito una sorta di alter ego, l’altra parte di sé, lontano dai riflettori e dai piedistalli che la prima sua azienda, Podere Sapaio, a Bolgheri, ha raggiunto nel tempo. Una dimensione più virtuosa quella isolana, di ricerca, sperimentazione, un viaggio da produttore che mancava nel suo immaginario. Sfidare la natura, sfidarsi per capire fino in fondo le potenzialità di un vitigno così duro ma lucente, difficile da coltivare ma capace di esprimersi con armonia e pienezza. Come Le Secche 2022, l’ultima annata presentata.
Le Secche '22: un vino utopico
Varietale inconfondibile, l'annata 2022 delle Secche presenta profumi di albicocca e pesca gialla disidratate, spezie profumate, lavanda. Complessivamente risulta un vino dal naso imponente a livello aromatico con richiami di erica, corbezzolo, ciclamino. Secco al palato è rigido, come si suole ad un vino di scoglio, ma con una buona progressione e un giusto ritmo. Minerale e sapido. Il progetto Le Secche, vino “utopico” prende il nome proprio dalla località in cui nasce a poca distanza dal Faro del Fenaio. Sono 6.000 i metri di vigneto a picco tra gli scogli, con vigne di oltre 60 anni di età, raggiungibili solo a piedi allevati ad alberello e spalliera su terrazzamenti. Qui Piccin nel 2015, ha voluto realizzare un vino che rispettasse quanto più possibile l’espressione del vitigno ansonica e il terroir dell’Isola. Oggi questo orange wine realizzato con uve bianche, in prevalenza ansonica (biancone, malvasia e procanico), viene prodotta in quantità limitata di 700 bottiglie. Un vino “utopico”, così come riporta l’etichetta stessa, perché nasce da un progetto ambizioso, esclusivo ed impegnativo che prevede unicamente una coltivazione manuale e naturale, così come naturale è la vinificazione. Parte della massa viene vinificata con grappolo integrale (comprensivo del raspo) in acciaio, con macerazione per alcuni giorni. Una volta svinato, si procede con la vinificazione in bianco. La maturazione avviene in Cliver di ceramica per circa un anno e 12 mesi di affinamento in bottiglia.