E le stelle stanno a guardare. A Milano ci sono 17 ristoranti stellati per un totale di 22 stelle Michelin (uno ne ha tre, tre ne hanno due), ma secondo i foodies meneghini alcuni di essi non meriterebbe questa distinzione, che spetterebbe invece ad altri locali i cui chef non hanno il macaron ricamato sulla giacca bianca. Vediamo quali sono i migliori non stellati della città e cerchiamo di capire per ciascuno il perché di quel "non".
I migliori ristoranti non stellati di Milano
Bu:r
Eugenio Boer è probabilmente il primo della lista quando si parla di uno chef che dovrebbe essere stellato e non lo è. La sua cucina è certamente più ricca di audacia e pensiero rispetto a molti colleghi "distinti". Certo, non aiuta il fatto che a suo tempo lasciò l'Essenza in via Marghera dopo aver ottenuto il macaron, ma sarebbe ora che i soli francesi visitassero con attenzione questo posto per dargli la categoria che merita.
Pellico 3
Questo ristorante all'interno del Park Hyatt che aveva conosciuto addirittura le due stelle all'epoca del Vun di Andrea Aprea conosce da qualche tempo la mano di Guido Paternollo, uno dei pochi enfant du pays al lavoro nelle cucine milanesi. La sua mano mostra talento ma anche qua e là qualche incertezza, ma l'ambiente e la cantina sono da stellato, per cui probabilmente sarà solo questione di tempo.
Voce Aimo e Nadia
Il secondo locale del duo Alessandro Negrini e Pabio Pisani sta secondo noi accorciando di anno in anno la distanza con la casa madre di via Montecuccoli, anche grazie al fatto che è di fronte alla Scala e che gode della possibilità di utilizzare nella bella stagione il giardino di Alessandro Manzoni. Forse l'estetica da bistrot chic non piace ai francesi che pensano a un'indebita appropriazione culturale.
DanielCanzian
Il buon Daniel forse dovrebbe essere meno timido ed essere più orgoglioso della sua cucina profondamente artigianale, con un'estetica forse un po' troppo personale per incontrare il gradimento di tutti. Ma la coerenza del suo percorso dell'ultimo decennio (più o meno) e il suo classicismo proverbiale sono comunque meritevoli di attenzione.
Autem
In questo caso è probabilmente solo questione di tempo. Luca Natalini ha aperto il suo locale a due passi da Porta Romana a metà del 2023 e i critici della rossa hanno forse voluto riflettere un po' di più su quale distinzione attribuire a questa cucina ricca di personalità e idee, a partire dal menu scritto a mano personalmente e ogni giorno dallo chef. E poi la sua pasta in bianco con aceto, vermuth alle prugne e miele dà finalmente un senso alla rivalutazione di questo piatto da fuori sede.
Wicky's Innovative Cuisine
Apriamo il capitolo spinoso degli orientali a caccia di stelle. Il singalese Wicky Pryan con la sua storia salgariana da anni conquista i milanesi con la sua idea di cucina a ispirazione giapponese ma contaminazioni da tutti i continenti. Alcuni considerano questa la migliore tavola esotica della città, magari non sarà così ma non contraddite lo chef altrimenti sfodera una delle katane con cui sfiletta il esce.
Gong
(corso Concordia, 8) Per tanti altri è invece questo, condotto dalla elegantissima Giulia Liu, il secondo orientale a meritare la stella dopo Iyo di Claudio Liu, che di Giulia è fratello. Di certo ci troviamo davanti a un locale davvero rimarchevole per ambientazione e per precisione della proposta, assai creativa (è realizzata dal romano Guglielmo Paolucci, altra singolarità). Non smettiamo di sperarci
Zelo
(via Gesù 6/8) Il ristorante del Four Seasons ha tutto per piacere: un'ambientazione strappa-applausi in una corte quattrocentesca, una precisa cucina a forte trazione nazionale, forse un po' priva di spinte avanguardistiche (ma lo chef Fabrizio Borraccino è bravo), un servizio davvero internazionale. Forse come in qualche piatto manca quel "kick", ma non è detto che sia male.
Sine by Di Pinto
Il napoletano Roberto Di Pinto ama parlare di gastrocrazia per indicare la sua idea di cucina democratica nel quale dominano le sue origini campane ma anche uno scanzonato sguardo alle tendenze internazionali contemporanee. Comunque un format che rappresenta un esempio per una ristorazione medio-alta in grande sofferenza in città, e che proprio per questo avrebbe bisogno di un riconoscimento.
Langosteria
Quando a un milanese chiedi quale sia il migliore ristorante di pesce di Milano, indica in molti casi questo locale (casa madre di un vero sistema Langosteria) per clienti altospendenti che vogliano la migliore materia prima toccata il meno possibile ma presentata in modo solenne e talora perfino trionfale. La cantina è di altissimo livello e avrebbe tutto per piacere ai signori della rossa.
Moebius Sperimentale
Forse ha pesato il fatto che Enrico Croatti, tornato in Italia dopo le glorie spagnole proprio per mettere mano a questo locale multiforme e spettacolare, abbia creduto in apparenza più al sempre affollato tapas bar al piano terra che al ristorante fine dining sospeso sul soppalco. Ma il menu di avanguardia che vi viene servito, in un'elettrica atmosfera di condivisione, è al momento uno dei più interessanti della città.
Ceresio 7
Un posto che andrebbe messo nella capsula delle cose di Milano da consegnare alla posterità per come sa interpretare una certa idea di Miano elegante e mondana, in un ambiente reso quasi hockneyano dalla piscina sul terrazzo. La mano esperta di Elio Sironi non sfigura di fronte a tante bellezza, forse avrebbe solo bisogno di rinnovarsi un po', ma probabilmente la clientela non ne sente il bisogno.
Motelombroso
Io credo tantissimo in questa insegna particolarissima, che ha dietro il genio irregolare dei titolari Alessandra Straccamore e Matteo Mazza e la cucina in travolgente crescita del sardo Nicola Bonora, che lavora su maturazioni, affinamenti, acidità e amari in uno percorsi tra i più evoluti in città. E poi il locale è di rara bellezza, una sorta di giardino zen nella periferia milanese. Unico neo: è scomodo da raggiungere.
Trippa
In un mondo perfetto Diego Rossi avrebbe da anni la stella per aver letteralmente reinventato l'idea di trattoria portandola da un secolo all'altro. Ogni volta che ci mangio mi chiedo perché ho fatto passare tanto tempo prima di tornarci. Ah sì, forse perché è difficilissimo trovare un tavolo. Ma escludiamo che un ispettore Michelin si fermi di fronte a così poco. Da clonare.