“Cina e Italia sono molto più vicine di quanto pensiate”. Intervista allo chef Alessandro Cozzolino

18 Ago 2024, 13:11 | a cura di
Alessandro Cozzolino è il talentuoso chef del Belmond Villa San Michele, struttura sulle colline di Fiesole dove è arrivato nel 2019 dopo 5 anni a Hong Kong. Ma cosa lo ha riportato in Italia?

Quando racconta della sua carriera, Alessandro Cozzolino (Caserta, classe 1989), dice che il suo percorso professionale è stato forgiato da occasioni. A 21 anni era da Arnolfo, con il mentore Gaetano Trovato e sempre con lui – da sous chef de cuisine senior - partecipò per una decina di giorni al summit della cucina italiana a Hong Kong. Abbastanza per farsi notare dal manager del Grand Hyatt Hotel che ha seguito i suoi passi da lontano, nei passaggi in cucine come quelle di Nino Di Costanzo e Régis Marcon, tre stelle di Francia a tutta naturalità e prodotti stagionali dove riuscì ad approdare grazie a una tenacia incrollabile. Esperienze che lo hanno riportato a Hong Kong, richiamato per una prova di cucina impegnativa. Cercavano qualcuno come lui: giovane, appassionato, con un bel curriculum.

Foto: Letizia Cigliutti

«Mi hanno trattato come uno cheffone famosissimo, ho trovato una limousine ad aspettarmi per la prova, uno dei food tasting più difficili della mia vita: 4 piatti della tradizione, uno con la mia personalità». Un esame vero e proprio, superato brillantemente. È la fine del 2014, Cozzolino ha 25 anni e diventa chef de cuisine del Grissini al Grand Hyatt. Rimane 5 anni, ricchi di soddisfazioni, è chef dell'anno per la Guida Top Italian Restaurants 2017.

Ristorante La Loggia del Belmond Villa San Michele, Foto: Mattia Aquila

Poi il ritorno in Italia, nel 2019 al Belmond Villa San Michele sulle colline di Fiesole. Lo abbiamo intervistato e ci ha raccontato di un mondo di expat dell'alta cucina e di come venivano trattati, in un modo che forse in Italia non esiste: «Ma nessuno chiama uno chef di Hong Kong per farlo venire a Firenze». Le differenze tra due mondi così distanti? Ce le ha raccontate lui.

Che anni sono stati quelli di Hong Kong?

Sono stati un'occasione per arricchirmi. Essere diverso è una cosa che ti forgia, venivo dall'Italia dei piccoli paesi, e sono finito a Hong Kong, sono stati anni di cambi di abitudini e modi di fare; quella città mi ha dato una grandissima energia, mi ha fatto crescere in modo pazzesco.

Il tuo essere italiano ti ha condizionato?

Mi sono sempre sentito italiano, e sono sempre molto attaccato alle mie origini, ma ho colto l'occasione per fare altre esperienze. Però non ho mai voluto evadere, sono sempre stato me stesso.

E come la mettiamo con la distanza da casa? Dagli affetti?

La mia famiglia mi ha sempre fatto sentire la sua vicinanza, ovunque andassi. Poi con il mio contratto, ero molto tutelato: avevo bei benefit, l'aereo pagato per tornare a casa 2 volte l'anno, riuscivo a vivermi la famiglia anche più di ora. Ma lì all'epoca, prima del Covid, era normale: il governo diceva alle aziende che se volevano un expat dovevano prendersene cura. Avevo un permesso di soggiorno lavorativo garantito dalla mia azienda, quando mi hanno assunto mi hanno aperto un conto in banca, trovato casa, assegnato per due mesi un coach per aiutarmi nelle cose pratiche, perché dal momento in cui esci dall'aeroporto c'è una differenza ambientale e di lingua. Pensa che lì le grandi famiglie pagavano insegnanti di bon ton per i figli che devono venire in occidente.

Come è la vita a Hong Kong per uno straniero?

O hai un carattere forte o è difficile: Hong Kong è una delle città più costose al mondo, dove ci sono tante opportunità, ma anche il rischio di perdersi. Puoi spendere lo stipendio senza neanche accorgertene. Sono stato un po' folle a partire così, ma anche fortunato andando in un'azienda che si è presa cura di me. Ora ammetto avrei un po' paura a ripartire.

Come si vive in una società così diversa dalla nostra?

Sono stato benissimo, la cultura cantonese in fondo è molto simile a quella italiana: si sta insieme, si mangia insieme a tavola, quando si entra in confidenza si diventa una famiglia. La comunicazione per l'80% era fatta di emozioni, di espressione degli occhi, perché parlavamo in inglese, una lingua non nostra. Sono tornato l'autunno scorso per una settimana, mi hanno accolto come un fratello: in 5 anni ho creato legami pazzeschi con persone che mi hanno insegnato delle cose che a 24 anni non sapevo neanche esistessero.

E allora come mai sei rientrato?

Non sono andato via perché volevo andare via: ho avuto un'opportunità che mi pareva buona e l'ho colta. Noi cuochi ci nutriamo di ingredienti, tecniche ma anche di stimoli e fino a che li hai non pensi ad andare via – e il Gran Hyatt te li dà e anche tanti, con eventi pazzeschi e clienti internazionali, venivano Stallone, Schwarzenegger, i Coldplay – ma con Villa San Michele ci fu un'altra opportunità, con stimoli ancora più forti. Mi sono detto che era il momento di tornare a casa e cominciare un nuovo progetto, nella mia nazione.

Cosa ti ha convinto?

Ti dici: «forse posso fare bene anche qui» e ti metti in gioco di nuovo. Guardi la vista da Villa San Michele, per uno appassionato di arte come me, e ti dici: «è ora di tornare a casa».

Solo quello?

No, è anche una questione di stimoli culinari: la Toscana è una terra stupenda, di grandi prodotti e grandi produttori, qui sono sempre in contato con i fornitori per studiare la stagionalità che ormai non è più primavera estate autunno e inverno, ma più specifica, per questo devi avere un estremo rapporto con chi produce. Mi sto divertendo un sacco da questo punto di vista, in più è un progetto completamente diverso, mi stimolava di avere più responsabilità rispetto a prima, qui abbiamo 3 ristoranti, lì ne avevo solo uno, poi c'era un secondo team per gli eventi.

Non ti manca quell'ambiente internazionale?

No: anche qui nel team non ci sono solo italiani, ma persone di diverse culture, siamo molto aperti. La cucina è una famiglia, l'ho sempre vista così, abbiamo un obiettivo di appassionarci e far appassionare.

Alchermes Santa Maria Novella-Foto: Letizia Cigliutti

E le differenze di approccio in cucina?

Ho un personale background, io la salsa pomodoro la faccio sedano carota e cipolla, un altro cipolla e aglio, ma diciamo che la cucina è così sentimentale che riesci a trovare nuovi compromessi anno dopo anno. È come una squadra di calcio, non trovo tante differenze: è un lavoro di gruppo dove ogni elemento porta la sua tecnica.

Come è l'organizzazione del lavoro?

Fai la turnazione, con i 2 giorni liberi a settimana, altre strutture che fanno solo un giorno libero, la legge italiana ha degli orari, rispetti quelli e sei a posto. Nei grandi hotel è così, in tutto il mondo.

E dal punto di vista pratico?

Devi adeguarti: il primo anno mi hanno consigliato di entrare nella cultura e nelle abitudini locali, per esempio ci sono dei giorni in cui le persone devono stare con la famiglia, come nel capodanno cinese, e non puoi negarglielo, quindi facevo turni e orari apposta.

Come cucina, invece?

In termini tecnici mangiavano più sciapito, qui usiamo capperi o acciughe, mentre loro ci andavano molto cauti con questi ingredienti. Ma si spingeva più sull'umami.

Cosa hai riportato dall'esperienza a Hong Kong?

L'internazionalità, lì ho aperto la mente, ho assaporato l'incomprensibile, e anche alcuni gusti e prodotti nuovi.

Quali?

Per esempio gli esaltatori di sapidità, la soia di tutti i tipi, il tè al gelsomino: ho provato un tea pairing veramente interessante, mi ha aperto un mondo gastronomico. E poi tante cose: il modo di lavorare il riso lungo, il modo di cucinare i volatili, personalmente ho imparato tanto. Prima conoscevo solo l'Europa, e noi europei in fondo siamo simili, lì c'è un altro stile di vita, un altro modo di relazionarsi, comportarsi, di parlare, per non parlare delle abitudini a tavola, hai la ciotola, il piattino per quel che avanza. Ormai li conosco benissimo, so perché si comportano in un certo modo. E ti dico che anche se è una cultura a sé, molto raffinata, a tratti è molto simile all'Europa. Il mio cuore è ormai cantonese.

E le aziende funzionano in modo diverso?

Ogni realtà ha i suoi budget, e quando accetti di lavorare con una azienda accetti anche quello. Ma poi quando devi gestire un ristorante lo fai come se fosse il tuo per arrivare al target prefissato. Devi avere costante attenzione su acquisti e ricavi, hai il tuo budget e il food cost. Facciamo molti meeting con i capi servizio per analizzare l'andamento della struttura, ognuno nel proprio reparto deve far sì che sia proficuo mantenendo la qualità. All'inizio puoi incontrare difficoltà perché essere responsabile delle persone è difficile, ma poi nell'organizzazione di un determinato lavoro le procedure sono le stesse, il risultato è lo stesso, magari variano i template, i programmi, alcuni step, ma l'obiettivo è sempre quello in termini di budget, formazione del personale, coaching.

Il personale è un punto chiave...

Con il personale non si smette mai di imparare, non c'è una regola standard per tutto il mondo né per l'Italia, devi coinvolgere tutti e farli appassionare e affezionare alla tua idea di cucina. E devi capire come poter far diventare sempre più brave ogni persona che hai di fronte.

Come ti vedi in futuro?

Quando mi immagino tra qualche anno, mi chiedo cosa vorrei: la risposta è imparare di più. Firenze ti dà stimoli quotidiani, anche solo guardando la città dalla loggia del Villa San Michele. Nella vita ti accadono delle cose e se hai un feeling giusto decidi di andare avanti o fermarti, ho mille occasioni per cambiare strada, ma qui è molto stimolante.

Belmond Villa San Michele - Fiesole (FI) - via Doccia, 4 - www.belmond.com/it/villa-san-michele-florence/

 

Foto di copertina: Letizia Cigliutti

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