Il Mercato centrale compie 10 anni e festeggia con una serie di iniziative diffuse. Ma non è l'unica novità: alla fine di ottobre apre infatti il primo Mercato fuori Italia, a Melbourne: 5mila metri quadrati nel distretto degli affari. Il patron Umberto Montano ha passato due mesi a cercare gli artigiani, dal casaro che fa mozzarella a una coppia - sfoglina lei, pizzaiolo lui - che avranno una bottega insieme, dalla signora che fa solo calamari fritti, al ristorante di pesce di una cooperativa di pescatori. Non è l'unico progetto in corso d'opera: a primavera del 2025 aprirà una nuova sede a Bolzano, vicino alla stazione. «Gli artigiani sono invitati a farsi sotto», scherza. Dentro al Waltherpark, progetto di riqualificazione firmato dall'archistar David Chipperfield, ci saranno spazi commerciali, uffici, un hotel e il Mercato che sta già formando la squadra.
Non è una procedura veloce perché oltre a selezionare gli artigiani, il Mercato si occupa anche di mantenere alto il livello dell'offerta: «Abbiamo una sorta di passaporto della qualità da rispettare pena lo scioglimento del contratto; riguarda trasparenza, sistemi di cottura, filiera, qualità della materia prima, per esempio farine di un certo tipo, pesci non al di sotto di una certa taglia. Noi, dal canto nostro, stiamo dietro alle questioni riguardanti l'ufficio d'igiene, abbiamo un ufficio interno guidato da una biologa, un direttore centrale per ogni Mercato e vari direttori operativi che seguono le botteghe, ci confrontiamo e possiamo dare consigli sui fornitori e sul menu, anche se poi ognuno è libero di fare come preferisce».
A Bolzano ci saranno tra i 20 e i 30 stalli, e non mancherà qualche vecchia conoscenza come Davide Longoni, che consolida così la sua relazione con Montano. Il resto è ancora da fare. «Un mercato vuole da un anno a 18 mesi per essere realizzato, ma i tempi dipendono da mille altri fattori anche perché la struttura deve completata ancora». Ora che problemi che hanno rallentato il progetto del Waltherpark paiono arginati Montano potrebbe lasciarsi alle spalle i primi 10 anni con un sorriso.
I 10 anni del Mercato Centrale
Era il 2014 quando comparvero le botteghe al primo piano del San Lorenzo di Firenze, inaugurando la stagione dei mercati gastronomici nella Penisola di cui il progetto di Umberto Montano è quello più centrato e longevo, nonostante i colpi inferti dal Covid, subìti e assorbiti. Dopo Firenze ci sono stati Roma, Torino e Milano, Quattro sedi più una con un format diverso, nel centro commerciale i Gigli di Calenzano: solo botteghe, nessun evento, attività o altra iniziativa. Per questo ha anche un altro nome: I Banchi del Mercato Centrale.
«Lì possiamo sperimentare formule diverse, per esempio c'è Five Guys che è una catena internazionale, per noi l'unica affiliabile all'artigianato per modalità di lavoro: usano prodotti freschi, olio di qualità. Non lo metterei al Mercato Centrale, ma in quello sì». Nei Mercati si trovano pizze, gelati, hamburger, pasta fresca, fritti, selezioni di formaggi, piatti più cucinati e altre specialità firmate da alcuni dei più famosi nomi d'Italia: Davide Longoni, Stefano Callegari, Arcangelo Dandini, Marco Quintiili, David Bedu, il team di Buatta, per il Gambero Rosso una delle migliori trattorie d'Italia, che da Palermo è approdato a Torino, persino Joe Bastianich con il suo smashburger.
La lista è lunga, ma non infinita: ogni mercato ha in media 25 stalli, qualcuno fa da trait d'union tra le varie sedi, come Savini con le sue proposte di tartufo, Marco Quintili che è a Roma e a Torino; alcuni nomi sono cresciuti in seno al Mercato «Denny Rodrigez era un lavapiatti della macelleria di Savigni ora gestisce 3 macellerie a Roma, Firenze, Torino, oppure Raffaele D'Errico, che da Roma è andato anche a Torino: è un bell'esempio di come il Mercato funzioni da hub formativo e di avviamento professionale per giovani di talento. Raffaele era uno dei ragazzi di punta della bottega di Gabriele Bonci, il più bravo lievitista d'Italia secondo me, si è appassionato e ora ha avviato la sua attività. A Torino non c'è grande ristorante che non prenda il pane da lui».
Di e con D'Errico avevamo parlato qualche mese fa, per una foto arrivata in redazione che segnalava il prezzo della sua pizza rossa: 35 euro al chilo. Avevamo chiesto quanto costa alle botteghe stare dentro al Mercato Centrale.
Costi e servizi del Mercato Centrale
Siamo tornati sul tema e di nuovo abbiamo chiesto conto a Umberto Montano dei costi che i singoli artigiani devono pagare. Per quanto voci insistenti dicano di percentuali anche oltre il 35% lui smentisce decisamente: «La fee al Mercato Centrale è per tutti al 25%». Non è alta? «In realtà no: se pensi si apre un'attività senza fare investimenti e senza rischi di impresa. Non ci sono costi fissi, né affitto, né oneri condominiali che nel caso di Roma sono centinaia di migliaia di euro pagate a Grandi Stazioni, né attrezzature o altro. Nel contratto di concessione del Mercato con gli artigiani noi ci occupiamo anche di autorizzazioni, permessi, sanificazione e sicurezza, della comunicazione e del marketing, facciamo apertura e chiusura per tutto lo spazio, e pensiamo anche ai camerieri e i baristi che girano nel mercato.
Agli artigiani vanno i costi variabili: consumi diretti come energia elettrica, acqua, smaltimento rifiuti, personale e materie prime. E poi una percentuale sulle vendite, che è il 25%. A conti fatti è una cifra molto vicina a quella che andrebbe per affitto e altre voci di cui ci occupiamo noi, tra cui anche la gestione degli incassi». In che senso? «Fiscalizziamo come Mercato Centrale: c'è una cassa comune e alla fine del mese il 75% va a loro e il 25% al Mercato».
Quindi le singole botteghe non hanno l'onere di andare in banca di volta in volta. Bene, ma allora dove guadagna? «Vendiamo oltre 10mila pasti al giorno: nella grande quantità giustifichiamo i nostri grandi investimenti, la chiave di successo è nella qualità degli artigiani, ma è chiaro che la nostra è un'impresa che deve guadagnare». C'è poi tutto il beverage, gestito direttamente dal Mercato, dal caffè ai cocktail, alle birre e tutto quello che non è coperto dalle enoteche. Un'altra voce di entrata.
La rotazione delle botteghe
Nonostante queste sinergie, rimane il dubbio per il ricambio a ritmo piuttosto sostenuto delle botteghe: «i contratti durano 3 anni, se si allungano per noi è una gioia, ma per noi il Mercato deve essere sempre portare novità, come ogni centro di aggregazione, abbiamo un centro di reclutamento di artigiani e c'è una campagna di informazione per chi ha il piacere di generare un progetto con noi».
Nel Mercato di Roma, poi, da qualche tempo il ristorante al primo piano è sfitto. Come mai? «Roma è il Mercato più piccolo: 1.700 metri quadrati - gli altri sono tra i 4 e i 5mila - non abbiamo spazi per servire tutti, per questo per noi ha senso il sacrificio del ristorante, non c'è paragone tra quel che fa come tavolo al servizio del pubblico. L'area del fare è stata un coworking nato spontaneamente e si è accreditata come luogo di ritrovo efficace per i dintorni, la sua destinazione naturale sono gli eventi e la didattica, tiamo negoziando per fare una scuola di cucina». È lì che si concentreranno gli eventi per il decennale, ma si festeggerà anche nelle altre sedi, per esempio a Torino con una tre giorni (dal 19 al 21 marzo) insieme ad Anna Prandoni di Linkiesta Gastronomika e Luca Sofri.