“Hanno raccolto tutti gli alberi / e gli hanno portati al Museo degli alberi / E fanno pagare alla gente / Un dollaro e mezzo per vederli”
(Bob Dylan)
E alla fine, come i vestiti larghi, è tornato pure il vintage gastronomico. Prima piano, con qualche locale che proponeva piatti vintage, poi con una serie di aperture esplicitamente passatiste, nei nomi, nelle location e nel menu.
Il passato è sempre, che palle, quello della giovinezza di noi 50/60enni, i mitici anni ’70 e ’80, coi tavoli di fòrmica, le sedie spaiate, i frigoriferi con gli adesivi di prodotti che non ci sono più. Nessun male, ovviamente, se nel frattempo non continuasse a tutta birra la chiusura dei posti veri: tagliano gli alberi e li mettono nell’orto botanico a pagamento.
Ristoranti: il passato che non ritorna
Non è, non del tutto almeno, il lamento di un anziano verso l’appropriazione culturale; anzi, se così fosse, ci sarebbe da essere allegri per il passato che ritorna, ma non è questo il problema.Il problema è, da un lato, che ogni vintage (dai profili Facebook con le proprie foto da bambini, alla cultura fatta tutta di remake) è innanzitutto una manifestazione di sfiducia verso il futuro: se sono fiducioso guardo solo in avanti, come le prime Lamborghini (quanta fiducia nel futuro!) che non avevano specchietto retrovisore. Dall’alto, che troppo spesso il remake è peggiore dell’originale: i locali sanno ovviamente di posticcio e i piatti sono tendenzialmente anche fatti bene, non sempre, ma senz’anima. Perché quell’impasto di esperienza, uso, errori, distorsioni, nostalgia che rendono magico il passato non è facile da riprodurre: lo devi sentire.
Non c'è solo la vecchia trattoria
Ridurre il passato – la trattoria di quartiere che preparava i piatti della nostra memoria, solo un po’ meglio di come lo facevano le nostre nonne (nonno nel mio caso, mia nonna cucinava malissimo) – al nuovo format che sta in mezzo tra il poke e la cucina birmana è innanzitutto irrispettoso verso la nostra storia.Vi manca la stracciatella? Se siete un cliente andate dove la fanno ancora, andateci in tanti. Se siete un professionista, fate un gesto lungimirante e rilevate un locale dei tanti che chiudono, con una storia e un’anima, affiancate il proprietario, imparate da lui e mandatelo in pensione sereno e più felice, perché non tutto è perduto.
Se vi piace tanto il passato è anche perché, almeno a tavola, spesso si stava meglio.