L’Amarone deve cambiare pelle. È il monito “rivoluzionario” lanciato da Andrea Lonardi, vicepresidente del Consorzio della Valpolicella e neo Master of Wine, durante l’appena conclusa edizione di Amarone Opera Prima.
La ricerca dell’equilibrio
C’è bisogno di un cambio netto anche perché il mercato non risponde più come un tempo. Il nuovo Amarone deve raccontare prima di tutto il territorio in cui nasce e per far ciò serve un cambio stilistico che presupporrà delle modifiche al disciplinare.
Di questo è convinto Lonardi: «Occorre pensare ad un Amarone che rimetta in equilibrio i suoi fattori produttivi: il metodo (la messa a riposo), il territorio (suolo, vitigni, clima), le persone (produttori, imprese) e la comunicazione. La sfida è chiaramente complessa, dal volume al valore, e richiede dei cambi: culturali, produttivi, legislativi e comunicativi».
In soldoni servirebbe di differenziare bene le aree di produzione rendendole esclusive per la produzione di solo Valpolicella (cosa ad oggi non possibile) e Amarone. Vigneti dedicati insomma.
Riconsiderare tempi e luoghi di affinamento
«Una ricerca condotta da Bertani» spiega Lonardi «mostra come al 20% della perdita in peso si raggiunge la migliore concentrazione aromatica, oltre si hanno invece processi di degradazione (oggi il disciplinare prevede una perdita del 40%; ndr). Dovremo poi ripensare ai luoghi in cui mettiamo a riposo le uve e quali dovranno essere le loro condizioni al loro interno. Questi luoghi potrebbero avere anche delle specifiche collocazioni geografiche. Stessa cosa vale per le tecniche di vinificazione delle uve. Penso al lavaggio delle uve e alla selezione con dispositivi ottici. A questo si aggiunge l’affinamento. Dovranno essere riconsiderati tempi di affinamento, tipologia di legno e taglia dei contenitori».
Lo studio di Lonardi inoltre evidenzia come il 65% dei produttori torneranno nel prossimo decennio alla forma tradizionale di allevamento, la pergola, per quanto riguarda l’Amarone come caleranno sensibilmente quelli legati alle forme in parete (-21%) che restano preferibili invece per la produzione di Valpolicella classico.
Il punto di vista del presidente Marchesini
«Stiamo evolvendo anche perché tutto va così veloce che è impensabile restare fermi» ha dichiarato il presidente Christian Marchesini «Stiamo cercando più che altro di far fronte al cambiamento climatico e la prima risposta riguarda il ritorno al tipo di allevamento della pergola, che si presta a proteggere le uve e che mostra degli interessanti vantaggi sia dal punto di vista gestionale che produttivo. Stiamo studiando nuove tecniche che riguardano l’appassimento, insieme all’università, ne parleremo quando usciranno dati interessanti e significativi ad accreditare certe nuove procedure. La cosa più difficile è che il mercato richiede vini poco alcolici e il cambiamento climatico invece porta a tenori alcolici alti. Quindi quello del produttore è un lavoro molto complesso da portare avanti».