Aveva detto basta con i ristoranti, nella stagione più buia per la ristorazione mondiale, quando la pandemia spazzava via il mondo come lo che avevamo conosciuto, e imposto riflessioni e prese di coscienza. Per molti, è stata anche l'occasione per sperimentare nuovi format ristorativi, snelli e informali che poi – è il caso di Popl di René Redzepi e Jòia Bun di Hélène Darroze – sono stati ripresi in forma stabile, per altri è stata una perdita improvvisa e drammatica di quanto costruito con fatica, ma anche una liberazione da certe dinamiche schiaccianti e l'occasione di ripartire da capo. Così raccontava Christian Puglisi la sua decisione di chiudere con la ristorazione – soprattutto quella di ricerca - per dedicarsi ad altre formule gastronomiche, con un cambiamento che aveva tutti i canoni di una decrescita felice.
La chiusura del Relæ
Concludeva così, a fine 2020, l'esperienza del Relæ (poi rilanciato come spazio aperto ai giovani chef che volevano mettersi in gioco) e del wine bar Manfreds, lasciando in attività solo le insegne più informali: la pizzeria (o meglio il ristorante che fa anche pizze, come lo definiva lui) Baest, il panificio\bistrot Mirabelle e il bar Rudo. Espressioni diverse di un progetto che nasce da un'idea comune e sviluppava una filiera completa, a partire dalla produzione della materia prima (nella fattoria Farm of Ideas) sempre con un approccio di grande consapevolezza e sostenibilità. Reclamava, a poche settimane dalla chiusura di una delle insegne più importanti degli anni '10, il diritto a scalare le marce, rallentare per imprimere alla sua vicenda gastronomica e personale una nuova direzione: meno stressante, meno schiacciata dagli obblighi di dover stupire sempre e sempre di più, del dover fare ogni volta qualcosa di nuovo e fantasmagorico. La ricerca, diceva allora, ha i suoi tempi e il ciclo vitale di un posto come il Relæ è di 10 anni. Lui, spiegava, si sentiva ora orientato a un altro tipo di proposta, più quieta, concreta, sostanziosa. Eredità, forse della sua parte italiana che guarda alla materia prima e al gusto come al cuore della cucina, e alla semplicità (della ricetta ma anche dell'organizzazione e della struttura) come a un valore, il primo e più importante. Motivi per cui aveva deciso per un taglio netto, chiudendo i suoi ristoranti più importanti per scendere dalla giostra.
Christian Puglisi e Mirabelle Spiseria
Poi però, alla fine, non ce l'ha fatta: “non potevo non farlo” dice, nell'annunciare via Instagram, la riapertura con una nuova veste di Mirabelle, che aggiunge all'insegna l'attributo Spiseria. Doveva essere solo un restyling, ma alla fine si è ritrovato con un ristorante a tutti gli effetti, con tutti i suoi elementi, stress, frenesia, e dubbi inclusi. Ma con una conquistata maturità che porta in consegna la capacità di mantenere controllo e rotta. E conciliare professione e storia personale, costruendo un ponte tra la cucina alta e cucina bassa, quella elaborata come professione e quella vissuta come ricordo ed emozioni. Non più contrapposte ma armonizzate in una trattoria siciliana a Copenaghen, un all day long dining che unisce sfogliati da capogiro a cannoli, brioche con tuppo al pistacchio e granite con panna, grandi pani (e che pani) e focacce farcite, arancini, salsicce, insalate nostrane, la famosa tartare di Mirabelle e paste che sono un collegamento diretto tra Scandinavia e Mediterraneo, del resto Puglisi, siciliano trasferitosi da bambino in Danimarca, non ha mai perso il collegamento con la terra d'origine. Mirabelle Spiseria è infatti una celebrazione del patrimonio gastronomico siciliano, quello scritto nella memoria di Christian: le cene in famiglia, il rito della passata a fine estate. Ora, scrive lo chef, “mi sento veramente libero di cucinare ciò che voglio, come voglio, quando voglio”.
Mirabelle Spiseria – Danimarca – Copenaghen - Guldbergsgade 29 - https://mirabelle-spiseria.dk
a cura di Antonella De Santis
foto di apertura di P.A Jörgensen