C’è un posto a Centocelle dove il solo varcare l’ingresso è un po’ come regalarsi una vacanzetta… È un po’ decidere di fare il turista intorno a Roma, concedersi una gita fuori porta e godersi i sapori di una regione che sa bene come allettare palati robusti e desiderosi di emozioni forti. Parliamo di Proloco Centocelle, da 10 anni l’unica insegna romana (insieme alla gemella di Trastevere e alla prima nata Proloco Pinciano)Proloco Pinciano) che a pranzo e a cena propone tutti e solamente ingredienti del Lazio forniti, non a caso, da Dol (acronimo per Di Origine Laziale) che è a sua volta l’unico distributore per l’horeca che seleziona e commercializza e solo ed esclusivamente ingredienti e prodotti artigianali della regione. Fosse però solo per i prodotti, non basterebbe a giustificare l’immagine della vacanza golosa. In più, adesso, c’è da segnalare il “ritorno” a casa di Vincenzo Mancino (il titolare del locale e di Dol) e l’ingresso in squadra di un nuovo cuoco, Carlo Fiorini, che viene dall’esperienza di una osteria Slow a Veroli e che ha le mani e l’esperienza giuste per trattare i materiali a disposizione. Poi, basta la vista immediata dei sette metri di bancone dove ruotano in alternanza le chicche di almeno una quarantina di aziende laziali, per lasciare che olfatto e vista restino appagati e ci spingano a concedersi questa vacanzetta, questo piccolo ma intenso viaggio nei sapori della Città Eterna e della campagna romana che la circonda e la nutre dai tempi di Romolo e Remo.
Dalla BioOsteria a Proloco
Anche se vorremmo evitare di cadere nel trappolone dell’antico adagio “excusatio non petita…”, crediamo sia giusto motivare una per una le affermazioni di cui vi inondiamo e dunque il prologo al racconto di questa esperienza ha preso un po’ di spazio. Uno spazio che è anche un po’ filosofico, oseremmo dire. Perché quella che sta alla base della vita, dell’azione, della professionalità di Vincenzo Mancino è un po’ filosofia e un po’ ideologia, condite da una bella dose di idealità. Tutte caratteristiche – unite a una certa ruvidezza e a un mood poco “polite” o politically correct – che rendono il personaggio (Mancino) poco incline alla simpatia generalizzata (o lo si ama o lo si odia… oppure – ma risulta meno facile in un mondo in cui la gran parte delle frequentazioni e delle “amicizie” avviene via social – semplicemente lo si può stimare per quello che fa riconoscendone il senso) e poco avvezzo all’uso della comunicazione online. Insomma, potremmo definirlo poco mediatico; e anche per questo in giro e nei circoletti gourmet se ne parla poco. Eppure, il suo Proloco è sempre pieno e la gente esce da lì con lineamenti rilassati e appagati.
Incuriositi sia dal ritorno di uno che a Roma era arrivato come studente dalla natia Basilicata e poi si era affermato come cuoco, una ventina e più di anni fa, nella “BioOsteria” del Casale Occupato di Centocelle (segno dei tempi!), sia dal nuovo cuoco, ci siamo fatti un giretto a Proloco.
Nel piatto la campagna romana
L’impatto iniziale è godurioso con le “polpette garofolate” di Veroli, aromatizzate ai chiodi di garofano: fatte col castrato cotto nel pomodoro, tritato e assemblato in una pallotta che viene fritta in bianco e poi servita con il sugo di castrato iniziale. Una goduria vera che ci introduce immediatamente nella patria delle polpette e del castrato, tradizionali sapori cari ai romani, almeno a quelli che hanno una certa età. In realtà, queste polpette sono in grado di conquistare anche palati più giovani e meno avvezzi: basta che si tratti di ragazzi curiosi: il resto lo fa l’eleganza e la leggerezza della mano di Carlo Fiorini che riesce a trattare con una gentilezza estrema anche un piatto “ignorante” come la pajata alla cacciatora. Davvero da estasi. E già stiamo esplorando diversi territori intorno a una Capitale che per la regione intera è un fortissimo nodo di attrazione, di omologazione, ma anche di ispirazione: siamo sugli altopiani di Arcinazzo dove nasce il castrato. Siamo nel cuore di Veroli, centro della Ciociaria storicamente sentinella e avamposto per l’agro romano, nel cui territorio troviamo anche la cistercense abbazia di Casamari. Siamo negli allevamenti bovini del Reatino. E ci stiamo avvicinando alla Sabina, da cui proviene la carne (fantastica) di agnelli di razza Lacaune protagonista del piatto in arrivo, l’agnello brodettato, ricetta antica e molto molto rara da trovare in giro (non solo a Roma). Per inciso, difficilissimo trovare anche la carne di agnelli o pecore Lacaune, razza francese che produce un latte di altissimo pregio e dalla carne molto profumata.
La tradizione romanesca, oltre la Carbonara
Il resto della cena ci porta invece tra gli artigiani della Capitale: incontriamo un grande protagonista del gusto romano, Mauro Secondi con la sua pasta fresca e ripiena, con un raviolo di broccolo romanesco (altro ingrediente centrale che la tradizione romanesca declina in tanti modi diversi, tra cui la classica minestra con l’arzilla) condito con stracciatella e burro della Frisona di Segni e alici di Gaeta, pescate nel mare del litorale pontino. Ecco, sapori di una Roma lontana dai soliti cliché di carbonara e amatriciana che invece strapopolano i social.
Una vacanza intorno al tavolo
Ecco, la vacanzetta romana può ritenersi soddisfacente, specialmente ricordando di averla annaffiata con un due buoni ancestrali (giusto per sottolineare che i “naturali” ormai spopolano a Roma): il rosato Podere 769 della cantina Santa Maria nel comune di Latina, e il bianco frizzante di Casale Nibbi di Amatrice. E anche qui siamo nella campagna piena e autentica che circonda la metropoli che è il comune agricolo più grande d’Europa “sia per estensione, sia per quantità e qualità dei prodotti della terra e può essere definita la Capitale europea dell’Agricoltura”, scrive un documento dell’Università Roma Tre in occasione del trentennale della sua fondazione. Torniamo a casa soddisfatti. Non senza aver ceduto, però, alla tentazione di far due chiacchiere con Vincenzo, la nostra guida in questa saporita escursione nel Lazio.
Ristoratori paladini del territorio
Accennavamo alla filosofia e all’ideologia di Mancino e anche alla sua idealità. «La ristorazione è a un bivio – argomenta lui – Sempre più la socialità si sposta nel fuori-casa, in una convivialità che si svolge nei locali, bar, pizzerie o ristoranti che siano. Dunque, la ristorazione avrà un ruolo e un peso sempre più importanti sia a livello sociale che a livello economico: o ci convinciamo che i ristoratori devono essere i primi alleati degli agricoltori e basare il proprio lavoro sulla qualità e sull’artigianalità delle materie prime, o tutti i luoghi che abbiamo visitato nei piatti di questa sera scompariranno: chi porterà più mucche, agnelli e pecore al pascolo? Chi terrà in ordine la collina e le terre interne? Chi terrà pulita la campagna? Se vince l’industria, il made in Italy gastronomico scompare: avremo materie prime solo dall’estero e qui l’industria le lavorerà. Ma non è più made in Italy. Non solo: i territori chi li terrà in ordine? Chi si occuperà dell’ambiente, del paesaggio? Ecco, la ristorazione deve diventare lo snodo di queste tematiche e farsi alfiere, paladino, difensore della nostra biodiversità». Come dargli torto?
ps. Piccola coda: un applauso al giovanissimo Riccardo Fontana (nella foto) che a 19 anni ha deciso di impegnarsi in sala e ci crede. Un augurio a lui di crescere sempre e di non stancarsi. Di avere la consapevolezza di essere un "animale raro" e di perseverare...
Proloco Centocelle - Roma - via D. Panaroli, 35 - 06 2430 0765 - @prolocodolcentocelle