«È cibo italiano, ma forse non come lo conoscete» dice lo chef Mirko Febbrile. La sua storia ve l'abbiamo raccontata un anno fa, quando ha conquistato Singapore con i suoi panzerotti. Pugliese, classe 1991, Febbrile è una delle nuove leve dell'alta cucina italiana nel mondo, uno di quelli capaci di raccontare l'anima tricolore lontano dagli stereotipi e dai piatti fotocopia conservando un'incredibile tasso di italianità per prodotti, tecniche, ma soprattutto spirito italiano. Quell'aura che fa immediatamente percepire l'autenticità anche a distanza di centinaia di migliaia di chilometri. Lo scorso anno (ci) conquistava con lo street food, ma la sua storia è lunga: arrivato a Singapore giovanissimo, aveva convinto pubblico e critica (ovvero la Michelin) con Braci quando aveva 23 anni: cotture a fuoco vivo – come sintetizzava l'insegna - gusto ed eleganza. Per noi meritava la massima valutazione nella guida Top Italian Restaurant: tre forchette piene. Non si è fermato lì, scegliendo una strada imprevedibile e aprendo un chiosco che riuniva lunghe file già ore prima dell'apertura, mentre si preparava a fare altro – Fico, una masseria sulla costa, e il neonato Somma - contando anche su un ambiente favorevole: «qui la cucina italiana è arrivata pulita, non imbastardita, c'è molta cultura e si cerca un'italianità autentica». Lo dice Vincenzo Donatiello, nome e volto noto in Italia per la lunga collaborazione con la famiglia Ceretto e Piazza Duomo. Ora è business development e director operation di un piccolo gruppo di ristorazione italiana, parte di The Lo & Behold Group, di cui è parte Somma, ristorante aperto qualche settimana fa all'interno di una struttura (una ex scuola) cona una cinquantina di outlet commerciali e ristorativi tra cui quello che vede coinvolti Donatiello e Febbrile.
Cucina pugliese senza orecchiette
«È un fine dining di cucina italiana – spiega Donatiello - si chiama Somma perché riunisce le esperienze lavorative e di viaggio di Mirko, che è una persona curiosa e non vede la ristorazione come fine a se stessa». Ma il progetto fonde idee, talento e competenze di tutto il team, un gruppo che ha accumulato esperienze nei ristoranti più influenti al mondo: Alchemist, Boragò, Alain Ducasse, Cracco, Piazza Duomo, Gaggan, The Fat Duck. «Anche se il nostro menu guarda all'Italia, Somma non è un fine dining che riprende la mama kitchen e la riporta nel 2024» spiega ancora Donatiello corroborato da Febbrile che rilancia: «possiamo cambiare il mondo in cui la gente vede la cucina italiana, senza più la storia della mamma e della nonna ma con il punto di vista del presente».
Una scelta decisa e molto ragionata per proposta e fascia di prezzo, per entrare in una piazza competitiva come quella di Singapore. «Questo è un mercato fiorente ma in crisi, ci sono tanti ristoranti e tanti hanno una vita molto corta. Non vogliamo fare un posto di cui si parla ma dove non si va. Puntiamo a fidelizzare i clienti, pensa che Fico con le oltre 7mila presenze al mese, ha un 7% di clienti di ritorno, un tasso altissimo, Mirko è molto seguito». Dopo l'esperienza dei panzerotti avrebbe potuto identificarsi con un certo tipo di cucina, invece no «la cosa più interessante è che Somma è un concept pugliese fuori dalla Puglia e senza orecchiette o altre ricette già esistenti – commenta Febbrile – questo è un progetto in evoluzione: non mi interessano le cose che facevo 3 anni fa e probabilmente tra 3 anni sarà lo stesso con quello che faccio oggi».
Il fine dining del futuro
Con Somma il lavoro spinge alla creazione di quello che Donatiello chiama «il fine dining del futuro», improntato all'accoglienza senza inutili formalismi: «Vogliamo che la gente riconosca il Somma taste, a partire da una ospitalità calda, immediata, schietta, sincera: pensa che le divise sono con le maniche corte, e i tatuaggi a vista: ed è la prima volta che lavoro così. E poi non vogliamo stare troppo tempo a spiegare i piatti, tanto la gente capisce se funzionano o no: e se devi spiegare troppo, significa che c'è un problema». È un modello di alta ristorazione rilassato: «voglio che la gente si diverta con noi – dice Febbrile – senza bisogno di vestirsi e comportarsi in un certo modo, cosa che ti porta a pensare che certe cose siano irraggiungibili. A Singapore il dress code è ovunque, anche nei bar, noi vogliamo creare un'esperienza centrata sull'ospite e non sul resto. La gente si sta staccando da quelle cose» La parola chiave è concretezza. «Non vogliamo che le persone si sentano a disagio e poi – riprende Donatiello - non vogliamo rapire nessuno».
Non più di due ore per il degustazione id 6 portate, a meno che non si voglia allargare l'esperienza aggiungendo altri 3 piatti, oppure la cheese experience. Che è un'esperienza vera e propria: «portiamo i clienti nella cantina dei formaggi che prendiamo in Italia, a volte completiamo noi l'affinamento per giocare con alcuni prodotti» secondo un'idea di cucina circolare che usa i resti residui delle lavorazioni - orzo tostato, camomilla, succo di carota rossa ridotto e invecchiato, fondi di caffè ma anche whisky e pere candite - tracciando connessioni da un piatto all'altro. Succede con i formaggi ma anche con i piatti o i drink: «cerchiamo di essere sostenibili per quanto possa essere possibile in un posto in cui non ci sono le stagioni e si è legati all'importazione». Fondamentale, in questo approccio, il lab – il cervello del ristorante - uno spazio di ricerca e sviluppo, regno di Loris Caporizzi, che funziona anche per Fico - che presto diventerà una cooking school: «vogliamo farlo diventare un piccolo polo culturale del gusto».
Cosa si mangia da Somma
Il menu, frutto di 18 mesi di lavoro, elenca Sella d'agnello, castagna, fungo, brodo di mele cotogne, aspro e aromatico (omaggio alla Foresta Umbra del Gargano), con pesto di pino e castagne e sale di pino, frutto di oltre 2 mesi di lavoro. Mentre lo Spaghettone di grano Khorasan con carota rossa, astice e lumache di mare valorizza l'incontro tra ingredienti umili e la nobiltà dell'astice, qui è la carota a dare la sferzata di sapore: sottoposta a una forte riduzione diventa una salsa umami con bisque di gamberi, con muschio e olio di licheni, mentre in ottica di circolarità e zero waste, c'è anche lo SCOBY della polpa di carota, condita con salsa acida a base di menta nera e caviale Osetra. Il muso di maiale con cipolle, pane nero e parmigiano rimanda al classico cotechino e lenticchie del Capodanno: il muso brasato e cotto alla brace con pomodoro speziato si accompagna a un cracker di lenticchie. Ricci di mare e mandorle racconta invece una scena di fine estate si serve con un babà salato con acqua di scamorza affumicata, condito con pomodori San Marzano al forno e riso selvatico.
I forgotten drink e l'abbinamento con la pasta
Il bar al piano terra punta a diventare un polo di attrazione con una proposta molto easy ma ugualmente caratteristica: non il tipico bar food ma taralli, indivia rossa accompagnata con emulsione olio extravergine di coratina e prugne, paste fatte a mano (ravioli con burro al rosmarino, maltagliati al grano arso con ragù di cinghiale, radiatori con granchio e capocollo di Martina Franca) e un paio di dessert classici (creme caramel o ghiaccioli clementine e bacche ginepro), per accompagnare la drink list (divisa tra aperitivo, savory e improoved classic) con grandi cocktail, forgotten cocktail dal gusto retrò, anche con qualche twist, come come nel Left Hand con vino rosso, wine cocktail di grande personalità, o nell'Happiness con anguria e e peperoncino verde (con tanto di gommosa a forma di unicorno al peperoncino), «confortante al gusto, divertente e moderna nella presentazione».
Singapore si assenta come una delle capitali del bere miscelato, ma come la mettiamo con il vino? «Singapore è una città del vino, anche se non è un paese produttore; ci sono 2200 licenze di importazione, perché in teoria chiunque apre un ristorante può importante. Ed è un mercato con una varietà immensa, tanti spingono su etichette italiane, con tanta selezione e annate storiche: cose che non avrei mai pensato di trovare». Vanno molto Piemonte e Toscana classica, ma negli ultimi anni è emerso l'Etna, con tante cose interessanti, «si affermano anche i nuovi classici: Pietracupa, Gravner, Radicon. Noi siamo partiti con una carta già ampia, 750 etichette, raccontata per sensazioni: rain, radpure, firework, sunrise, flatter». Ma il no alcol come va? «C'è grande attenzione qui. Abbiamo fatto un programma a più mani per abbinamenti con succhi, macerati, infusi. Ogni settimana facciamo 3 tasting per controllare gusti e preparazioni, e sviluppare nuovi pairing. La gente li chiede molto».
La scena gastronomica di Singapore
Singapore è da sempre una delle mete più ambite per chi vuole cambiare vita: ci sono tante opportunità, un clima benevolo, salari più alti, ma adeguati al costo della vita: «devi saperti gestire» spiega Donatiello. «A tre ore di volo hai il mondo: Malesia, Thailandia, Hong Kong, Vietnam. Qui viaggiano molto». La scena gastronomica è in continuo fermento, «si spinge molto sul vino naturale ma senza estremizzazioni, ci sono tanti locali dedicati, tapas bar, ristoranti giapponesi e cinesi. Poi c'è un boom di ristoranti italiani, a tutti i livelli, nonostante alcuni prodotti non siano reperibili c'è un buon livello, anche perché tanti sono venuti in Italia, hanno girato per ristoranti, anche quelli che non penseresti tipo Trippa, e una volta provata la nostra cucina poi sanno riconoscere quella buona». Il fine dining, invece, vive un momento di ripensamento: «c'è molto turnover, è normale in una grande città, ma c'è anche tanta selezione. Per me hanno senso la grande esperienza o cose più semplici, tipo grandi trattorie e belle tavole del vino: chi ha la proposta giusta, continua a prosperare, nelle vie di mezzo dove spendi come in un 2 stelle e rimani deluso, non vado più». In un posto in cui la popolarità di bar e ristoranti è altissima, tra i grandi nomi come Odette o Zén, si fanno largo anche locali di tipo diverso: «mi piacciono wine bar tipo Bon Funk o cocktail bar come Employees Only, e poi mentre a Doha non andavo mai a mangiare italiano, qui sì».