La notte scorsa è stata presentata la prima edizione della guida Michelin Texas. Dei 15 locali premiati con la stella, la maggior parte dei sono classici Bbq del Sud degli Stati Uniti, quelli dai grandi tavoloni di legno, le braci ardenti, i vassoi pieni di porzioni generose di carne, raccontati con dovizia di particolari da Michael Pollan nel primo capitolo di Cotto: posti spicci, senza nessuna concessione a fronzoli o abbellimenti di sorta. Tutto arrosto e niente fumo.
I criteri sono uguali per tutti?
Ci spiace tornare sempre sugli stessi temi, ma continuiamo a vedere come la Michelin, nel piantare bandierine in tutti i posti del mondo, oltre a fatturare, portare alla ribalta nuove destinazioni gastronomiche (reali o meno che siano), pare adattare i suoi criteri di valutazione ai vari Paesi. Non ci sarebbe nulla di male, se la cosa fosse dichiarata. Invece non è così: a domanda diretta, la replica (quando si ha la fortuna di riceverla) rifiuta categoricamente questa ipotesi. «Non è così, perché abbiamo dei team internazionali» ci diceva un anno fa Elisabeth Boucher-Anselin, direttrice della comunicazione mondiale per le attività gastronomiche e turistiche della guida Michelin, spiegando anche che i ristoranti sono visitati da ispettori di ogni nazionalità, e tutti seguono gli stessi parametri di valutazione. Eppure a guardare le varie guide risulta evidente come in certi posti siano stati premiati ristoranti che in altri (leggi: in Italia) non avrebbero neanche una citazione senza valutazioni. Ristoranti spartani, locali semplici nell'ambiente, nel servizio e talvolta anche nella proposta, street food, addirittura una gelateria. È vero che sin dalle sue origini la Rossa ha dichiarato che quel che conta è sempre e solo il cibo, anzi Elisabeth Boucher-Anselin aggiungeva che «gli ispettori del Michelin sono veramente aperti. Per loro non si tratta del cerimoniale, o di avere questo o quel piatto, ma di vedere se un posto è veramente buono, autenticamente buono. E poi nei criteri di valutazione ce ne è uno che non è facile: ovvero la coerenza in tutto il menu e per tutto l'anno». Ma a noi non convince.
Nonostante questo salta agli occhi la predilezione della Rossa, soprattutto nella vecchia Europa sotto le Alpi, che un certo classicismo e la ritualità tipica del fine dining sia apprezzata quando non indispensabile. Senza contare che la stessa Michelin indica i criteri di assegnazione delle stelle: «Per assegnare il riconoscimento, teniamo conto di 5 criteri che applichiamo ovunque: la qualità degli ingredienti, l’armonia dei sapori, la padronanza delle tecniche, la personalità dello chef espressa nella sua cucina e, cosa altrettanto importante, la coerenza nel tempo e dell’intero menù». E già qualcosa qui non quadra. Sfugge come certi posti come i Bbq del Texas possano esprimere la personalità dello chef. Cosa che implica identità, originalità, creatività. Quella che i molti bistrot d'autore oggi manifestano senza timore (ma spesso senza tovaglia).
I Bbq come le pizzerie
Con la massima disponibilità d'animo per comprendere le ragioni altrui, i neostellati InterStellar BBQ, la Barbecue o LeRoy and Lewis Barbecue di Austin o ancora CorksCrew di Spring sono “normalissimi” (pur se buonissimi) posti che fanno carne alla griglia all'interno delle coordinate tipiche di quella parte del mondo: brisket, pulled pork, ribs con contorno di cipolla, mac&cheese, jalapeno, potato salad, Talvolta anche sandwich o taco. Qualche spunto minimo di originalità in una marinatura o nel mix di spezie, ma poco altro. Il tutto in ambienti che definire spartani forse non è abbastanza. Comprendendo appieno che i Bbq rappresentano il DNA gastronomico del Texas, possiamo pensare che siano un po' come certe classiche trattorie italiane, quelle con una lunga storia, che ripetono alla perfezione i sapori del territorio, giorno dopo giorno e senza alcuna variante; quei locali che la Michelin non premia con la stella ma – eventualmente - con i Bib Gourmand (almeno da noi). Per non parlare delle pizzerie, che dopo un'apparizione negli anni '60 sono ignorati dalla guida (annosa questione, lo sappiamo): anche loro fanno parte della cultura immateriale di un territorio, assimilabili ai Bbq per diffusione, popolarità, legame con la società, ma anche perché come i Bbq propongono (quasi sempre) un solo tipo di prodotto. Ma nel corso degli ultimi anni il lavoro su tecnica, creatività, modalità di fruizione è stato enorme, al punto che i maestri pizzaioli hanno uno stile personale riconoscibile sia per quanto riguarda l'impasto della base che per il topping, senza contare l'impegno per migliorare gli ambienti, il servizio, la proposta del beverage con grandi cantine, pairing intelligenti, selezioni di Champagne degne di grandi blasoni. Nulla che convinca la Michelin a guardare con occhi diversi questi locali. Non più solo pizzerie, ma ristoranti a tutti gli effetti.