Invitato per lavoro in quel di Mortara, più precisamente al ristorante Torino dell’albergo San Michele, specializzato in oca, ho avuto ancora una volta la riprova della superiorità etica ed estetica dell’enogastronomia di provincia, almeno per quanto riguarda la tavola italiana.
L’enogastronomia italiana è soprattutto affare di provincia, lo è sempre stato e non potrebbe essere altrimenti. Lo è perché quello che oggi vediamo come provincia, spesso con malcelato (e non del tutto ingiustificato) snobismo verso la componente del “provincialismo” è innanzitutto la base della cultura italiana che risiede in una straordinaria, e inimitabile e per molti versi irriducibile biodiversità.
Italia, una storia di identità locali
Siamo un Paese che è diventato uno molto tardi, con molti punti di saldatura imperfetta in termini di identità di cultura. Questo insieme di debolezze ha sigillato le culture locali, facendo in modo che le identità provinciali, ma spesso anche comunali, potessero rimanere il più possibile intatte, certamente molto più che in altri paesi.
L’enogastronomia, che oggi si identifica sempre di più con l’identità culturale di luogo, rappresenta la massima espressione di questo mosaico, massima espressione che trova il suo apice appunto nei luoghi della diversità ossia nell’infinita provincia italiana.
Oltre a questa ragione culturale specifica, viene sono altre, che non riguardano tanto il rapporto con le specificità italiane, quanto il tema, di valenza più generale, il rapporto tra città e periferia.
I tempi delle trattorie e la cura dell'ospite
C’è il tema della lentezza, che non è davvero possibile togliere dall’equazione di una grande esperienza enogastronomica. Certo possiamo, come in città e investire tutto sullo spettacolo, ma alla fine il teatro, o l’alta moda, riempiono gli occhi ma difficilmente soddisfano palato e stomaco insieme.
C’è poi un tema sempre più evidente, fondamentale per l’esperienza, della cura, dell’attenzione non stereotipata né industrializzata al cliente. Qui sono tranchant: per quanto il vostro business Plan e il vostro sistema digitale di prenotazione possano sembrarvi fighi, e piacere all’incolto, esperienza dell’enogastronomia che non sia riempirsi la pancia, o assistere a uno spettacolo di teatro contemporaneo, è un tema di persone ed è affidata a empatia e relazione. Alla cura dell’oste che ti conosce, e ti saluta, cosa che nelle metropoli sarebbe considerata arcaica e ben poco redditizia.
Prenotare un tavolo come una visita dal dentista
Il tema, sia chiaro, non è la museificazione delle trattorie, né tantomeno la sua proliferazione inventata: bisogna andare a mangiare in provincia per capire la nostra cucina, tenerne in vita le basi e supportare chi si muove con onestà verso l’innovazione.
Nelle discipline dello spirito, com’è l’enogastronomia nel senso di paradigma della storia della cultura di una nazione, la tradizione e l’innovazione non possono infatti che andare di pari passo.
La tradizione da sola è zoppa perché rischia di essere solo ripetizione del passato. L’innovazione da sola è robotica e di poco interesse. Toglie la fame, come prenotare un tavolo a Milano nello stesso modo con cui fisso il dentista.