Spulciando tra gli archivi della Casa Bianca si può risalire a un breve comunicato risalente al 31 gennaio 1994, nel quale si riporta come l’allora presidente statunitense Bill Clinton e il cancelliere tedesco Helmut Kohl avessero “pranzato insieme” al Filomena Restaurant, locale italoamericano situato nel quartiere Georgetown di Washington. Tra un piatto di lasagne e un ossobuco alla milanese (solo alcune delle specialità culinarie del Belpaese presenti nel menù) i due discutono di argomenti che potrebbero essere presenti tutt’oggi nelle agende diplomatiche dei loro successori: «Sviluppi in Russia, Ucraina [...] e Medio Oriente», si legge nel documento.
Più di un semplice pasto
La genesi del ristorante si deve a JoAnna Filomena Chiacchieri, che nel 1980 si trasferisce da New York City a Washington per assistere l’anziana madre, semplicemente Filomena. La famiglia ha origini abruzzesi, e la cucina diventa uno dei veicoli attraverso i quali Mother Filomena racconta alla figlia la storia dei suoi antenati. «È cresciuta conoscendo l'Italia attraverso i suoi piatti tradizionali, ma era molto difficile trovare gli ingredienti qua negli Stati Uniti. Essendo molto creativa, ha adattato molte delle sue ricette utilizzando ciò che aveva a disposizione», racconta a Gambero Rosso Michael Chiacchieri, nipote di JoAnna. Sarà proprio la passione per i piatti della tradizione, unita ad una buona dose di inventiva ed ingegno, a fare scattare in JoAnna l’idea di aprire un locale dove «la cena fosse più di un semplice pasto», come le capita di sperimentare in diverse esperienze non proprio memorabili nei dintorni dell’area metropolitana della capitale statunitense.
L'arredamento, come nella casa della nonna
Il riconoscimento che JoAnna serba nei confronti della madre si spinge al punto che gli interni del locale vengono definiti un «santuario vivente» dedicato a Mother Filomena, come racconta Chiacchieri. C’è chi li ha definiti «esagerati», mentre ad altri è invece sembrato di tornare indietro nel tempo, «a casa della nonna». Quello che è certo è che le statue di marmo, il lampadario in vetro di Murano, le piante gigantesche, le sedie intagliate e i tavoli in rovere, oltre alle decorazioni specifiche per ogni festività dell'anno, rendono l’arredamento del Filomena tutt’altro che scialbo ed anonimo, presentando soprammobili che JoAnna ha trasferito proprio dalla casa della madre fino al ristorante. Tutto, insomma, parla italiano, compresa la musica che suona in sottofondo tra una portata e l’altra, tributo al marito di Mother Filomena, Antimo, musicista quando ancora scorrazzava per le campagne abruzzesi.
"Il Filomena mi piace, anche troppo"
Tornando alla diplomazia, l’atmosfera familiare – basti pensare che la pasta fresca viene preparata nella cucina a vista dalle cosiddette “Pasta Mamas”, signore che si premurano di salutare ogni avventore che entra nel locale – è stata sfruttata, nel corso degli anni, da diversi presidenti americani per addolcire, e forse un po’ viziare, i loro omologhi in visita alla Casa Bianca. Il già citato pranzo tra Clinton e Kohl era stato tuttavia proposto dallo stesso cancelliere tedesco, che tra i muri dell’Ufficio Ovale aveva ammesso di prediligere un arrivo serale negli Stati Uniti, «così vado da Filomena». Era il 26 marzo del 1993. «Forse, quando ritorno, potremmo andarci insieme, mi sembra che ti piaccia la loro cucina, no?» Emblematica la risposta del presidente americano.
«Sì mi piace. Anche troppo». La voce che la pasta alle vongole di Filomena fosse imperdibile doveva girare frequentemente in casa Clinton, dato che anche la moglie Hillary è stata più volte avvistata nel locale – forse a sua volta imbeccata da un'altra first lady avvistata più volte nel ristorante di Georgetown, Nancy Reagan – oltre a George W. Bush e all’attuale titolare della Casa Bianca, Joe Biden.
L'abbondanza delle porzioni, il vero punto di forza
«Cosa è rimasto in tutti questi anni di attività al Filomena?», chiedeva, ormai quattro anni fa, una reporter della Nbc locale al direttore di sala Dean Jensen, per gli amici “Dino”, in occasione dei quarant’anni dall’apertura del ristorante. «Our abbondanza in portions», la sua risposta. Esse sono rimaste generose «proprio come quelle che Filomena preparava per le sue riunioni di famiglia e per rendere la visita a casa sua un momento indimenticabile» spiega il suo pronipote Michael. Il menù è un’ode alla tradizione italoamericana. Dagli antipasti, che spaziano dai più classici arancini ai gamberi “Mamma Mia”, fritti e sormontati da una generosa dose di chili, per passare agli “Gnocchi della Mamma” o ai “Ravioli di Chiacchieri”, per concludere il tutto con un bicchiere di sambuca o di amaretto, «il nostro modo per ringraziare i nostri ospiti».
Non solo presidenti, il benestare delle star italoamericane
Un vero e proprio punto di riferimento, che è valso diversi riconoscimenti al locale nel corso degli anni. Da citazioni sul Washington Post e sul New York Times all’inclusione in diverse classifiche che contemplano i migliori ristoranti italiani della zona, fino alle menzioni in programmi televisivi “nostrani”, come Little Big Italy. Ma forse, la vera ciliegina sulla torta è stata la visita e il successivo apprezzamento espresso da alcune tra le più riconosciute celebrità americane dalle dichiarate origini italiane. «Tony Bennett», spiega Chiacchieri, «è il primo a venirci in mente come cliente abituale Gli piacevano i nostri calamari, il fritto misto di mare, i rigatoni con la salsa alla vodka e, naturalmente, la nostre salsicce e peperoni fatti in casa». Non solo il crooner per antonomasia, ma anche "The Voice" Frank Sinatra, il regista Francis Ford Coppola e l'attore Al Pacino, anche lui innamorato delle "Sausage and Peppers". «Molti anni fa si esibiva al Kennedy Center [centro d'arte a Washington] in uno spettacolo che credo si chiamasse Wooden Buffalo. La prima volta che venne al ristorante scelse di "rimanere nel personaggio" che interpretava, presentandosi con una giacca di pelle logora e una bottiglia in un sacchetto di carta marrone». Un'altra celebrità che, pur non avendo origini italiane, ha legato il suo nome al Belpaese grazie ai suoi anni di permanenza tra Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia, è la star del basket Kobe Bryant. «Venne a mangiare da noi, parlava benissimo l'italiano ed ebbe una bellissima conversazione con Dino», il ricordo di Chiacchieri.