Il post Covid si preannuncia lungo e doloroso per le attività della ristorazione, è palpabile la preoccupazione e la scarsa comprensione dei suoi problemi specifici da parte dello Stato e del mercato. Come in tutte le difficoltà, però, qualcuno coglie l’occasione per ripensarsi, così come prefigurare un futuro diverso e che sposi le esperienze che provengono da mercati più maturi, come quello della produzione e della gestione aziendale.
Ha fatto esattamente così Piero Pompili, un professionista di lungo corso, visionario fine e intelligente. In 24 anni di lavoro ha abbracciato e costruito progetti interessanti che hanno funzionato in termini di pubblico e di critica gastronomica di cui non parla mai - “non sono un tipo ancorato al passato” dice – e da 4 anni invece si occupa della gestione del Cambio a Bologna. In questo periodo di chiusura del locale in via Stalingrado, rinato ed affermatosi in questi anni grazie al suo impegno, Pompili ha razionalizzato e strutturato la sua idea della figura del maître del futuro, connotandola di tutte quelle che dovranno essere le caratteristiche e le competenze che questa mansione dovrà assumere.
Piero, perché non stupisce il fatto che sia proprio tu ad aver fatto queste considerazioni?
Probabilmente la capacità imprenditoriale, di adattamento e versatilità nella costruzione di proposte così diverse nel tempo mi hanno fatto riflettere, in questo momento, sulla competenza manageriale necessaria prima ancora che su quella della sala.
Quali devono essere i caratteri salienti della figura del maître in termini di preparazione, competenze e raggio d’azione in una impresa di ristorazione?
In futuro la figura del maître dovrà evolversi, non basterà più avere competenze gastronomiche ed enologiche ma ci sarà sempre più la necessità di persone capaci di avere a disposizione conoscenze manageriali, di marketing e di comunicazione.
Dunque cucinare bene non basterà più?
No. Bisogna saper costruire un progetto che potrà nascere da una filosofia o da un piatto ma che deve avere, come la chiamo io, la quadratura del cerchio con tutto il resto che la circonda. Cinque volte su dieci, invece, vedi progetti gastronomici sbilanciati, dove la cucina va da una parte, la sala dall’altra, clientela e ambiente per altrettante strade, per questo alla lunga si ritrovano a essere ristoranti fragili che devono fronteggiare problemi alle prime avvisaglie.
Nel caso del Cambio come è andata?
Quando sono arrivato al Cambio la proprietà aveva già avviato un processo di cambiamento dal ristorante fine dining con l’idea di farne una trattoria. Il progetto aveva già 3 mesi di vita al mio arrivo, ma ho voluto completamente stravolgerlo.
Perché?
In un mercato già saturo di trattorie, nel 2016 ho pensato che non ne servisse di certo un’altra. Serviva qualcosa di nuovo così mi sono ispirato ai vecchi ristoranti che hanno fatto grande Bologna in passato: quei ristoranti classici che andavano di moda negli anni 70 e che proponevano piatti della tradizione nei giorni di festa; luoghi animati da persone di sala che diventavano per la città dei veri e propri personaggi.
Da dove cominciare?
Sono partito da quegli stessi piatti che si trovano in tutte le trattorie bolognesi, rendendoli però ancora più golosi e li ho contestualizzati in un ambiente dal sapore vintage, con mise en place da giorni di festa (porcellane finissime e argenteria), con un servizio attento che curasse l’ospite dal momento in cui suona il nostro campanello per entrare fino a quando non lo congediamo, sempre su quella porta, per il rientro a casa. Abbiamo curato ogni singolo aspetto facendo in modo che ci fosse una continuità di pensiero tra tutte le singole voci che un ristorante deve proporre.
Quale è la formula segreta?
Si chiama progettualità: ho creato un ristorante, al ristorante ho dato la mia immagine (come facevano i patron in passato) dietro l’immagine mia e del ristorante c’è un prodotto (commerciale e immediato) che la gente identifica in tagliatelle, tortellini, lasagna e cotoletta e dietro questi piatti c’è una città, Bologna. Il successo non è tardato ad arrivare, anzi.
Dunque una rinascita che nasce dalla sala è possibile?
Può farlo un cuoco o imprenditore, nel nostro caso è stato fatto da una persona che lavora in sala. E non siamo l’unico esempio. Per cui sì, il futuro della nuova ristorazione italiana sono certo che passerà dalla consapevolezza di una nuova sala, sempre più manageriale.
In questo, si legge molto un’ispirazione presa dalle competenze di un direttore generale d’azienda, figura presente in mercati più maturi di quello della ristorazione, immersa com’è in troppi contesti familiari, padronali.
Per far emergere la parte manageriale della sala occorre che dall’altra parte ci sia un interlocutore che ascolti e mai come oggi abbiamo bisogno di progetti gastronomici più ragionati che sognati. I sogni di gloria sono leciti, una ottima sala non vuole di certo infrangerli ma vanno studiati e progettati con la testa.
E allora come le mettiamo con il mondo delle guide?
In futuro il vero successo starà nel non rincorrere stelle, forchette, cappelli ma fare in modo che siano i riconoscimenti a inseguire un cuoco, un maître o un’attività commerciale che funzioni sotto più punti di vista.
Ti sei chiesto quali scuole potranno formare mai queste figure?
Sotto la quarantena ho guardato tantissime dirette Instagram... per dire, mi sono appassionato a quelle delle Cotarella Sisters. Credo che la loro scuola Intrecci al momento sia la più titolata per formare persone di sala anche sotto il profilo manageriale.
Come altro dare visibilità alla professione di sala?
Penso ad esempio che il Gambero Rosso Channel possa investire su di un nuovo format televisivo sulla sala coinvolgendo proprio la scuola Intrecci, perché a livello mediatico abbiamo ancora bisogno di una spinta per emergere come professione, così com’e successo per la figura dei cuochi. Per far questo abbiamo bisogno della televisione che è il mezzo più efficace di comunicazione.
Già in passato proprio qui sul Gambero Rosso prefigurammo il Cameriere come professione del futuro e parlammo di come i giovani preferiscano scegliere di diventare chef che imboccare la strada della sala come futuro lavorativo.
Oggi c’è una sovraesposizione di cuochi, tanto che uno chef ha più probabilità di essere colpito da un asteroide che diventare il futuro Carlo Cracco. Di personaggi di spicco della sala invece ce ne sono ancora pochi e sono ampiamente corteggiati perché si sta capendo che la sala è fondamentale per il successo di un ristorante.
Quali sono i passaggi fondamentali?
Occorre una nuova e maggiore consapevolezza di chi fa questo mestiere, che sarebbe già alta se in passato si fossero resi conto che chi lavora in sala è il principale testimonial di un territorio e di una città, promuovendo luoghi sconosciuti ai più. Senza contare il grande contributo nei confronti di quelle piccole realtà agricole ed enologiche che in questi anni sono sopravvissute anche grazie a chi in sala raccontava queste eccellenze a tavola. Se uno ci pensa, chi lavora in sala ha un potere commerciale enorme in mano.
Come pensi che tutto questo sarà accettato dalle proprietà dei ristoranti italiani
La ristorazione per come la conosciamo oggi cambierà. Dei ristoranti gastronomici importanti che conosciamo nei prossimi anni forse ne resterà il 10%. Oggi occorre lucidità mentale e capacità di azione, soprattutto nel breve periodo.
Quali sono le maggiori difficoltà?
Il problema vero è che oggi non abbiamo sufficienti restaurant manager da impiegare nella ristorazione. Penso che più che costruire, dobbiamo completare una figura professionale che è già a buoni livelli ma che si occupi del ristorante a 360 gradi. In questo saranno fondamentali le scuole, ma queste formazioni implicano un progetto a lungo periodo.
Dando per scontato che tutto vada nel verso giusto, in quanto tempo prevedi che questa figura professionale più completa si concretizzerà nei ristoranti italiani?
Non so quanto tempo ci vorrà ma ai cuochi dico sempre una cosa: ti reputi un cuoco bravo? Ecco, ci sono altri mille chef bravi quanto te ed è difficile dire chi sia il migliore. Ma se uno sa essere più convincente (e di conseguenza viene premiato) e non sei tu, probabilmente non hai saputo comunicare il tuo lavoro o il tuo prodotto. Forse è il caso che ti affianchi a una persona che invece questo lo sappia fare, così magari quel cuoco incoronato potresti essere tu. Questo non lo dico io, ma è la classifica della 50 Best dello scorso anno ad avercelo insegnato. Altrimenti non staremmo neanche a parlarne.
Al Cambio – Bologna – via Stalingrado, 150 - 051 328118 - http://www.ristorantealcambio.it
a cura di Marco Lungo