Il giorno della riapertura, arrivati con un po’ d’anticipo, coglie di sorpresa un boato di stampo calcistico esondare dal vicolo adiacente il civico 22 di via della Stella, a Modena. Le strade del centro funzionano come canyon e moltiplicano il suono, spezzandolo, amplificandolo e lasciandolo rimbalzare. Sopra tutto s’alza una voce squillante, chiara, dall’inflessione che più modenese non si può: basta affacciarsi per essere letteralmente travolti dall’ondata di energia purissima della squadra assiepata alle spalle di Massimo Bottura, illuminato dalla giacca immacolata e dallo sguardo febbrile. “Come il primo giorno di scuola” quasi grida, dividendosi tra un comando e un Ciao vekkio! che è ormai un marchio di fabbrica.
Occorre infilarsi nella penombra dell’ingresso dell’Osteria Francescana per rendersi conto della fiammeggiante esultanza dei ragazzi di sala: accoglienti, reattivi, allineati con il roccioso Beppe Palmieri in completo scuro e mascherina a righe, occhi seghettati e mossa veloce. Il fremito è nell’aria, palpabile, l’anteprima di qualcosa che sta per accadere come il profumo della strada prima del temporale.
Massimo Bottura sul palcoscenico dell'Osteria Francescana
Il percorso verso la cucina è un seguito di spigoli e anfratti che esplode d’improvviso tra i pezzi d’acciaio spazzolato, nel calore: delle luci, delle persone, delle macchine, dei fuochi. Bottura giostra – letteralmente – tra un tocco di gomito e un movimento di lato, nel vortice di impulsi che va in scena proprio lì al pass. È sul suo palcoscenico, e da mattatore consumato racconta a getto continuo quei 90 giorni irreali, assurdi, nei quali però ha trovato il fomento per ricomporre qualcosa di “completamente diverso”.
Chi lo ascolta ruba una frase, un pensiero, un frammento del processo che ha piegato la storia dei Beatles, uno dei più grandi eventi della musica popolare degli ultimi cento anni – ma potremmo anche dire mille – nell’alambicco del suo modo di stare nel mondo e ne ha ricavato una narrazione compatta, una colata rovente di suggerimenti – più che di provocazioni – e di interiezioni capaci nello stesso tempo di lasciare senza parole o di sollecitare ardimentose discussioni.
Solo due lustri che hanno cambiato il modo – e il mondo – di fare musica: per condensarne la traduzione, Bottura raccoglie le forze per l’ennesima cascata di pensieri sparati ad alzo zero mettendo insieme la quarantena, il suo viralissimo esperimento di cucina casalinga, la solidarietà, la forza del gruppo, il carisma, l’inesausto desiderio di lasciare un segno.
Memorie di Massimo Bottura
With A Little Help From My Friends è il titolo autoesplicativo della sua nuova avventura, progettata e realizzata con un investimento di tempo e di energie colossale nei tre mesi di inattività dell’Osteria coinvolgendo la struttura a tutti i livelli: guardandolo raccontare e raccontarsi vien di pensare che Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar non sia un testo a lui sconosciuto. Apre le braccia ripetutamente in un abbraccio che accoglie l’intera sua truppa e ne condivide aria e respiro, e rifornisce di schegge di cameratismo a getto continuo.
L'omaggio ai Beatles e quello alla brigata
Il tema è talmente ovvio da non richiede ulteriori approfondimenti, si tratta di una immersione nella parabola musicale dei Beatles da Sgt.Pepper a Lucy. Un viaggio vinilico che pure nell’esposizione profuma di Long Playing: undici titoli beatlesiani, non di rado strapazzati torti e modificati, per altrettante composizioni, e l’immancabile “reprise” alla fine come tanto amavamo scoprire alla fine dell’album. Una sventagliata di omaggi alla brigata, mai così compatta e solida, una falange che risponde come un sol uomo con un tonante unisono a quel “Marcia!” che segna l’inizio della cavalcata.
Eccoli: omaggi alla sua passione per la musica, già più volte richiamata in vari momenti negli anni passati e in questa occasione addirittura sceneggiatura per l’intera pièce; omaggi a una classicità catturata e spiegazzata con caustica sagacia, omaggi a un mondialismo disincantato e consapevole, privo di pregiudizi.
Massimo Bottura. Il nuovo menu della Francescana in 11 titoli
L’ospite più attento troverà anche una sottilissima vena ironica nel foglio che racchiude la lista dei nuovi piatti, che vien difficile chiamare menu: più una playlist, ma di quelle che da giovani si mettevano nelle musicassette, e con amore. Sulle due pagine infatti la proposta è riportata in due lingue, italiano e inglese, ma tutti i titoli delle canzoni-piatti sono in inglese. Le due facciate sono dunque uguali, e differiscono per una sola parola: sarà solo “abbinamenti” che diventa wine pairing a distinguere la versione nazionale. A quel punto conviene arrendersi, lasciandosi avvolgere dalla spirale delle suggestioni, pescando a piene mani nella memoria d’orecchia e di papilla, e lasciare che l’orientamento si perda tra la memoria ribollente e una ferma, assoluta assenza di nostalgia.
Osteria Francescana di Massimo Bottura: i piatti del nuovo menu
Sgt. Pepper’s Loney Hearts Club Band
LSD
Apertura lisergica nelle iperconcentrazioni con meringhe evanescenti che si contraggono nelle mousse in cui la prima (Rosa) spinge su acidità vibranti che si innestano sul terroso della Rapa Rossa, accelerazione che evapora nella seconda (Verde) balsamica di menta, basilico, lime in potenza “quintessenziale” e con quest’ultima che si “mette a terra” nella terza (Arancione) a base di una carota in cui la terrosità viene rilanciata da uno zenzero colto nella sua accezione più radiciosa del termine.
A Day in the Life
Pane sfogliato, annodato con miele di Casa Maria Luigia e cristalli di sale
In una sorta di centralità eucaristica un pane sfogliato tanto burroso internamente quando scalfito da miele e sale in superficie assurge a portata: un antipasto intercapedine.
Cellophane Flowers & Kaleidoscope Eyes
Seppie, nero di seppia, cappesante, cozze e bottarga
Una rivisitazione in proprio di un’antica Caesar Salad botturiana che qui diventa insalata di mare in cui la superficie viaggia su temi marittimi dolci (scampo, cappasanta) e man mano si sporca e si immerge nella profondità del mare: interiore di seppia, cozze in pasta, canocchie in gel. Amari iodati di una battigia cupa rivivificati da soffi agrumati e piccanti. Il crocchio dell’insalata dà il tempo del risveglio e dell’idratazione.
Yellow Submarine
Rombo, patate, ananas, daikon, fiori
Fish and chips figlio dei fiori in cui s’intreccia l’idea del riso al salto, della preziosità esotica speziata – ma deviata dalla mediterraneità della salsa aiolì - ma soprattutto appesa all’acidità conturbante, sapida e fumé della “pasta” di ananas alla griglia (da sola un piatto).
Strawberry Fields
Riso con gazpacho di fragola, lambrusco, gamberetti, mozzarella affumicata e pepe Sechuan
Trompe l’œil in cui tutto è al servizio dell’esplosività del connubio tra fragola e Lambrusco di Sorbara che ricrea il pomodoro più perfetto che ci sia e che come tale non esiste (per avere una idea di paragone: il Cuore di Bue Rosamunda). Il resto è ricamo.
If l’m Wrong l’m Right
Merluzzo in salsa di curry verde
Il merluzzo cambia struttura interna e tessitura nei passaggi di cottura mentre si specchia in un prato fiorito stemperato, ma che raccogliendolo con coltello, al gusto diventa psichedelico tra latte di cocco e agrumi verdi, contrappunti mentolati e balsamici, terrosità e pizzicori.
We Are All Connected Under One Roof
Ravioli, pancia di maiale affumicata, vongole di Goro e New England clam chowder
Esemplare la manifattura del raviolo che si apre accogliendo una salsa di New England Clam Chowder così serica, profonda e sinuosa che trasforma la carne di maiale in una sorta di mollusco cremoso che resta in bilico tra lo scoglio e il mare.
Who’s Afraid of Red Yellow Green and Orange
Piccione glassato con mirtillo e sambuco, salsa di ciliegie, crocchetta di piccione con albicocca e savor
La frutta rossa e nera avviluppa la trama ferrosa del petto del piccione che, dopo essersi apparentemente ammorbidita nell’impatto, viene rilanciata da un terzo tempo tramite scosse acide ed acetiche che non smorzano ma anzi divampano. Poi una crocchetta comfort che ti prepara l’allaccio al successivo.
In and Out of Style
Crème caramel con latte, foie gras, caramello e miele di Manuka
Il foie gras ricostruito a mo’ di fiordilatte bolognese cambia la struttura della materia che viene plasmata per un assaggio apparentemente edulcorato, ma che invece spinge sulle corsie laterali del gusto che si incuneano nel retronasale per un terzo tempo in cui il miele di Manuka diventa rutilante nei suoi aspetti caramellosi e balsamici.
Summer Is Coming
Crumble con spuma di yogurt, granita di piselli, fragole, carote, azuki e shiso, origami di patate e basilico
Lo stacco fiorito: un drappeggio di contrappunti sfaccettati che fanno perdere il controllo del gusto a favore di una serie di annullamenti a incrocio, per cui quello che appare scompare in un tessuto di terra fine e argillosa.
In Thea Sky Without Lucy
Pesche arrosto, salsa di mirtilli, sciroppo di betulle, gelato di rosmarino, meringa di rose, zucchero filato e amaretti
Lavorazione multi-strato in cui si cerca la potenza delle pesche nella sua sensazione più “pedestre” per non dire ittica, che poi diventa canforata e in seguito fiorita (il rosmarino che pare lavanda). Infine i pastelli che indicano un cielo blu oltre il cartongesso rosato.
Sgt. Pepper’s Loney Hearts Club Band (reprise)
Vignola, Camouflage, macaron di lampone, madeleine allo yuzu
Chiusura con agrumi e frutta esplosivi negli scrigni di cioccolata (ma non solo).
a cura di Stefano Caffarri e Andrea Grignaffini
foto Stefano Caffarri