È sempre stata appassionata di tradizioni popolari e di cucina. Marilù Terrasi, palermitana, dopo la laurea in filosofia e la carriera da assistente e ricercatrice all’università di Palermo, decide di trasformare il suo amore per la cucina in un vero e proprio mestiere e dal 1985 è la chef proprietaria del ristorante Pocho di Macari, frazione di San Vito Lo Capo, Trapani.
Dal teatro al cous cous
Prima di approdare al ristorante, però per diversi anni ha fatto parte di una compagnia teatrale sperimentale, contribuendo alla messa in scena e alla stesura di numerosi testi e sceneggiature, spesso ispirati alle tradizioni siciliane, attività che la porta a scoprire numerose affinità tra le discipline artistiche e letterarie e la cucina. Poi, dopo anni di trasferte nazionali e internazionali, assieme ai suoi colleghi teatranti, l’arrivo quasi per caso a Macari, posto sconosciuto, che li ha affascinati talmente tanto da decidere di restare lì, trasformando un rudere in una casa con giardino.
«Naturalmente, racconta Marilù, dovevamo sfamarci, e approfittando della mia passione per la cucina, delle verdure del momento, delle tradizioni del luogo e delle ricette imparate in giro per l’Italia, da lì a poco il posto è diventato una specie di ristorante con intrattenimento, punto di riferimento per tutti i giornalisti e gli artisti che ci conoscevano. Ogni sera c’erano circa venticinque persone, che durante le cene si esibivano con la loro arte. Avevamo creato, all'interno del giardinetto di questa nostra casa un vero e proprio club».
L’estate del 1985 non avendo nessuno spettacolo da portare in giro e continuando ad avere ogni sera a cena più di trenta persone hanno creato il Pocho club, dove si entrava con una tessera. Ma nel giro di poco tempo, capendo che si trattava di un mestiere, Marilù, trasforma il club in ristorante, dove i sapori mediterranei, le influenze e le contaminazioni gastronomiche e le ricette della tradizione diventano il punto di forza di un progetto che sposa sperimentazione e cultura popolare, anche in cucina.
Inevitabile l’incontro con il cuscus, preparato con semola cruda di grano duro siciliano, incocciata a mano e cotta al vapore, il piatto più identificativo di Trapani, di alcuni paesi limitrofi e della costa, probabilmente di origine berbera. Marilù ne è affascinata e decide di farne il centro di una sua personale ricerca: apprende i segreti della lavorazione dalle vicine di casa (non c’è moglie di pescatore che non sappia prepararlo), ne acquisisce la manualità, raccoglie aneddoti e storie, e ogni domenica lo propone nel suo ristorante in degustazione con diverse varianti.
«In queste zone, continua Marilù, il cuscus è un rito che dura un giorno intero, un momento che si condivide in cucina e a tavola. Inizialmente me lo preparavano le mie vicine di casa e non mi permettevano di farlo e poi ho capito il perché: preparare il cuscus nella vecchia maniera è molto impegnativo, ma dopo diversi tentativi ci sono riuscita anche io».
Il cous cous di Marilù Terrasi
Utilizza solo grano di origine certificata siciliana che incoccia a mano, condito e cotto al vapore. Per cucinare al vapore si utilizza la cuscussiera, un recipiente bucato, che si poggia sopra una pentola piena d’acqua e aromi vari e si sigilla con la “cuddura”, un impasto di farina e acqua che diventa come una colla e farà sì che il cuscus cuocerà al vapore. Il segnale della cottura è il fumo che fuoriesce dal centro del cuscus. Durante la cottura, che dura più di un’ora, si prepara il brodo con cui condire il cuscus, che può essere di qualsiasi tipo, di pesce, di carne, vegetale. Dopo aver messo il brodo, si fa riposare, coperto da una coperta di lana almeno tre quarti d'ora, e siccome nella cucina popolare non si butta via niente, se rimane un po' di impasto della farina usata per la “cuddura” si preparano le “cuddurette” che sono dei piccoli anellini che si mettono sempre sul cuscus già cotto.
Dopo aver appreso quest’arte, l’idea di diventare Ambasciatrice del cuscus del trapanese. Ogni inverno inizia a girare nelle cucine di ristoranti in Italia e all’estero per vere e proprie tournèe gastronomiche, portandosi dietro gli ingredienti e gli utensili principali. Veri e propri laboratori-degustazione per dimostrare che il cibo è cultura, cultura complessa e pertanto deve essere spiegato e capito. A chiusura del suo intervento Marilù inseriva gesti rituali, storie e canti popolari, che esprimono l’identità e la storia della Sicilia nord-occidentale, punto di incontro fra le civiltà del Mediterraneo e danno un esempio concreto dell’inscindibile binomio uomo-ambiente e dell’antico nesso fra nutrimento e figura femminile, da sempre custode del sapere alimentare e protagonista del lavoro in cucina.
«Si trattava di veri e propri scambi, continua Marilù, perché io mostravo come si faceva il cuscus anticamente e in cambio osservavo il loro modo di cucinare e accrescevo la mia esperienza. Perché io sostengo che per cucinare bene bisogna prima guardare e poi fare pratica». Nel 1992 al ristorante si abbina un piccolo hotel, il posto con vista mozzafiato sul golfo è diventato anche lo scenario di una fiction televisiva.
Oggi in cucina assieme a Marilù c’è lo chef Peppe Barone che dopo aver ceduto alle figlie la gestione del suo ristorante di Modica Fattoria delle Torri, ha deciso di rimettersi in gioco proprio al Pocho. Marilù quando può porta in giro il cuscus per far conoscere un piatto della tradizione trapanese, che affonda le sue radici in un passato lontanissimo.