Quale è l'esperienza gastronomica più sorprendente del 2019? Lo abbiamo chiesto a chi mangia fuori casa per lavoro: giornalisti, critici gastronomici e operatori del settore. Persone avvezze a girare per ristoranti, che non è facile stupire. Abbiamo chiesto loro in quale occasione, in Italia e fuori, si sono meravigliati. Qualcuno ne ha indicate di più, qualcun altro si è limitato all'Italia, qualcun altro si è concentrato su un piatto.
GIOVANNI ANGELUCCI
Acquolina: Daniele Lippi ha da poco preso in mano questa cucina e ha dimostrato da subito polso e grande tecnica. Cenare da Acquolina non appaga solo il palato: il percorso “Bosco e Riviera” è soprattutto in grado di dilatare i sensi con giochi stupefacenti. Il primo ricordo dello chef Lippi sarà sempre il suo “Topinambur Come un Carciofo”, capofila impareggiabile di una squadra di piatti che compongono la mia cena dell’anno tra materie prima di alta godibilità, ricette uniche, estro e umiltà.
Senza dubbio alcuno, l’esperienza “estera” memorabile del 2019 non può che essere incarnata dal nuovo ristorante Alchemist di Rasmus Munk, a Copenhagen. Sono stato seduto 4 ore sotto un cielo artificiale in cui scorreva l’aurora boreale e mi sono state servite le 50 “impressions” che questo genioide ventottenne ha pensato per il suo ristorante dalla realtà aumentata. Mammelle da succhiare, lingue umane in silicone da assaporare, fantasia e genialità rese commestibili. Entrano in gioco più dimensioni, non solo mentali ma anche fisiche, ci si muove tra spazi diversi, una cucina olistica per ridefinire i pasti. Un’esperienza imprescindibile per ogni gastronomo che si rispetti.
GIORGIA CANNARELLA
L’Arrogant Pub di Reggio Emilia sembra un qualunque pub di provincia, e invece è un locale per cui scomoderei l’aggettivo “pazzesco”. La selezione di birre artigianali ha pochi rivali in Italia e Alessandro Belli porta avanti un incredibile lavoro di ricerca sulla carne: tra “patatine” di lingua di maiale, hamburger con tartare di fassona e di contorno un’indimenticabile ratatouille, si mangia molto meglio che in posti blasonati (e si spende molto meno).
Nel cuore della campagna del Burgenland, Taubenkobel è un boutique hotel dal lusso rustico, reso famoso dall’omonimo ristorante fine dining al suo interno. Ma a valere davvero il viaggio è l’osteria Greisslerei: verdure del loro orto, cotolette croccantissime, e come vino della casa Gut Oggau (l’azienda vinicola biodinamica è di proprietà della stessa famiglia). È celebre la loro torta meringata al limone: assaggiatela e capirete perché.
ALBERTO CAUZZI
L’argine a Vencò. Una cuoca nella piena maturità, Antonia Klugmann, che ha saputo realizzare una sua timbrica in linea con la sua cucina, che è ricca di erbe spontanee. All’uso sapiente di erbe si unisce, però, una tendenza onnipresente, lievemente dolce, che ingentilisce e smussa leggermente gli angoli in favore di una profondità non usuale dove anche il dolce, come il salato, funge da veicolo gustativo. Ecco dove risiede la sua originalità: In quel tocco femminile che va a smussare uno stile decisamente di nerbo e carattere.
Momofuku Ko – New York. A dispetto del suo impegno in trasmissioni televisive e catene di ristoranti, David Chang nel suo posto d’elezione - dove tutto ebbe inizio - propone una cucina vivida, scintillante, intensa ma al contempo scherzosa e irriverente. Con una personalità unica. Da ricordarsi ancor di più per il fatto che è la riproduzione di piatti pensati, concepiti e realizzati per la prima volta almeno una 20ina di anni fa. Uno dei tanti simboli ? Ostrica di pollo fritta, come se fosse un chicken mc’nuggets.
ANDREA CUOMO
Ok, gioco facile: un tristellato, Enrico Crippa. Fuori da ogni narrativa, schivo e quasi offeso dai meccanismi della comunicazione contemporanea. Però: che emozione vederlo uscire da Alba con un furgoncino bianco, vederlo aggirarsi per il suo orto grande come cinque campi di calcio per scegliere una a una le erbe che finiranno poche ore dopo sul tuo piatto. Un’esperienza circolare, rigorosa e filologica, un film in lingua originale senza sottotitoli di cui capisci ogni passaggio.
VIRGINIA DI FALCO
Per me un 2019 senza molti giri né grandi viaggi, purtroppo. Eppure non sono mancate le esperienze sorprendenti. A Roma, la crescita matura e felice di Osteria Fernanda, con il piatto che più mi ha colpito quest’anno: rigatoni con lumache, bufala ed estratto di radici. Intenso, amaro, modernissimo.
All’estero, invece, il felice assaggio di Hygge danese, con una indimenticabile cena all’Amass di Copenhagen: radici, pesci e tuberi resi preziosi e ricchi da una cucina, un servizio e un’atmosfera super confortevoli.
DANILO GIAFFREDA
Le mie due esperienze a tavola più emozionanti del 2019 le ho vissute entrambe in Calabria, terra certamente difficile e ostica, ma con cucine giovani in irresistibile ascesa che tentano un riscatto necessario e improcrastinabile.
Il ristorante di Luigi Lepore a Lamezia Terme serba un progetto gastronomico chiaro, vivace e intraprendente con la Calabria al centro, resettata e filtrata attraverso le esperienze in giro per l’Italia e all’estero dei tre giovani conduttori.
Luca Abbruzzino nell’omonimo ristorante di famiglia a Catanzaro stupisce per la sensibilità con cui addomestica e plasma la memoria gastronomica regionale, restituendola in forme e sapori nuovi, sorprendenti, ma sempre puntualmente riconoscibili.
SONIA GIOIA
Enrico Bartolini, fresco di ingresso nell’empireo dove stanno gli chef tristellati, ha riservato le sue prime parole a Donato Ascani, il giovane capitano del Glam di Venezia. Un eccesso di generosità? Non solo. Un franco e lucido riconoscimento per uno dei talenti più luminosi della scena gastronomica italiana, le sue Acquadelle in salsa sono un capolavoro espressionista di gusto, identità, genio e bellezza. Da Venezia a un veneziano, dalla complessità delle architetture gastronomiche di Palazzo Venart al paesaggio semplificato di una merenda a base di pane e olio nel sacrario di casa Pol a Fobello (Vulaiga a Vercelli). Una liturgia domestica e mistica officiata dal padre del lievito madre, fuori dal tempo, fuori da ogni sovrastruttura, ammaliante e autentica come la forza primigenia degli elementi: farina, lievito e acqua di montagna.
LUCA IACCARINO
Ora: non ci sarebbe sorpresa a dire che l'hotel Santa Caterina di Amalfi è un luogo splendido, e che il suo ristorante Glicine è un buon posto: ha anche preso la stella Michelin un mese fa. Ma avendo avuto la fortuna di soggiornarvi, è il pranzo al Ristorante al mare che mi ha innamorato: il Mediterraneo nel piatto, cose semplici, semplicemente buonissime. L'alta ristorazione che ha l'umiltà e l'intelligenza di inchinarsi ai prodotti migliori del mondo.
Giuro: su MIL non avevo alcuna aspettativa. Del progetto fitzcarraldiano di Virgilio Martinez affacciato sui cerchi di Moray, un'ora e mezza da Cuzco, non sapevo nulla, mi ci sono trovato proiettato all'improvviso, come un esploratore che approda in una terra sconosciuta. Lama, alpaca, contadini, campi di quinoa, mais, patate variopinte, la tavola condivisa con persone avventurose, il cacao in forme antiche e nuovissime per me.
GIULIA MANCINI
Restaurant A.T. a Parigi: il minimalismo delle linee di arredamenti si riflette nel piatto costruito con impatto visivo pulito ma articolato, ma anche nei sapori nitidi e ricercati, ponendo in risalto il pregio degli ingredienti e la creatività dello chef Atsushi Tanaka, giapponese di nascita e allievo di Pierre Gagnaire. Ricercata la carta dei vini naturali.
Villa Rosa di Nonna Rosa: una cucina che non spezza la continuità con il paesaggio circostante ma ne è l’integrazione, traendo spunto dalle stagioni e dalla memoria, attingendo all’orto e al giardino. Genuina come il pranzo della domenica del passato, buona come la cucina di Peppe Guida: pasta arruscata da lode. Colazione che fra panorama, qualità e offerta merita una menzione a parte.
PAOLO MARCHI
23 luglio, Castellamare di Stabia per pranzare a Piazzetta Milù. Stessa famiglia, la famiglia Izzo, ma ormai tutti e tre i fratelli lì, compreso il più giovane, Maicol, il cuoco. Non scorderò mai il suo Pollo arrosto con la sorpresa, un qualcosa che fa la differenza tra un ottimo pollo e una bontà che mi ha spinto a invitarlo a Identità Golose 2020 perché ce la racconti.
Non avesse dei gusti barbari sulla pizza avrei dei dubbi tra il Momofuku di David Chang e il Cosme di Enrique Olvera e Daniela Sono-Innes visitati a fine settembre, ma la pizza è una cosa seria, quindi: viva il Cosme e la sua allegrissima serietà e piacevolezza.
TANIA MAURI
Dashi di pizza nato dall'incontro tra la Marinara di Ciro Oliva e la tecnica dello chef Giuseppe Iannotti che ha mantenuto tutti i sapori e gli umori sia la naso che al palato. Geniale.
Millefoglie di sedano rapa, avocado fermentato 18 mesi, estratto di cocco e semi di chia al Pavillon Ledoyen di Parigi. Massima esaltazione del vegetale.
ALESSANDRA MELDOLESI
Di sorprese ne ho avute tante in ristoranti già sorprendenti, come il Lume, Del Cambio e Inkiostro. Parlando invece di novità assolute, mi balza in mente il nome di Davide Guidara, giovanissimo chef siciliano che seguo da anni e che nel suo nuovo ristorante, il Sum di Catania, ha finalmente modo di esprimere tutto il suo talento. Una crescita tanto netta quanto repentina e uno stile molto più centrato, 100% mediterraneo, che si è decantato da ogni tentazione dimostrativa.
In Portogallo Joao Rodrigues di Feitoria per il suo puristico e classicistico carabinero à la presse.
ALESSANDRA MONETI
La riscoperta del fuoco - in tempi di sushi, tartare e carpacci dilaganti – è stata per me l’esperienza più inaspettata in Italia. Sembra poco, ma l’emozione di una pietanza calda e del ristoro attento al benessere l’ho provata con Daniele Usai a Il Tino. Al cantiere navale di Fiumicino ci sono arrivata sotto una pioggia scoraggiante, e ho trovato non solo il calore dell’accoglienza ma anche un locale stellato pieno di giovani clienti. E il sapore netto dei tagliolini alla bottarga di ricci di mare, limone e burro affumicato e di una bouillabaisse che porta lontano nel tempo e nello spazio.
Ad Aarhus, meta-cult in Danimarca per i food lover, morsi di natura fuori e dentro il piatto: dalle vetrate di F-Hoj vedi raccogliere radici e erbe che lo chef Vassim Hallal esalta e sposa col pescato dei mari del Nord.
CARLO OTTAVIANO
Sapori, mestiere, umiltà. Sono i tre parametri sommando i quali indico la mia cena migliore al Lunasia di Viareggio. La memoria del sapore che mi è rimasta è in particolare del gelato ai ricci di mare che Luca Landi compra all’Isola della Meloria. Ma anche la sensazione del grande mestiere dello chef che accanto alla sapienza rubata al mitico Angelo Paracucchi, di cui fu allievo, associa l’innovazione tecnologica nella cucina disegnata da lui stesso. Infine umiltà, perché nell’anno di chiusura per la ristrutturazione, Landi – come un qualunque stagista – è andato a lavorare da colleghi stellati. Come adesso è lui, avendo meritatamente riconquistato il Macaron.
CARLO PASSERA
Indico il Sum di Davide Guidara, classe 1994, a Catania. Lavora su quella che Corrado Assenza chiama retroinnovazione e contribuisce a delineare una potenziale Nuova Cucina Mediterranea: «Noi giovani siamo emigrati per imparare culture, idee, tecniche che ora esprimiamo mischiando le vecchie contaminazioni mediterranee con una nuova, contemporanea». All'estero, sono rimasto stupefatto dalla forza della ricerca - anche storica - e dall'eleganza dei piatti di Paco Morales al Noor di Cordoba, Andalusia.
LUCIANO PIGNATARO
Non conoscevo il cardone, la minestra tipica di Benevento che si prepara a Natale con sfilacci di pollo e uova. Porto nel cuore questo piatto preparato dalla storica trattoria Da Nunzia come l'emozione più bella e inaspettata di questo 2019, pur ricco di tante cose buone e varie. Sapore, materia prima da sballo e un po' di cuore che male non fa di questi tempi dettati dall'algoritmo.
All'estero l'esperienza che consiglio a tutti è andare a Parigi da Giovanni Passerini, cucina italiana moderna, non manieristica, aperta, ricca di tecnica e di cultura profonda dei prodotti come dimostra la pasta mista con fagioli di Controne e gamberi e uno strepitoso cinghiale, il più buono mai mangiato nella mia vita.
PIETRO PIO PITZALIS
Davvero inaspettato è stato il pranzo al ristorante Nostrano di Stefano Ciotti, con una serie di piatti che hanno evidenziato la capacità di esprimere una cucina di mare contemporanea sul filone Senigallia. Piatti dai quali emergevano elementi di freschezza ben delineati con gusti capaci sul finale di elargire sensazioni di conforto e appagamento.
Non ho viaggiato molto all'estero quest'anno e comunque non per visitare ristoranti. Ciò che più invece mi ha colpito è stata la partecipazione ad alcune cene in Italia con grandi chef stranieri. Ribadendo la mia tesi che spesso e volentieri esprimersi ad alti livelli durante una cena evento fuori dal proprio ristorante non è sempre una scelta vincente. A ribaltare questa argomentazione è stato Quique Dacosta, durante la cena in occasione dell'evento dedicato alla Nocciola Piemonte IGP delle Langhe. Il suo team arrivato due giorni prima, ha messo a punto un menu perfetto basato principalmente su piatti d'avanguardia associati a nocciole e grattate (in alcuni casi da Quique personalmente) di Tartufo bianco d'Alba. Una raro caso di cena perfetta ad altissimi livelli al di fuori del proprio ristorante.
SARA PORRO
Fuori dall'Italia: The Alchemist a Copenhagen. Un'epica tradotta in un menu invece che in un poema, in equilibrio tra l'innegabile brillantezza e il peso del suo storytelling a sfondo sociale. Un ristorante costruito tenendo lo stupore degli ospiti come stella polare, dal "biglietto di ingresso" commestibile alla volta dove meduse animate nuotano pigre sopra le teste dei commensali
In Italia? L'imbuto, a Lucca. La libertà formale ed espressiva di Cristiano Tomei come cuoco è molto rara in un panorama in cui le influenze reciproche tra gusti e stilemi sono la norma. Il cuoco viareggino fa tutto a modo suo, a partire dagli ingredienti feticcio (chi altro sceglierebbe l'elicriso?)
LORENZO SANDANO
Miglior esperienza 2019: doppietta di menu al Relae di Copenhagen, Ho sempre provato discreta difficoltà a replicare un'esperienza fine-dining nello stesso ristorante, a distanza ravvicinata. Spesso troppo impegnativo da un punto di vista fisico, psicologico, emotivo (ed economico anche). Questa estate, per puro caso, mi sono trovato a raddoppiare un pasto al Relae di Copenhagen per due giorni di fila: cena con menu Experience e pranzo (il giorno seguente) con menu vegetariano. Sorprendente. Non solo per il livello esecutivo e per la varietà degli assaggi, ma soprattutto per la quotidianità evoluta dell'offerta. L'integrazione raggiunta dal team di Christian Puglisi con i prodotti biologici della Farm of Ideas e con la filosofia materica/stagionale promossa nei locali della Relae Community è tangibile - nonché vincente - in ogni sua forma espressiva. Riportando freschezza, profondità e gesto tecnico, lungo una metrica dalla leggibilità immediata e sostenibile. Capace di arricchire, senza affaticare mai mente e palato. Sala e cantina, coordinate dal talentuoso Alessandro Perricone (socio di Puglisi), risultano fuse con limpida agilità ai ritmi della cucina. In un intreccio sinergico perfetto. Il tutto, a prezzi più che contenuti per uno stellato danese: 120 euro circa per il percorso onnivoro 'lungo' e 65 per quello vegetariano. Senza dubbio la mia doppietta dell'anno.
SARAH SCAPARONE
È nelle Fiandre Occidentali, quasi al confine con la Francia, che ho mangiato il piatto più sorprendente di questo mio 2019 gastronomico. La sua unicità deriva dall’utilizzo dei piccoli gamberi grigi che qui vengono pescati con l’utilizzo di reti a strascico trainate da cavalli. Con questo ingrediente Willem Hiele realizza una bisque che serve come fosse un cappuccino, da sorseggiare inzuppando il pane a lievitazione naturale cosparso con burro e gamberi. In Italia invece porto nel cuore il pranzo da Marco Sacco al Piccolo Lago di Verbania dove ho assaggiato una delle anguille più spettacolari della mia vita.
LUCIANA SQUADRILLI
Non una nuova scoperta, ma una cena in un ristorante già noto della città in cui vivo – Roma – che ha decisamente superato le mie aspettative e i miei ricordi: all’Enoteca La Torre a Villa Laetitia, dove Domenico Stile manda in tavola piatti esteticamente curati ma soprattutto godibili e nitidissimi.
A Londra, invece, sono rimasta colpita dalla cucina diversa da tutto quanto già assaggiato (e piccante, cosa che di solito non amo) di Jeremy Chan da Ikoy: ingredienti dalla Nigeria, tecniche dal mondo, tanto sapore e poco ego.
VALENTINA VENTURATO
George Restaurant al Parker’s Hotel di Napoli. Sono ormai lontani anni luce i tempi in cui nei ristoranti dei grandi alberghi si mangiava male e il George’s Restaurant del Parker’s hotel di Napoli ne è la ennesima conferma. Un posto meraviglioso al sesto piano di questa bellissima dimora partenopea che oltre alla vista mozzafiato offre una cucina elegante, territoriale quanto basta e solida. Dirige l’orchestra Domenico Candela, chef completo che passa senza paura dallo spaghetto ai 7 pomodori alla lièvre à la royale.
Dinner by Heston Blumenthal London. Un luogo che ci riconcilia con la ristorazione di qualità, direi di classe anche, perché le attribuisce quel carattere democratico che spesso le manca. Siamo in una delle zone più centrali della city al primo piano del Mandarin Oriental Hotel. Cucina a vista, divani e sedute comodissime, servizio attento e una proposta gastronomica eccellente, il tutto per 45 sterline a persona e una stella Michelin. Immancabile nel menù il meat fruit, fantastica la zuppa di funghi.
VALERIO MASSIMO VISINTIN
Opere minori di cuochi celebrati. Trattorie moderne (detestabile ossimoro) elettrizzate da ambizioni velleitarie. Repliche infinite di format alla moda: pizzerie “gourmet”, taquerie, bowl, ceviche. Per la scintillante Milano da mangiare è stato un anno prolifico quanto ingeneroso. Nei casi migliori, ho trovato semplicemente quel che era legittimo attendersi. A sorprendermi, semmai, è la cocciuta superficialità con la quale gli imprenditori investono i quattrini, ignorando che il mercato è una livella.
NICCOLÒ VECCHIA
Lume di Luigi Taglienti a Milano. Uno chef da anni in continua e costante evoluzione, che in questo locale dall’estetica minimale e però avvolgente, con una sala di livello assoluto, sembra aver trovato l’equilibrio perfetto. Lo stesso che si trova nei suoi piatti, sia quando Taglienti gioca a rileggere il classicismo, sia quando esprime fino in fondo la sua creatività più estrema. E poi Disfrutar di Mateu Casanas, Eduard Xatruch, Oriol Castro. Non è più una sorpresa questo caposaldo della scena gastronomica di Barcellona. Ma lo è ugualmente ogni visita da Disfrutar. Per la continua, instancabile ricerca che i tre chef sanno mettere in campo, anno dopo anno: uno dei pochi ristoranti al mondo che possa ancora permettersi di richiedere quattro ore di attenzione e stupore ai propri clienti.
a cura di Antonella De Santis