Sul loro biglietto da visita c'è scritto wine director, wine consultant, wine buyer, wine journalist e poco meno di così: tutte professioni di un certo livello che iniziano con wine e che di wine si occupano a tempo pieno. E poi c'è una sigla che li accomuna tutti e che un po' – diciamolo pure - li inorgoglisce: è MW, Masters of Wine, come a dire i guru mondiali del vino. Al momento sono solo 314 da tutti i continenti con Londra in testa (d'altronde gioca in casa). E nessun italiano ancora. Un gap che, però, potrebbe presto essere colmato visto che quasi una ventina di nostri connazionali sono in lizza per il titolo: proprio la scorsa settimana l'Accademia londinese ha reso noti i nomi dei sette (più una: una wine consultant di origine lettone che ha frequentato la master class in Valpolicella) che hanno superato l'esame propedeutico al percorso vero e proprio e che si aggiungono a chi il percorso lo ha intrapreso già da qualche anno. Da giovedì 15 maggio fino a domenica si incontreranno tutti – MW, quasi MW, aspiranti MW e sostenitori dei MW - a Firenze (Palazzo dei Congressi) per l'Ottavo Simposio mondiale dell’Institute of Masters of Wine che per la prima volta si svolge in Italia con un programma ricco di eventi. Per capire più da vicino il mondo di questi accademici del vino, il loro approccio alla degustazione, l'importanza di farne parte e le difficoltà del percorso, il Gambero Rosso ha chiesto pareri e informazioni ad alcuni degli aspiranti italiani.
“Ho superato la selezione propedeutica a marzo 2013” ha detto Gianpaolo Paglia,ÂÂ proprietario e produttore di Poggio Argentiera in provincia di GrossetoÂÂ “e fin qua posso affermare di essere molto soddisfatto: anzi la realtà ha superato le aspettative. Quello che bisogna subito chiarire è che gli insegnanti non esistono di per sé, ma sono Master of Wine a loro volta che hanno la missione di formare altri MW. Inoltre non bisogna parlare di corso, ma di un esame. Non ci sono lezioni come all'Università, si studia per l'esame e durante il percorso si fanno degli incontri con i cosiddetti assessment: simulazioni d'esame open book. Fino alle prove vere e proprie”. Il primo anno si tratta di superare una prova di degustazione alla cieca di 12 vini a cui si aggiunge una prova scritta di teoria. Il secondo anno l'esame dura tre giorni interi (quasi un esame d'avvocatura. Non a caso il motto dell'Istituto dice che “bisogna combinare insieme il talento di un detective e quello di un avvocato”) e comprende la degustazione di 12 vini rossi, 12 bianchi e 12 misti. Sempre alla cieca si intende. A cui si aggiungono quattro scritti che spaziano dalla dalla viticoltura all'enologia senza trascurare marketing e legislazione. Le domande possono essere di qualunque tipo: si pensi che un anno una delle tracce chiedeva di spiegare il vino ad un marziano! Infine l'ultimo anno bisogna produrre una tesina su un argomento originale legato al vino. Dove per originale si intende proprio inedito e di un livello elevato. Ma qual è la difficoltà maggiore che si incontra durante il percorso? “A parte la conoscenza di... praticamente tutto” spiega Paglia“durante l'esame un elemento decisivo è il tempo limitato. Sugli argomenti non esistono difficoltà oggettive, ognuno ha le sue lacune a secondo dell'ambito in cui lavora. Nel nostro gruppo ad esempio c'è anche il buyer del Monopolio Svedese (giusto per capire il livello e l'aria che tira; ndr.) e per lui, che ogni giorno degusta vini da tutto il mondo, le degustazioni sono probabilmente l'ostacolo minore, mentre ha bisogno di approfondire maggiormente la parte della produzione e della cantina”. Pagliadovrà presto sostenere il primo esame - First Year Assessment - che può ottenere tre differenti valutazioni: il Pass per proseguire all'anno successivo, il Retake che significa ripetere la preparazione e ripresentarsi l'anno successivo, o ilÂÂ FailÂÂ ovvero bisogna star fuori dal programma per un paio di anni e poi ricominciare. Fino a ora nessun italiano ha superato questa fase. Ma come ci si prepara efficacemente a questo “appuntamento”? “Di sicuro da soli non si passa l'esame” continua l'aspirante MW “nel senso che ognuno ha da offrire all'altro qualcosa: bisogna incontrarsi con la classe, scambiarsi appunti, opinioni, vini. Anche il manuale dei Master of Wine incoraggia a fare gruppo. Col mio (quello europeo) ogni mese mi ritrovo a Londra per fare delle degustazioni. E nei prossimi giornianche Firenze sarà un'occasione per ritrovare i colleghi, e anche molto altro. Il Simposio, infatti, lo vedo come una contaminazione reciproca che servirà all'Italia per sprovincializzarsi e servirà ai MW per conoscere il nostro Paese da vicino. Al momento, infatti, i vini italiani sono conosciuti, ma non troppo. È vero che l'Italia è il secondo fornitore di vino per l'Inghilterra, ma la parte da leone la fanno soprattutto Prosecco e Pinot Grigio e altri pochi noti. A Firenze sabato ci sarà una degustazione proprio sui vini italiani da scoprire. Io ci sarò sia per occuparmi della parte logistica, sia in quanto produttore per presentare i vini che produco. Teniamo presente che arriveranno persone molto preparate e interessate: i Master of Wine hanno per lo più posizioni strategiche nei loro Paesi nell'ambito della diffusione e della promozione di vino. Quindi questa è davvero una grandissima occasione per l'Italia, da non sprecare”.
“Il Simposio? È come se fosse un'Olimpiade giocata in casa: non è un caso si faccia ogni quattro anni. Insomma non si può mancare”. È questo il commento di Gabriele Gorelli, fondatore e ceo dell'agenzia pubblicitaria Brookshaw&Gorellidi Montalcino, ma anche e soprattutto uno degli italiani (tra i più giovani, classe '84) che ha superato l'esame 2014 per accedere al percorso dei Master of Wine. “Al Simposio” spiega “mi ero iscritto prima di sapere gli esiti della selezione, e di partecipare alla master class italiana: volevo vedere se poteva interessarmi l'approccio. Ora a occhi chiusi dico di sì, talmente mi son trovato bene nella tre giorni in Valpolicella. Per quanto riguarda l'iscrizione dovrò formalizzarla entro il 28 agosto: all'inizio avrei voluto un altro anno di tempo per preparami ancora di più, ma mi piace il gruppo che si è formato quindi direi che sono pronto per questa avventura”. Che per i neo-iscritti inizierà in autunno con un incontro in Austria e che economicamente richiederà uno sforzo di 4 mila sterline per il primo anno. A cui si aggiungono viaggi, libri, vini e tutto il necessario per arrivare fino in fondo. Gorelli, in quanto degustatore ufficiale Ais ci spiega quali sono le differenza di approccio con quelle italiane: “Rispetto all'approccio, diciamo, mediterraneo, si fa molto meno poesia e si va dritti al sodo: da dove viene il vino in questione, da quali vitigni è composto, quanto vale sul mercato, ha un futuro legato ai consumi?Niente girandole di parole, insomma. Il ragionamento richiesto è di tipo deduttivo e non intuitivo, quindi bisogna escludere i vini che non somigliano a quello degustato, secondo la pratica del cosiddetto scream out: restringere il campo, senza badare alle sensazioni immediate. Un ragionamento molto british e poco italiano. Anche nel tema che bisogna svolgere durante gli esami si richiede di essere molto schematici: introduzione, sviluppo e conclusione con esempi pratici. Anche questo molto pragmatico e in perfetto stile inglese”. Molto affine, insomma, alla regola delle 5 W (Who, What, When, Where, Why) non a caso nate proprio dal giornalismo anglosassone. Ma sarà solo la differenza di approccio ad aver ostacolato gli italiani nel conseguire il titolo di Master of Wine fino a questo momento? “L'approccio può essere uno dei motivi, ma non l'unico” continua il nostro interlocutore “di sicuro ha influito la lingua: diciamocelo, gli italiani l'inglese non lo masticano troppo bene. E poi altra differenza determinante è che gli italiani pensano soprattutto a coltivare la terra, non i rapporti”.
Prova a rispondere alla stessa domanda anche Alberto Ugolini, brand ambassador di Santa Margherita Winery Group,che è anche stato docente di Analisi Sensoriale all'Università di Palermo e che è anche lui rientrato nei “magnifici sette” italiani che dall'autunno inizieranno il percorso vero e proprio dell'Accademia inglese: “Londra è sempre stata crocevia di vini da tutto il mondo, anche perché non è un Paese storicamente produttore e per questo ha da sempre mantenuto una mentalità aperta. Non dimentichiamo che vini come Porto, Marsala e Madeira sono praticamente una loro invenzione. L'Italia, invece, è molto autoreferenziale: noi abbiamo l'abitudine di mettere l'Italia al centro delle nostre degustazioni, delle nostre conoscenze e dei nostri discorsi. A contatto con gli altri MW che hanno come banco d'assaggio il mondo intero, ci si rende conto di quanto sia piccola la nostra realtà”. Ugolini lo abbiamo raggiunto telefonicamente nella lontana Cina, quindi in quella parte di mondo che come riferimento vitivinicolo non ha solo l'Italia (lo sappiamo bene purtroppo!), ma che il titolo di Master of Wine lo conosce bene. “È un titolo molto rinomato, oltre che spendibile, in tutto il mondo anche perché le master class si stanno estendendo a quasi tutti i Continenti. Sulla mancanza di un MW italiano non mi preoccuperei troppo: possiamo consolarci pensando che perfino i cugini francesi titolati sono ancora molto pochi: nell'autoreferenzialità non sono poi così diversi dagli italiani. Ma son sicuro che il nostro Paese riuscirà a recuperare in pochi anni grazie al lavoro dell'Istituto Grandi Marchi che fa da ponte con il nostro Paese. Io per primo diverse volte negli anni scorsi avevo pensato di provare l'esame, ma poi non mi ero spinto oltre: un po' per pigrizia, un po' perché sembrava una realtà molto lontana dall'Italia. Ma ora le cose son cambiate”. E allora adesso inizia la sfida vera e propria: chi sarà il primoÂÂ emdobleuÂÂ italiano?
a cura di Loredana Sottile
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 15 maggio. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. E' gratis, basta cliccare qui.ÂÂÂ