Aprire, chiudere, poi di nuovo riaprire ma solo per l'asporto, chiudere ancora e poi riaprire, ma solo fino alle 18, con la possibilità di chiudere ancora, se non domani, tra qualche giorno. Con la spada di Damocle di nuove misure di contenimento che pesano sul capo di tutti, grandi e piccoli. Che succhia risorse, energie, brucia riserve e impone delle scelte. Per alcuni la domanda è: “vale la pena riaprire, mettendo in moto una macchina molto onerosa per lavorare a mezzo servizio?” anzi meno, perché il valore del pranzo e quello della cena, nell'economia di un ristorante, non sono neanche lontanamente paragonabili.
È quel che si chiedeva Alberto Gipponi (ristorante Dina a Gussago in provincia di Brescia) appena poche ore fa, mentre ragionava sull'effettiva utilità di questa riapertura monca. Alla luce di un fattore che la pandemia sembra aver quasi rimosso: la fragilità di un settore che già a pieno regime trova a stento un equilibrio economico, in cui il pagamento posticipato dei fornitori – a volte anche di diversi mesi – riesce a mantenere in movimento un meccanismo sempre a rischio di grippare. Ora che le continue interruzioni del lavoro hanno tolto linfa e continuità a questo meccanismo, i problemi emergono con enorme evidenza, coinvolgendo un intero comparto sempre più in affanno, quello che dal produttore passa per il distributore, prima di arrivare al ristorante e cliente.
In ogni caso a questo punto della storia, dopo quasi un anno di immobilità, la voglia e la necessità di ripartire hanno spesso la meglio. E ognuno trova la sua formula e sperimenta alti quozienti di elasticità (possibili quasi esclusivamente nelle grandi città) per adeguarsi alle attuali condizioni.
Aprire solo il fine settimana o tutti i giorni
Per molti, aprire solo in diurna non è pensabile: è il caso di Fabrizio Pagliardi & soci che hanno deciso di concentrare l'attività di Barnaba di Roma (enoteca premiata con le Tre Bottiglie per la guida del Gambero Rosso) soltanto durante il week end dalla pausa pranzo fino all'aperitivo, come già prima dell'ultima tornata di chiusure. “Non ci stiamo dentro con i costi” spiega, anche perché per le enoteche è vietata anche la vendita di vino da asporto, dopo le 18. “Ma ogni situazione è diversa” aggiunge: da una parte, dipende se puoi gestire l'attività con i soli soci o devi mettere in conto anche lo stipendio dei dipendenti, dall'altra dipende dalla clientela e la zona: “se non sei in un posto con un'alta densità di uffici, meglio lasciar perdere durante la settimana” aggiunge, e lo dice a ragion veduta. L'altra sua attività, la Barrique, è aperta ogni giorno per il pranzo. Si trova a Monti, a un passo dalla Banca d'Italia, in una zona ricca di uffici da sempre molto animata a qualsiasi ora del giorno e della notte. “Adesso dopo le 5 si svuota”: tante attività commerciali hanno chiuso i battenti nell'ultimo anno, e anche l'ora dell'aperitivo (ovviamente anticipato) è molto più debole, soprattutto se non ci si rivolge a una clientela giovane, che non rinuncia all'uscita. Cambia dunque il volto del quartiere: “ora a pranzo sono aperti tutti: bar, ristoranti, pizzerie e cocktail bar”. Attività che, in mancanza di alternative, hanno cambiato orario di apertura e offerta, spartendosi una clientela di impiegati ben più contenuta di un tempo, a causa dello smart working. Ma pranzo e cena non hanno lo stesso valore commerciale, neanche nelle zone in cui c'è molto movimento: di giorno si mangia meno e soprattutto si beve meno. Lo scontrino medio? “20-25 euro a persona” risponde. Quanti coperti fare per sostenere il costo di un paio di dipendenti contando solo sul lunch break?
Chi potenzia il delivery e va offline
Per qualcuno il primo lockdown ha segnato la nascita di nuovi progetti che si sono poi rafforzati nel corso dei mesi successivi e ora si stanno ancor più concretizzando. È il caso degli shop che da virtuali diventano reali. Tra i primi a spostare offline il suo negozio digitale è stata Antonia Klugman, che ha portato a Trieste la proposta di Antonia a Casa, dando un luogo fisico al suo delivery. Simile l'esperienza di Eat me box, firmata Enoteca La Torre a Villa Letizia di Roma, che alla soglia del primo anno di vita, conferma il suo successo: “alcuni giorni superiamo i 200 ordini” racconta Rudy Travagli. Numeri che hanno spinto lui e Silvia Sperduti a trovare una casa al progetto, “anche per impiegare tanti ragazzi che erano fermi”.
Il locale di via Sabotino è uno store dedicato a Eat me box, ma a breve potrebbe avere un'evoluzione: “nel giro di un mese o due, in quello spazio ci sarà anche un piccolo bistrot e un american bar”, con una proposta semplice: “può essere l'hamburger della Dogana di Capalbio (uno dei locali stagionali del gruppo, insieme alla Macchia e, da quest'anno, il Glamping, ndr) o il risotto di Villa Letizia, oppure dei poke o alcuni bocconi da accompagnare ai cocktail. Nulla di strutturato”. Lo spazio non manca, le idee neanche, come dimostrano le molte proposte delle box che tra occasioni importanti o piccoli sfizi quotidiani, registrano un'altissima risposta (con tanto di endorsement di Chiara Ferragni). In cerca di casa è invece Turnè by Anthony Genovese, che soprattutto nel week end ha un buon riscontro, sia a pranzo che a cena: “contiamo di avere un locale per primavera” spiega Matteo Zappile; il nodo da sciogliere è legato alle licenze: “nel centro storico sono bloccate, quindi per rimanere vicini al Pagliaccio dovremmo fare solo punto di ritiro per l'asporto, se invece vogliamo mettere qualche seduta e fare anche somministrazione dovremmo cambiare zona”. Ma i prezzi dei locali non si sono abbassati? “Qui no” risponde laconico, mentre il ristorante principale scalda i motori e si prepara a riaprire dal mercoledì alla domenica, ovviamente solo a pranzo. Sempre a proposito di delivery potenziati, ci sono quelli che si spingono fuori dai confini cittadini, è il caso della Franceschetta58 di Modena che porta i suoi burger in giro per l'Italia, o di Joyi Tokuyoshi che - differenziata l'offerta con l'apertura della Bentoteca, a maggio ora la porta in tour in giro per l'Italia.
Chi differenzia l'attività o cambia offerta
È il momento delle dark patisserie: come è stato per Zia door to door di Christian Marasca, costola dolce di Zia, e di Sista firmato da Bros di Floriano Pellegrino e Isabella Potì, un altro secret restaurant a tutto dolce ha appena visto la luce, si chiama Cloé Patisserie. Per qualcuno che ha fatto emergere nella proposta delivery o take away solo una linea di prodotti, creando un inner address, c'è anche chi ha cambiato volto alla propria insegna: è il caso - a Roma – di Pasquale Livieri che ha trasformato la sua prima enoteca, il Sorì, in una bottega di specialità: le proporzioni mini del locale consentirebbero l'accesso a pochissimi clienti, e gli orari della zona gialla fanno il resto; tanto vale puntare su altro: detto fatto, nuovi banchi frigo e una selezione di specialità di alto livello ne hanno fatto una bottega, mentre cambia il nuovo Carter Oblio, declinando l'offerta gastronomica in una formula d'asporto a tutta scarpetta, che - visto il riscontro ottenuto - verrà probabilmente mantenuta anche in zona gialla, insieme alla carte del ristorante. Raddoppia e differenzia anche il maestro lievitista Diego Vitagliano, che alimenta il suo piccolo polo gastronomico di Bagnoli con 10Bakery, in attesa dell'apertura di 10 Bistrot, non appena sarà consentita l'apertura serale.
Chi raddoppia o triplica
Parola d'ordine: differenziare, una strategia imprenditoriale che i grandi chef e ristoratori hanno già capito da anni – basti pensare a Niko Romito che ormai tra ristoranti, bistrot, stazioni di servizio, caffetterie, negozi pop up di dolciumi, riesce ad avere una presenza capillare in diverse città, o a uno come Giancarlo Perbellini, che moltiplica insegne orientando l'offerta su diverse proposte (sfruttando anche i taxi per il delivery), mentre anche Enrico Bartolini è in odore di un'ennesima insegna sotto la Madonnina – e che sembra approdare anche fuori dalla stretta cerchia del Parnaso degli chef, soprattutto ora che il mercato immobiliare è in subbuglio: chi aveva in animo di aprire nuove attività si trova (talvolta ma non sempre) di fronte ad affitti e tassi d'interesse ai minimi storici, è dunque il momento giusto per investire e definire i progetti in ballo. Lo abbiamo constatato con il trio Perdomo-Press-Piras che tra Empanadas del Flac, Roc e Pastificio Urbano Exit sta colonizzando il tessuto meneghino, mentre Eugenio Roncoroni raddoppia il suo Al Mercato con la proposta a tutto hamburger e steaks. Differenziare è la parola chiave, sfruttare know how, spazi e competenze per entrare sul mercato con altre proposte intercettando un pubblico diverso in momenti diversi, come nel caso di Ernst Knam che sta per aprire la sua pasticceria senza glutine e lattosio, accanto a quella di Frau Knam.
Chi attende per riaprire
L'Italia però vive su due canali paralleli: da una parte le grandi città, Roma e Milano in testa, dall'altra la provincia: rimane chiuso fino a che non si potrà circolare liberamente tra regioni Kresiòs di Giuseppe Iannotti, che invece sta continuando il suo delivery di mare 8pus. Temporeggia, in attesa di capire come saranno le richieste, anche Antonia Klugmann: L'argine a Vencò torna operativa sabato prossimo, poi continuerà con il servizio del solo pranzo durante i fine settimana, estendendo l'apertura in caso di richiesta. “Possiamo contare solo su una clientela regionale, vedremo quante prenotazioni avremo” dice Vittoria Klugmann che conferma il buon riscontro del delivery. Intanto però, il b&b dell'Argine per ora rimane fermo: “per noi non avrebbe senso fare il servizio serale solo per 4 stanze”. Così come per Marcello Trentini non ha senso aprire Casa Mago "per sua natura un locale serale" in diurna: per ora si concentra sul Magorabin, aperti 7 giorni su 7 con una proposta arricchita da un nuovo menu vegetale.
a cura di Antonella De Santis