Stesse materie prime, procedure diverse, diversi risultati. Mettendo uno vicino all'altra Flavio Lucarini e Aurora Storari, romanissimi chef e pastry chef di Hémicycle, emergono molti elementi in comune, al punto da chiedersi quale sia la differenza tra la sezione salata e quella dolce nel ristorante rivelazione di Parigi (una stella Michelin conquistata in pochi mesi e premio Passion Dessert). Lo spiega Storari: «A volte usiamo gli stessi ingredienti, ma le mie tecniche sono quelle di pasticceria». Aurora fa sciroppi, gelati, canditi, attingendo a una dispensa in parte condivisa con Flavio. «Se i miei piatti li avesse concepiti lui, sarebbero completamente diversi». Un esempio è il riso cotto nel latticello derivante dalla lavorazione del burro che dà note acide, per la mantecatura va la riduzione di panna di fattoria, grassa ed erbacea, con levistico e il 5% di zucchero, il resto lo fanno pistacchi sabbiati e in sorbetto, riduzione di barbabietola agrodolce e un tocco di bottarga, per la sapidità e il vago retrogusto amaro. Lo serve al piatto, come un risotto «Ma non ha nulla del risotto – spiega – ricorda più un risolatte con texture e dressing diversi». Anche se è scarico di zuccheri, la percezione di base è dolce.
Così si esprime una terza via della pasticceria, di pari creatività e libertà rispetto alla cucina salata, capace di trascendere limiti, ruoli e portare una nuova visione di ingredienti e preparazioni. Storari lo fa sin dal servizio dei formaggi, non semplici assiette ma ricette elaborate con cui scavalca la linea di demarcazione tra prima e seconda parte del pasto, come il parfait ghiacciato di cioccolato bianco e Roquefort con rosa canina e noci, che segnano il passaggio verso un secondo atto di pari livello rispetto a quello iniziale e con un paniere inconsueto: Aurora usa la pelle del pollo per il crunch touch ma anche per il grasso, come fa con il foie gras usato come fosse panna nella crema inglese. Non è la sola, intendiamoci (il petto di pollo è perfino in un dolce tradizionale turco, il tavuk göğsü, e i dessert con pesce sono diffusissimi nell'alta ristorazione), ma per lei tutto questo è strutturale, come lo sono un pomodoro poché o un'alga dissalata e caramellata. Il suo peso da Hemilcycle è pari a quello di Lucarini.
I due – animo rock in abiti fine dining – guidano un'insegna che riunisce il ristorante tradizionale e il neonato dessert bar Aura al primo piano. È qui che Storari formula un nuovo concetto di pasticceria non gregario ma di pari dignità rispetto al salato, protagonista assoluto di un bancone per 6 commensali dove il menu degustazione da 10 portate sposta l'ago della bilancia verso il comparto dolce aprendo a una proposta contemporanea che rifiuta preconcetti e convenzioni. Del carciofo le interessa quel ricordo di liquirizia e la sua croccantezza una volta fritto: così, farcito con mole, il carciofo alla giudìa diventa un dessert da mangiare con le mani; la pasta – assente nel menu di Lucarini – la cuoce in estrazione di pomodori verdi macerati, ripete il gesto della mantecatura con olio e burro, ma i fiori di sambuco e la confettura di lattuga di mare ne fanno un ibrido: «La pasta è una base, tela bianca, come la frolla o la brisée»; il sangue va con il cioccolato che si rifà alla classica royale. I suoi sono piatti genderless in cui le connotazioni dolci sono ridotte ai minimi termini, quasi per sottolineare un’idea di dessert.
Così, costanti colpi di spatola aiutano ad abbattere confini creando un mondo di mezzo che obbliga i commensali a una nuova prospettiva rimodulando radicalmente l'esperienza. In Francia, al bistellato Le Sarkara del Le K2 Palace di Courchevel, il pasticciere Sébastien Vauxion tesse una trama di frutta e verdura, latticini, cioccolato e caffè in un menu fedele alla tradizionale scansione in antipasti-piatti principali-dessert ma in versione dolce: pulito al palato, coerente ed equilibrato, in linea con i codici gastronomici francesi eppure completamente diverso. L'esempio più noto di questa nuova pasticceria che segue le orme della nuova cucina, si trova a Berlino.
René Frank ha aperto CODA nel 2016, conquistando presto due stelle Michelin. 20 coperti più 8 al bancone, un degustazione da 4 ore e 15 portate (264 euro che salgono a 294 nel fine settimana e nei festivi) che scardinano i limiti tra cucina dolce e cucina salata, evidenziando l'inattualità delle vecchie categorie. Come Storari (e prima di lei) Frank applica tecniche, precisione e processi di alta pasticceria a tutto il menu, caramellizza, riduce, confetta per mettere in dialogo gli ingredienti e le loro trasformazioni. Da CODA i dessert classici sono reinterpretati e decostruiti in nuove pietanze a tutto pasto. L'elemento dolce deriva da ingredienti naturali – frutta e verdura – e si mescola all'umami, al salato, all'amaro e l'acido: fermentati, agrumi, legumi, funghi, formaggi, erbe aromatiche foraggiano una cucina che offre inedite prospettive e impiattamenti da dessert. La materia prima, stagionale e sostenibile, con una spalla vegetale quasi assoluta, è il punto di partenza: un alfabeto di sapori da cui sviluppare nuovi concetti, il pairing (vini, soprattutto Riesling tedeschi e Champagne, sake, liquori, infusi) è parte integrante dell'esperienza e complemento di ogni portata. Lo zucchero raffinato è il grande assente al convivio, ma l'impronta, la mano e il metodo sono da pasticcere. Lo è anche l'intenzione: il magnum di cioccolato e caviale, ne è un emblema.
Tutto questo probabilmente non sarebbe stato possibile se non ci fosse stato Espaisucre, scuola di pasticceria e Restaurant de Postres di Barcellona, creato da Jordi Betròn e Xano Saguer nel 2000. L'Espaisucre (ormai solo di Betròn) ha appena chiuso dopo un quarto di secolo di attività, ma i suoi insegnamenti e l'impatto che ha avuto sul mondo della pasticceria sono indelebili, con quel mettere al centro di tutto il sapore, scalzando il predominio di zucchero, creme e cioccolato in favore di ingredienti come aceto balsamico, tè affumicato, verdure e dando alla pasticceria una centralità mai avuta prima. Se siano stati i primi in assoluto è difficile dirlo: non c'è foglia che si muova nella gastronomia contemporanea senza che i fratelli Adrià gli abbiano dato una spintarella, e non tanto per l'esperienza di Cakes & Bubble di Albert (memoria del Tickets) quanto per aver pensato ai dolci come si pensa una entrée o un main dish. Quel che è certo, però, è che Betròn per primo ha reso protagonista la pastelleria nella ristorazione d'autore con Essence, il ristorante dedicato ai dessert: tavolo per 12 commensali e tasting menu concertati in un crescendo di sapori e consistenze, in cui i passaggi salati, quando ci sono, sono subordinati ai dolci, di cui accolgono elementi e preparazioni – in modo opposto a quanto fanno Storari e Frank – sbilanciando l'intera esperienza. Si deve anche a loro se oggi nell'alta ristorazione la pasticceria tradizionale con tanto di carrello dei dessert rappresenta una rivoluzione al contrario, un ritorno nostalgico, una rarità. Come una rarità sono ancora però i dessert restaurant. Conclusasi l'esperienza di Room4Dessert (R4D il suo acronimo) di Will Goldfarb a New York – «lo Studio 54 delle pasticcerie» si dice nella puntata monografica di Chef’s Table – nel locale di Bali dove si è trasferito nel 2014, si perde un po' lo spirito originario dell'insegna: 20 coperti intorno al bancone e un degustazione di soli dessert. Goldfarb attuava così la sua personale ribellione contro la maledizione del pasticcere, «ovvero quella di venire sempre dopo qualcun altro». R4D è stata una parabola conclusasi quando Goldfarb, primo pasticcere di cui abbia mai parlato il New Yorker, cresciuto a Long Island e folgorato dall'esperienza a elBulli, ha cambiato vita alla soglia del burnout raggiunto un successo decennale dopo anni di ostilità per quelle proposte che entravano nella scena newyorkese di primi anni 2000 squassando il quieto tradizionalismo di stampo francese. Nella sua nuova vita l'ispirazione iniziale si traduce in una versione territoriale e spirituale, anche se rimane la centralità dei dessert.
A Bangkok Kyo Bar serve un menu omakase di soli dessert alla stregua di un pasto tradizionale kaiseki. Aperto nel 2017 da Dej Kewkacha, pasticcere autodidatta con studi in matematica e stage per il mondo (inclusa la Spagna di Adrià e di Paco Torreblanca), proprietario di catene di caffetterie e bakery, mescola ingredienti giapponesi e thailandesi, tecniche di pasticceria contemporanea e influenze europee. Il degustazione di 7 portate monocromatiche ha un andamento armonico e tailor made in cui sapore, colore, consistenza sono un tutt'uno, sfumando il confine tra dolce e salato, sperimentando con audacia tra elementi, temperature, sapori diversi per creare un'esperienza di dessert completa, non a caso ama dire che se avesse un ristorante tradizionale non lascerebbe i dessert alla fine ma li distribuirebbe in tutto il pasto. In previsione del trasferimento in una nuova sede studia un nuovo concept con l'obiettivo di far emergere la pasticceria thailandese, ancora sconosciuta.
In Australia KOI Dessert Bar dei tre fratelli Poernomo si divide tra classica pasticceria con spazio di vendita e consumo, bar e uno scenografico chef table per 12 ospiti, chiamato Koi Experiential, con menu degustazione sorprendente e svincolato da limiti e imposizioni. Più vicino a noi i tre fratelli più famosi della ristorazione mondiale, i Roca, lanciano un segnale chiaro nel loro L'Esperit Roca alle porte di Girona dove propongono i classici di El Celler in due menu complementari: 6+2, sei corse salate e due dolci, e 2+6, con sei portate dolci (ma potrebbe esserci presto anche un menu di soli dessert) opera di Jordi che ha saputo tradurre l'anima salata di Joan in strabilianti dessert che interpretano lo spirito di quest'angolo di Spagna: It rains in pine forest è il più noto e sorprendente, con una nuvola pronta a far piovere aromi di terra bagnata che trasforma il dolce in poesia (foto di apertura).