Caro direttore,
qualche settimana fa su un magazine di food è uscito un pezzo, che con il senno di poi era chiaramente il parto di una società di comunicazione, che lamentava lo snobismo della critica gastronomica verso l'Osteria da Fortunata, catena di locali di cucina romanesca in rapida espansione e di grande successo di pubblico.
Osteria da Fortunata, carbocreme e pregiudizi
Essendo incline alle fissazioni, mi sono detto che dovevo provarlo assolutamente, superando le resistenze per: le catene, le file, alcune scelte discutibili di illuminazione, la resistenza a dare un contributo alla trasformazione di Campo de’ fiori in una unica, infinita e infima mensa.
Fortunata si è espansa dalla sede originaria in via del Pellegrino ad altri tre ristoranti vicinissimi, tutti caratterizzati da qualcuno che fa la pasta in vetrina e da file chilometriche. Altri ristoranti sono a Milano, Bologna e Miami.
Ero, lo ammetto, pieno di pregiudizi e ho venduto la scelta della location a due amici cari e sufficientemente ironici come un’esigenza morale e scientifica: bisogna capire come si mangia in questo posto dove non credo mettano piede altri che turisti. Alla fine, ho trovato un posto onestamente furbo, in cui si mangia non benissimo ma certamente non male e che regala un’esperienza lontana dal pecoreccio e dalla carbocrema in cui temevo mi sarei imbattuto.
La romanità ingentilita ovvero il fascino dello standard
Non si prenota e ci si può sedere solo con il gruppo completo, ma i tavoli girano velocemente e i ragazzi sono efficienti e gentili. Il menù è assolutamente standard, basato su una versione ingentilita e global della cucina romana, con un’attenzione vera alla stagionalità (non c’erano i fiori, ma nemmeno carciofi e puntarelle), tanti fritti e tantissima pasta, fatta come dicevo in vetrina.
Fortunata passa la "prova cicoria ripassata"
Ho preso un supplì che non era il migliore mai mangiato, un po’ “mappazza” ma assolutamente più che dignitoso e con una buona panatura, come più che dignitosa era l’amatriciana, che avrebbe avuto bisogno di un sugo più tirato e di un guanciale più croccante ma se ne mangia di peggio quotidianamente. Tra i secondi, la punta di petto, che il cameriere è bravo a venderci come appena uscita dal forno, risiede comodamente a centro classifica e la prova cicoria ripassata è passata (rivedibili le patate al forno).
Non si può non finire con il tiramisù, discreto, dolce diventato civis romano come durante l’Impero, anche se nato ben lontano dal Tevere.
Il Cesanese solitario e gli altri, pochi, vini locali
Curiosa la carta dei vini pochissimo laziale (un Cesanese e un Frascati) e con qualche picco per turisti altospendenti (un cru di Barolo, un Brunello e un Supertuscan).
Usciamo avendo speso il giusto (153 euro in tre) e con la sensazione di un posto medio ma solido, in cui non penso di tornare ma che interpreta onestamente quella cucina franca per il turismo di massa che è diventata la cucina romanesca oggi, ragione per cui dopo secoli di timidezza conquista nuovi mercati.
L’appetito per cose più sofisticate verrà mangiando.
Via del Pellegrino 11/12 - 06 6066 7391 - www.osteriadafortunata.it