«Ci ho lavorato molto» dice «e un piccolo segreto ce l’ho. Ma la differenza la fanno la materia prima, il latte e la panna dei nostri pascoli, l’operosità dei contadini, la freschezza e genuinità dei pochi ingredienti che la compongono». A parlare è Gianni, attuale titolare di Da Pippi, il posto che non ti aspetti in un paese di poco più di 3mila abitanti nell'entroterra di Genova che vale il viaggio anche solo per il dessert. E non uno qualsiasi.
Dove nasce la panna cotta più buona mai mangiata
Parafrasando Don Abbondio verrebbe da dire «Masone, chi era costui?». Eh sì perché prima che sull’autostrada A26 ci facessero il casello, il paese era un piccolo centro di villeggiatura per genovesi che scavallato il passo del Turchino - per il cui abbattimento al fine di creare un varco per far defluire la nebbia un tranviere milanese, tale Piero Diacono, presentò un progetto dettagliato al Portobello di Enzo Tortora, anno 1978 - , andavano a godersi il fresco degli Appennini al confine col comune di Mele. E di frescura ce n’è tuttora parecchia, come di pioggia, nuvole basse e nebbia, come sa bene chi dalla Pianura Padana scende verso il capoluogo ligure e quando le code si allungano troppo approfitta di questa uscita solo per imboccare la tortuosa strada che scavalca il passo. Ma un altro ottimo motivo c’è di sicuro: è la panna cotta della trattoria Pippi.
La storia della trattoria Pippi e della sua leggendaria panna cotta
Pippi era al secolo Giuseppe Macciò, il papà di Giovanni detto Gianni, l’attuale titolare. La sua mamma nel 1940 rimase orfana e a soli sei anni si accasò presso gli zii che già da molto tempo possedevano questo locale dalla storia fiorente e longeva. Ora il Gianni lo conduce con moglie, figlia e un aiuto cuoco che «mi guardo bene dal farmelo scappare». Naturalmente è un ristorante in piena regola con un ambiente composito e spazioso, dove una parte più recente integra con armonia strutture in pietra più datate che comprendono il camino funzionante e donano un tocco rustico. La cucina ne è l’accordo con piatti equidistanti dalla tradizione genovese come da quella alessandrina, e propone battuta di Fassona con porcini freschi, sformato di zucca o asparagi secondo stagione, i ravioli sia del plin che al “tuccu”, le trenette al pesto, il brasato alla Barbera il coniglio alla ligure. Piatti che cambiano con le stagioni e con la disponibilità degli approvvigionamenti, rigorosamente del circondario.
Poi c’è lei, la regina, quella “da urlo” come la definisce Gianni. Sulla carta dei dolci è la prima fra almeno altre dieci specialità (consigliamo di non farsi sfuggire anche lo zabaione con la torta al cioccolato o col gelato). Ma lei arriva sinuosa e golosa, ancheggia con garbo all’incedere e mentre il piatto viene poggiato al tavolo; color bianco caldo e qualche riflesso sulla superfice satinata dato dal sottile velo di caramello. Una piccola scossa o un colpetto del cucchiaino la fanno ondeggiare lievemente, morbida e aggraziata. E poi ha una "corona" croccante che fa la vera differenza: una granella di torrone, ma non un torrone qualsiasi, bensì quello di Canelin, l’arzillo ultranovantenne di Visone che ha affascinato i palati di mezzo mondo e per niente al mondo lascerà ad alcuno la ricetta.
Com'è la panna cotta di Pippi a Masone
L'assaggio mantiene le rosee promesse dell'aspetto. Equilibrio fra dolcezza e grassezza, note amarognole e sentori tostati dosati millimetricamente, texture soffice e setosa ma consistente grazie a un processo quasi esclusivo di riduzione, la copertura con un velo appena più viscoso del caramello e la croccantezza della granella spezzettata e non troppo uniforme che conferisce quel tocco finale sorprendente a un boccone che non stanca mai. Carpirne tutti i segreti sarebbe ingiusto, ma almeno un piccolo aneddoto Gianni ce lo deve. E così confessa: «Non voglio dire che sia la più buona al mondo, peccherei di immodestia, ma ci credete che molti e molti clienti ancor prima di prenotare chiedono…ma c’è la panna cotta?».
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