C’era una volta il cliente che aveva sempre ragione. Era un ospite – mi piace di più che non cliente – meno scafato, meno accorto e che si affidava sempre con piacere al cuoco, allo chef anzi. Il cliente che aveva sempre ragione, tutto sommato pendeva dalle labbra e dalle pentole del cuoco. L’attenzione del cuoco e dei camerieri, in sala, era però tutta per lui. Sì, perché la regola era quella: magari non ci capiva nulla, ma aveva sempre ragione. Magari, anche se non capiva molto, rimandava indietro un piatto perché era troppo salato: allora arrivava subito lo chef al tavolo per scusarsi e seguiva il cameriere che quel piatto lo buttava via e ne riportava un altro con meno sale. E probabilmente nel conto finale neppure lo trovava, perché era offerto dalla casa. Certo, poi nel segreto della cucina il cuoco avrà maledetto chissà quanto e come quel cliente che non capiva nulla. Ma appunto nel segreto della cucina.
Siamo tutti clienti gourmet
Oggi che siamo diventati tutti clienti gourmet, curiosi e golosi, oggi che sappiamo tutti un po’ tutto di tutto (come al Bar Sport dove tutti sono ormai ct esperti di calcio più dei mister sul campo), oggi noi clienti evoluti non abbiamo più sempre ragione. Anzi, non ce l’abbiamo mai. Oggi se ci arriva un caffè senza cucchiaino per lo zucchero e chiediamo al cameriere se per favore ci può portare lo zucchero, dobbiamo stare attenti. Perché ci verrà spiegato che quel particolare specialty non va degustato con lo zucchero, che lo rovinerebbe. E se quello specialty ci sembra troppo acido, evitiamo di dirlo. Perché ci verrà risposto che è ovvio che sia così, perché “è” così e che magari non lo conoscevamo ma che è giusto così. E dunque siamo noi quelli che non conoscono e non sanno e non abbiamo affatto ragione.
Se la tartare proprio non va giù...
E dobbiamo stare attenti, noi clienti scafati ed evoluti che ne sappiamo un po’ di tutto. Attenzione a quando ordinate una bottiglia di vino, pensateci prima di dire che “sa di tappo”. Se una volta il sommelier vi avrebbe tolto la bottiglia senza neppure assaggiarla e anche se aveva una chiusura sintetico e non poteva avere sentore di tappo (così, giusto per non farvi fare brutta figura e perché alla fine il cliente aveva sempre ragione), oggi rischiate che il sommelier assaggi il vino e davanti alla vostra compagna di tavolo esclami: “Ma no, signore, assolutamente non c’è difetto di tappo”.
Se poi andiamo in un bel locale, grande punteggio in guida, e ci portano una tartare di manzo che sembra un po’ molliccia, sensazione che aumenta e diventa insopportabile se la si assaggia con il condimento-guarnizione che la accompagna e se questo proviamo a dirlo al cameriere che l’ha servita e quel cameriere ci dice che nessuno lo ha mai notato e che ci chiama lo chef il quale chef arriva e a fronte delle nostre idee su quel piatto non ci spiega che beh, magari ci penserà su per capire se e come migliorare la ricetta e ovviare al difetto, bensì ci spiega perché quel piatto è fatto così e che deve essere proprio fatto così, che può non piacerci, ma quello è il piatto come da descrizione in carta… Sì, non abbiamo più molti dubbi sul fatto che ormai, oggi, il cliente non ha proprio più ragione. Neppure quando – a differenza di quando aveva ragione – magari oggi ce la potrebbe anche avere per davvero.
Cucina=Arte? Ma anche a teatro si protesta
Vero, ormai sempre più i cuochi cucinano per raccontare se stessi, per esprimere il proprio punto di vista sul mondo ai loro ospiti. C’è chi sostiene che sia sempre più una espressione artistica. Ma l’arte, a differenza di quanto qualcuno dica, è soggetta alle critiche o agli apprezzamenti del pubblico. Anche se sempre più il pubblico di un concerto o di uno spettacolo teatrale tende ad applaudire e a non esprimere dissenso in maniera plateale come si faceva (ed era sicuramente una cosa molto sana) una volta quando si fischiava o si battevano i piedi o si tiravano i pomodori sul palco, comunque chi si mette in mostra si offre al giudizio del pubblico. E i cuochi? I ristoratori? Davvero loro se ne possono fregare del giudizio del loro pubblico? Ha senso?
Ora, magari noi clienti non avremo sempre ragione, ma per lo meno fatecelo un pochino credere. Fate finta di starci a sentire. Magari, a forza di far finta di ascoltare, può darsi pure che qualche cosa entri in testa anche a qualche chef o a qualche sommelier o cameriere e che arrivino a capire che al mondo sono tanti i punti di vista possibili. E che se un cliente arriva al loro tavolo il rapporto che si instaura è quantomeno tra due persone e tra due visioni del mondo diverse e non può essere solo un esercizio di solipsistico narcisismo da parte di un imprenditore-artigiano che viene anche pagato per il suo servizio.
Gli chef artisti di Milano
Scrive Paolo Manfredi su PuntarellaRossa in un articolo dal titolo evocativo “Gli chef artisti di Milano: nessuno li può giudicare?”:
“… ho sempre più l’impressione che ai giovani barman e ristoratori le troppe competenze necessarie a fare oggi questo lavoro, insieme al business plan, alla brand identity e a tutto quello che sta trasformando un lavoro artigiano in un’altra cosa fanno forse un po’ male. Nel senso che esiste una differenza, enorme, tra essere clienti di un servizio ed essere spettatori di una performance artistica. Nel secondo caso io vengo a fruire della performance e la mia opinione a te artista interessa fino a un certo punto, vale la libertà assoluta d’espressione o l’atto di fede. Puoi ridere della banana di Cattelan, o inchinarti a tutti i metalinguaggi che esprime. L’arte non è comunque democratica. D’altro canto, se sei un cane, è probabile che alla fine la tua poetica non la capiscano che pochissimi, e che tu debba trovarti un altro mestiere. Dove invece sono cliente, pago per un (anche raffinatissimo) servizio. Non solo il mio parere dovrebbe contare, ma se ti facessi furbo dovresti anche non darmi ragione, ma costruire una relazione con me, spiegarmi il tuo punto di vista, anche convincermi o comunque educatamente sentirmi. Ho visto di persona grandi chef fermarsi al tavolo a parlare con dei clienti che palesemente non capivano nulla, ascoltando e argomentando. Perché “il mercato è una relazione” e siccome tu mi vendi qualcosa, cibo ed esperienza della sua fruizione, è opportuno che tu mi stia a sentire...”
Più chiaro di così?