È significativo che per arrivare a realizzare un piatto che secondo il suo autore rappresenti la terra, la campagna, la cultura contadina, nella lavorazione e nell’idea ci si allontani così tanto da ciò che quel cibo era quando la realtà (e la cultura) contadina dominava la scena economica e sociale italiana. Parliamo di pizza, popolare e in parte anche contadina, come origine.
Uno sguardo alla pizza dalle origini a oggi
Come doveva essere quella di decine e decine di anni fa? Per avere un’idea di pizza “contadina” vera, dobbiamo andare indietro, almeno fino al primo dopoguerra: dopo, il boom economico e l’industrializzazione hanno cambiato tutto, il lievito era chimico, i prodotti erano fatti in serie dall’industria agroalimentare che in pochi anni avrebbe portato i supermercati a soppiantare i mercatini e i banchetti dei contadini. Ma diciamo che la pizza era acqua e farina, pasta acida di riporto, un pizzico di sale, pomodoro (se c’era) e qualsiasi altra cosa si trovasse. Certo, le farine non erano quelle di oggi! I grani americani non c’erano, le lievitazioni erano sempre a rischio, la croccantezza dell’impasto all’esterno e la sua scioglievolezza all’interno erano concetti impensabili, sensazioni mai vissute nell’immaginario collettivo.
Sono invece questi i concetti che muovono le sperimentazioni dei moderni pizzaioli – per modernità, forse potremmo indicare un periodo che per la pizza inizia circa vent’anni fa o pochissimo prima - e sono questi i valori con cui un pizzaiolo che non si accontenti di fare “semplicemente una pizza” deve confrontarsi, anche quando pensa di voler arrivare alla definizione di una “pizza contadina”.
La pizza e il sogno di Ceccobelli al Casaletto
Tutta questa premessa per raccontare un sogno, quello di Marco Ceccobelli che al Casaletto, il suo ristorante agricolo (e pizzeria) di Grotte Santo Stefano (frazione di Viterbo), lavora e sperimenta ogni giorno tra forno a legna, impastatrice, fornelli e Rational per far vivere la sua idea (il suo ricordo, il suo fantasma) di tradizione contadina. Ed è interessante vedere come parte dall’esperienza di Padovan, l’approccio di Ceccobelli al Padellino, cioè a una pizza che lievita direttamente nel piccolo ruoto monoporzione pronta per essere infornata.
Il Padellino agricolo
“Mi ha affascinato l’idea di un impasto lasciato a maturare senza stress, senza venire manipolato”, racconta il cuoco viterbese. Così, da qualche tempo ha iniziato a far capolino nella sua pizzeria la proposta del padellino: inizialmente a fasi alterne, quando ce n’era la possibilità. Ora, invece, inserito nella carta delle pizze in modo sistematico. “Il mio obiettivo era di avere un prodotto che si legasse alla mia idea di cucina: vicina alla tradizione contadina che sta alla base della mia storia, legata alla produzione agricola, alla terra e che allo stesso tempo fosse però anche un prodotto evoluto, moderno, che tenesse conto di cosa c’è di meglio oggi nel mondo della pizza”. Così, piano piano prende forma un Padellino Agricolo di grande impatto, come quello che propone oggi.
Farine, lievito del Padellino Agricolo del Casaletto
Alla base ci sono da una parte farine evolute, come la Unica di Petra, dall’altra una farina di farro integrale macinata a pietra e prodotta da un’azienda agricola che opera nell’area sempre della Tuscia, anche se oltre il confine tra Lazio e Toscana. La lavorazione avviene con lievito madre: circa dodici ore di lievitazione in massa e poi altre sei ore di maturazione nel padellino. “Era da calibrare, però, anche il tipo di condimento per una pizza molto importante, forte e decisa, che rischia di fagocitare gli altri sapori e profumi” racconta Marco “e deve essere un condimento che nasce dalla terra, in primis da quella in cui vive il Casaletto, la nostra azienda agricola di famiglia, e dal laboratorio dei salumi dove mio fratello Stefano lavora e trasforma le carni dei maiali che alleviamo liberi, allo stato semibrado”.
I condimenti del Padellino Agricolo
Certo, una fetta di prosciutto cotto - per quanto davvero e incredibilmente buono e profumato - non ce la farebbe a sostenere la forza di questo padellino. E allora, ecco che l’integrazione tra pizzeria e cucina comincia a puntare su altri abbinamenti: pomodori - dell’orto - conservati e appassiti per concentrarne sapore e dolcezza; verdure coltivate qui e assolutamente di stagione; mozzarella prodotta in un bel laboratorio artigianale di Viterbo, formaggi tradizionali - a partire dal Caciofiore - e poi capperi, acciughe, salumi decisi e arcaici come la medievale Susianella… Ecco, dunque, che nasce una pizza di grandissimo livello: croccante all’esterno e scioglievole all’interno, molto areata perché molto idratata, abbinata a una cucina legata al territorio, con cose come la coda, la lingua, il maiale tonnato… “Sembra facile” sorride Marco “ma non lo è: ogni prova di impasto richiede giorni e giorni di sperimentazione e verifica; ogni abbinamento deve avere il giusto equilibrio e la giusta matrice. Anche perché non lo stiamo facendo per gli amici, in una cena casalinga, ma dobbiamo mettere a punto una linea che funzioni con i tempi di cucina e di servizio e con il menu nel suo insieme”.
Pane, pizza, padellino agricolo
Tutte prove che portano poi anche a diversi spin-off, dal pane (anzi, dai diversi tipi di pane), alle altre pizze che sono la pala - sempre a lievito madre e molto idratata, lavorata con una precottura prima della finitura - e la classica che è lavorata invece con l’autolisi, il metodo iniziale che ha conquistato Marco all’arte dell’impasto. Tutte esperienze che pian piano contribuiscono anche a rafforzare la sicurezza e la decisione dello staff del Casaletto a provare, ad addentrarsi in mondi spesso difficili da inquadrare nel lavoro quotidiano, come l’uso di una farina integrale macinata a pietra per la pala da grano Aca 360 coltivato e lavorato a pochi chilometri, come le prove sulle grandi idratazioni, come il pane di semola e quello invece di grano tenero nati da mix di diverse farine sempre lavorate a pietra e di diversa tipologia e granulometria.
Lo strano connubio, ristorante e pizzeria
Se una volta, insomma, si valutavano con un handicap iniziale i locali che univano ristorazione, cucina e pizzeria, oggi questa barriera è molto più labile: sempre più il mondo della pizza si è avvicinato a quello della cucina e viceversa, molto i cuochi hanno appreso dai pizzaioli. Il Casaletto è stato probabilmente il primo ristorante (agricolo) a ottenere insieme i Tre Gamberi e i Tre Spicchi (valutazione massima rispettivamente per trattorie e pizzerie dalle guide del Gambero Rosso), ma sono arrivati prima i Tre Spicchi, tanto che il cuoco (prestato alla pizzeria) ha presto capito una cosa fondamentale: applicare nel suo approccio alla cucina (lui nasce autodidatta nell’agriturismo di famiglia dopo aver fatto il tecnico informatico, il poliziotto e il cameriere) la stessa libertà (e anche il divertimento) che riusciva a tirar fuori quando si dedicava alla pizza che viveva forse come un ambito più libero, meno affollato di “dover fare” legati alla tradizione, al territorio, alla famiglia. Così, anche la cucina ha tratto vantaggio del lavoro in pizzeria e oggi, al Casaletto, i due mondi sono perfettamente integrati e comunicanti. E nell’arco di pochi anni, questa insegna si è imposta come una delle più importanti dell’intera provincia di Viterbo e non teme confronti con la più smaliziata e frenetica Roma. Il sogno agricolo, concentrato sul padellino, ha ormai contaminato tutto il mondo di Marco, senza il peso di tributi da pagare al passato e con l’occhio - e il palato - rivolto al futuro.
Una riflessione sul concetto di “contadino”
Questo articolo è semplice, banale forse. Il padellino, oggi, lo si trova ovunque, su siti e blog di ricette e sulle piattaforme di delivery. Ma qual è il senso di queste riflessioni sul mondo agricolo del Casaletto? Dire “contadino” oggi ha una valenza ambigua o ambivalente: può essere solleticare l’immaginario di un ritorno ai vecchi tempi (per altro mai esistiti) o può essere il recupero (o meglio: il ritrovamento o la re-invenzione) di un rapporto con la terra, con la campagna, con il lavoro agricolo. I vecchi (bei) tempi non sono esistiti, perché fino al secondo dopoguerra la vita in campagna era dura, era sacrificio e stenti, era sofferenza. Non a caso da allora (ma anche da prima e fino a tutti gli anni ‘70) le campagne si sono spopolate e i supermercati hanno preso il posto dei banchetti contadini.
Oggi, e da qualche anno, il termine agricolo e contadino hanno assunto una valenza positiva: questo perché fare il contadino ha un senso diverso da allora. Perché oggi mangiare contadino significa altro rispetto all’alimentazione famigliare contadina di una volta. Allora, pensare a una cucina contadina o agricola, oggi, significa ridare valore (alla luce di tutto ciò che è la modernità, anche del palato oltre che delle tecniche e delle tecnologie) al rapporto di un piatto con l’origine dei suoi ingredienti, al legame con la terra e la campagna. Significa, in sostanza, ritrovare o trovare tout-court un valore nuovo e non recuperare il passato: significa ricostruire un passato e dargli un senso che lo conduca – e noi insieme ad esso – verso il futuro. Sembra – per dirla alla Greta – un “bla bla bla”. Eppure, passando un giorno di parole e di assaggi al Casaletto (ma questo può accadere in tanti altri luoghi), si vede come non sia un semplice bla bla bla, ma un lavoro quotidiano, fuori da circuiti gastrofighetti e riflettori mediatici, che porta alla costruzione di sapore condiviso, di un palato e di valori che pian piano entrano – anche e, soprattutto anzi, inconsapevolmente – nell’immaginario collettivo. E danno possibilità a un futuro con più senso.
Il Casaletto – Grotte Santo Stefano (VT) – Strada Grottana, 9 – 0761 367077 – www.ilcasaletto.it
a cura di Stefano Polacchi