Ci sono volute una manciata di stagioni, che sull'Isola corrispondono a circa sei mesi l'anno, per trasformare una enfant prodige in un talento affermato. Con un percorso netto, costellato di riconoscimenti (risale al 2017 il premio emergente dell'anno del Gambero Rosso e al 2019 quello di chef donna dell'Anno della Michelin), Martina Caruso (classe 89) ha traghettato il Signum nella rosa dei migliori locali del Belpaese, in coppia con il fratello Luca. Nella nuova guida Ristoranti d'Italia 2023, infatti, quella perla incastonata tra il verde e l'azzurro terso del mare e del cielo di Salina, ha scavallato la soglia del 90 centesimi, il punteggio che apre le porte delle Tre Forchette e fatto così il suo ingresso nella parte alta della classifica.
Il merito va alla nuova generazione che ha preso in mano l'eredità della precedente. Martina, in cucina, davanti al pass che è stato di papà Michele, e Luca in sala, a raccogliere il testimone di mamma Clara; insieme per tessere le fila di un'accoglienza che sa competere con la bellezza che la circonda e che – come talvolta accade – rischia di rubare l'attenzione da quel che accade nella sala e nel piatto. Invece no, perché in questi pochi anni i fratelli Caruso hanno saputo procedere con a passo svelto e costante. Tant'è che se chiedi loro quale è stata l'occasione della svolta, rispondono all'unisono che no, non c'è stato un momento preciso che ha segnato il cambiamento, ma un processo continuo fatto di impegno minuzioso sull'isola, in stagione, e di gran tour nei mesi di chiusura, fondamentali per conoscere, crescere, confrontarsi, scoprire tecniche e suggestioni da riportare a casa e poi rielaborare all'aria calda e profumata che soffia sulle Eolie. Sempre tenendo come centro gravitazionale l'hotel di famiglia, alzando l'asticella giorno dopo giorno, senza strappi. “Venendo dal mondo dell'hotellerie” spiega Luca “abbiamo quel tipo di retaggio, non si possono separare le due anime” questo spiega, forse, quel savoir fare che ha caratterizzato sin dall'inizio la figura di Luca, affabile e premuroso padrone di casa, capace di ricamare un'ospitalità di grande charme e calore in combinata con la cucina di Martina, che ha saputo ricodificare a partire dalle esperienze che hanno alimentato la sua isolitudine.
Gli esordi, il corso del Gambero Rosso, gli stage e il ritorno a Salina
“Sono cresciuta al Signum” racconta “sarebbe stato innaturale per me non fare l'alberghiero”, prima tappa di un percorso che l'ha vista nelle aule del Gambero Rosso dove ha seguito il corso Professione Cuoco nel 2008, passaggio fondamentale – come ci ha raccontato lei stessa - per approfondire la conoscenza e partire dalle basi, dal prodotto “c'erano lezioni dedicate ai formaggi, all'olio, alle spezie” e poi “l'approfondimento sulle varie cucine regionali”. Una formazione sia dal punto di vista professionale che, aggiunge Luca “a livello mentale”. Per questo, continua “c'è un legame storico, sentimentale, di famiglia con il Gambero Rosso”.
Dopo i mesi di corso è stata la fase degli stage: da Massimo Riccioli alla Rosetta, da Antonello Colonna al Palazzo delle Esposizioni, da Pipero al Rex con Luciano Monosilio e da Gennaro Esposito. Poi il rientro a Salina dove ha rosicchiato spazio, entrando a pieno ritmo in cucina fino a che papà Michele ha deciso che i tempi erano maturi: “aveva cominciato ad allontanarsi man mano, fino a che una stagione mi sono ritrovata alla partita dei primi, la mia preferita, mentre lui stava tra sala e cucina, osservava me e Luca in cucina e in sala e poi” aggiunge “non è più entrato in cucina. Ci ha detto: continuate voi da soli. Avrò avuto 24-25 anni”. Comincia da quanto ereditato: i piatti di papà Michele, ma poi comincia a prendere pieno possesso della cucina, forte delle esperienze accumulate nei mesi invernali nei quali continua il suo apprendistato, in Italia e fuori. “Visitare gli altri ristoranti è importantissimo, i colleghi che più stimi, quelli che sono più in alto di te”, lo stesso approccio di Luca, quando dice “abbiamo frequentato molto il Four Sesason di Firenze, è stato un faro, da lì ho preso molto”.
Cosa si mangia al Signum
"All'inizio più che nuovi piatti, abbiamo cominciato a cambiare quelli che già c'erano, man mano che imparavo tecniche nuove”, la classica zuppa di pesce, per esempio, diventa un misto, sorta di dell'agghiotta di scorfano. ancora oggi in menu, dove i sapori classici trovano nuove interpretazioni: “per esempio c'è il cappero essiccato, spuma di patate brodo, e la cottura a parte del pesce”. Nel frattempo gli anni passano, arriva il momento di mettere dei piatti suoi, frutto dei suoi molti viaggi e degli stage che continua a fare nei mesi invernali. L'obiettivo è imparare e poi tornare, lavorando per valorizzare il territorio “attraverso gli ingredienti, la lavorazione, il piatto, la presentazione” spiega. Studia, conosce, impara. E cresce. “Più maturavo, più maturavano i miei piatti. Oggi” conclude “posso dire di avere una mia identità: ora la cucina del Signum è ormai salda sull'isola, sul Mediterraneo, è una cucina fresca, di cuore” che racconta Salina in ogni suo elemento, prova ne sia il famoso gelato al cappero.
Ma il piatto che le ha dato più soddisfazione, risale a 5/6 anni fa: le linguine con latte di mandorle e vongole, “c'è dolcezza, sapidità, c'è tutto il Mediterraneo”. Tornando ai giorni di oggi è lo sgombro in oliocottura con melograno, foglie di capperi, menta e melograno sgranato a farle battere il cuore.
Lavora d'istinto, Martina, facendo affidamento al suo palato mentale, la realizzazione però, è quasi estemporanea: “a volte ho un piatto in testa e lo faccio solo all'ultimo momento, è un dibattito continuo tra me e mio fratello, succede per il menu e per gli eventi, ma per me è è uno stimolo continuo a fare qualcosa di nuovo” ma sempre pienamente inserita nell'habitat isolano: “il mio concetto di cucina è valorizzare l'isola e valorizzare sempre più il prodotto dei nostri giardini e del nostro orto” in questa direzione va anche il lavoro sulle conserve.
Il Signum, Salina e il territorio
“Quello che voglio fare alla fine lo riesco a fare anche qui, anzi” continua “oggi non mi vedrei da un'altra parte; credo che adesso avrei difficoltà a lavorare in città. Quando vado fuori mi manca l'isola, forse è un momento della mia vita in cui voglio più stabilità. Ma stare al Signum significa anche stare fermi e avere il mondo che arriva e gira intorno a noi, senza doverci spostare”. Il lavoro valorizza il territorio e la comunità: la sala conta fino a 15-16 persone se consideriamo la terrazza gourmet, il bistrot e il cocktail bar, e tra figure storiche e nuovi arrivi, c'è uno zoccolo duro di locali: “è importante l'interazione e gli scambi tra i ragazzi, serve a creare flusso crescita, ma anche a offrire delle opportunità lavorative e di professionalizzazione”: su un'isola di 3mila abitanti su 27 km quadrati -”un posto speciale” dice Luca – è una cosa importante: significa dare una prospettiva al territorio. Ma anche qui la mancanza di personale ha pesato: “il Carrubo, l'enoteca con cucina accanto alla cantina, quest'anno è rimasta chiusa: mancava il personale”.
Passato presente e futuro del Signum
Il futuro, dunque, per ora è al Signum - "ma non escludiamo nulla!" - ma è un momento particolare, dal punto di vista personale: Martina neomamma, Luca che con la sua compagna Natascia Santandrea (nome noto agli appassionati: la sua famiglia ha gestito lo storico la Tenda Rossa) è diventato produttore di vino (entrando in guida Vini d'Italia con i Due Bicchieri Rossi) nel periodo più duro della pandemia. “Durante il Covid non riuscivo a fare piatti nuovi” racconta Martina. Il ritorno alla normalità è stato graduale: stagioni corte e molto intense, con la presenza dei soli turisti italiani. Ora le cose sembrano rientrate, con il ritorno degli stranieri, americani principalmente. Che vanno sull'isola non solo per godere delle bellezze naturali, ma anche per conoscere la cucina del Signum, diventato nel corso del tempo una destinazione: "prima Salina era solo una meta turistica ora è una meta anche gastronomica” spiega Martina. “Abbiamo avuto anche dei clienti che sono venuti a Salina dalle altre isole appositamente per pranzare al Signum e tornare indietro” sorride Luca. Che poi aggiunge: “nel tempo siamo riuscito a fidelizzare molti clienti”. Ora il Signum è in pausa invernale, e si comincia a ragionare sulla prossima stagione: carichi, pieni di voglia di continuare a essere custodi del territorio, guardando l'isola, e oltre, da una delle terrazze più belle del Mediterraneo. Forti di un nuovo riconoscimento: “per noi è un traguardo molto importante ma soprattutto un punto di partenza nuovo”.
Signum – Salina – Malfa – via Scalo, 15 – hotelsignum.it
a cura di Antonella De Santis