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Il lusso? “Non può essere inclusivo”. La butta giù semplice, Niko Romito, alla soglia dell'apertura del Bulgari Hotel a Roma, a piazza Augusto Imperatore, nei locali che furono di 'Gusto. Anche questo con il ristorante che porta il nome dello chef di Castel di Sangro (che a Roma ha già un'insegna, Spazio Niko Romito Pane e Cucina, Tre Cocotte, tra i migliori bistrot d'Italia per la guida del Gambero Rosso).
“Dobbiamo pensare ai ristoranti fine dining come all'alta gamma della ristorazione. E come per altri settori l'alta gamma, le prime linee, non sono per tutti. Anche se” aggiunge “noi possiamo essere alla portata anche di chi, magari, fa un sacrificio per venire nei nostri ristoranti. Ma dobbiamo dargli tanto”. Giustificare quella spesa, dare un'esperienza che poi ci si porta dentro “quella che ti cambia e ti fa vedere le cose in modo diverso”. Lo dice a ragion veduta, forte di un anno record, “il migliore di sempre, in cui è aumentata la clientela under 30 nel Reale”, il main restaurant abruzzese: Tre Forchette, Tre Stelle, uno dei ristoranti destinazione più ambiti al mondo. “Certe sere sembrava un pub!” Ma il fine dining non era in crisi? “Dipende quale. Girando il mondo non mi pare, anzi. C'è un pubblico che legge, si informa, è attento; e sta crescendo sempre più. Questo è un pubblico che vuole fare un'esperienza che sia tale. Quindi un posto in cui si fa innovazione vera, con i contenuti, non è in crisi, lo sono forse quei modelli di ristorazione che non hanno identità”.
Identità. La cucina italiana classica
Identità è una delle parole chiave. Facile quando si ragiona sull'alta ristorazione, meno quando si parla di un format che si replica uguale in tutto il mondo. Come al quinto piano del Bulgari Hotel di Roma, dove c'è la stessa offerta gastronomia di Milano, Parigi, Dubai, Shanghai, Tokyo: la stessa pasta al pomodoro, lo stesso antipasto all'italiana, la stessa cotoletta panata dello scandalo, quella della foto di Chiara Ferragni che in molti hanno pensato costasse 320 euro. In realtà erano 320 dirham, circa 80 euro. Comunque, non poco. “Consideriamo che a noi, solo la carne con l'osso, costa 22 euro. Ma non è questo il punto. Queste polemiche nascono da chi lì non andrà mai, perché nell'hotel Bulgari il prezzo della cotoletta è l'ultimo dei problemi, parliamo di un albergo dove le stanze costano più di 1800 a notte”.
Niko Romito al Bulgari Hotel Roma: ristorante, bar, caffè, dolci
Il Bulgari Hotel Roma che apre il 9 giugno è l'ultimo in ordine di tempo dopo Milano, Londra, Parigi, Dubai, Pechino, Shanghai e Bali, Tokyo (ma sono già annunciati quelli di Maldive, Miami e Los Angeles). Un'apertura che ha il sapore di un ritorno, dato che il marchio nasce proprio a Roma sul finire dell'ottocento. E a Roma segna un rientro in grande stile, con un progetto faraonico, 114 stanze decorate da quattro palette cromatiche, molte le suites, tra cui la Bulgari al secondo piano di 300 metri quadrati, e poi Spa con piscina di 25 metri, e sala lettura aperta al pubblico. L'apertura rianima la piazza con il palazzo razionalista, un tempo sede INPS, rinnovato da ACPV Architects Antonio Citterio Patricia Viel, come già le altre insegne del gruppo. Lo stesso edificio che ospitava 'Gusto, primo concept restaurant capitolino, e come quello declina l'offerta gastronomica con proposte diverse, ognuna con spazi e ingressi differenti. Tutti con la firma di Niko Romito, che dal 2017 lega il suo nome alla collezione Bulgari Hotel & Resort. Ci sono il Bulgari Bar e la Terrazza, per cocktail, snack e vista impareggiabile, Bulgari Dolci, cioccolateria e pasticceria tradizionale a Via della Frezza. Al piano terra e sotto al porticato, Il Caffè caffetteria, casual dinng di matrice romanesca, luogo del brunch domenicale che in un certo senso declina, in chiave Bulgari, il concept di Spazio Pane e Caffè, e uno spazio aperto all day long, la Lobby Lounge. Ma soprattutto, l'attesissimo il Ristorante – Niko Romito, con tanto spazio esterno e private room, e una proposta - uguale per tutti i Bulgari - saldamente italiana, fatta di grandi classici della tradizione in chiave Romito, tutti sapore ed eleganza.
Creatività e grandi classici. Il ruolo del gusto
Cotoletta, pasta al pomodoro, antipasto all'italiana sono piatti che si vendono tantissimo. I grandi classici: per uno che fa moltissima ricerca, pare quasi un controsenso. “Ma no: la cucina tradizionale italiana, il gusto classico italiano mi ispirano, ne sono affascinato. Poi da lì cerco di scrivere il mio percorso. Le mie origini sono lì. E se ci pensi la mia cucina è molto italiana: c'è il gusto puro della cultura italiana, ci sono i valori della cucina italiana”. È un concetto del gusto che arriva da lontano: “non ho fatto scuole, sono nato da una trattoria, quel concetto era anche il mio limite nei primi anni, avendo un pubblico di prossimità la mia cucina doveva lavorare sul gusto di quelle persone lì e al gusto che cercavo dovevo dare struttura”. E ora che quel pubblico di prossimità si trova distribuito in tre continenti, come cambia il lavoro? “Nella mia cucina cerco molta concretezza, cerco un gusto chiaro, netto, pulito, e cerco di portare al massimo l'ingrediente, lo stravolgo lo provo in tremila modi, lo modifico; l'obiettivo è dargli la massima espressione e cercare di rispettarlo talmente tanto che poi sia più potente e impregnato del gusto stesso che la natura gli ha dato. Così l'ingrediente ha fatto un percorso incredibile e torna con il gusto primario all'ennesima potenza”.
Emblematico in tal senso il lavoro sul carciofo, melanzana, o il cavolfiore, ma anche piccione. “Distillare il gusto credo sia il compito del cuoco italiano, a partire quel che la tradizione ci ha trasmesso, così si può lavorare attualizzando la cucina, fare un piatto buono, sano, che rispetti la salute di chi lo mangia. Questa ovviamente è la mia strada” aggiunge. Una strada che consente vari livelli di lettura, che per questo partecipa del carattere dei classici. “Chi ha esperienza, si rende conto della complessità che c'è dietro un piatto, chi non ne ha percepisce solo il sapore. Che ovviamente è legato a come ho costruito negli anni il mio gusto. Poi non tutti i piatti devono piacere, ma ora parlo anche del concetto. Per tornare al discorso di prima, quando c'è un vero valore aggiunto, ci sono esperienza, contenuti e ricerca, non vedo la crisi”.
L'esigenza di mandare messaggi forti
“L'Eleven Madison Park ha un menu vegetale da 400 dollari. E c'è la lista d'attesa. I suoi primi degustazione non funzionavano, ora sta influenzando la coscienza di molti, il messaggio lo ha lanciato a livello mondiale ed è qualcosa di interessantissimo. Le persone vanno per provare quell'esperienza lì, cucina, locale, servizio, estetica, luogo: è tutto contestualizzato. È stata una decisione forte da parte dell'Eleven Madison, ma per dare messaggi forti si devono fare scelte forti, che vadano anche contro il pensiero comune, contro quello a cui si abituati che spesso è un parametro di giudizio”. Scelte dirompenti, insomma. E proprio al vegetale, Romito ha dedicato il menu - straordinario - dello scorso anno, che ha attratto molti giovani: “loro chiedono risposte su una serie di temi, il cibo è uno di questi. Il fine dining è il luogo di ricerca e creatività: deve dare risposte e far porre domande nuove”. E il vegetale pare essere una delle chiavi di volta di un'evoluzione della società orientata verso la riduzione dei consumi di carne, per questioni legate alla salute personale e del pianeta.
Il menu vegetale
“Lo scorso anno avevamo quasi finito il menu quando abbiamo deciso di fare un percorso solo vegetale, cambiando rotta. Mi spaventava questa scelta ma poi ci siamo detti: 'facciamo qualcosa di bello'. Era una scelta giusta che ci dava soddisfazione. Ma temevo che a raccontarlo potesse sembrare una mossa commerciale”. Al centro, ricerca, creatività e un linguaggio chiaro, capace di trasmettere concetti identitari, frutto di approfondimento, di ricerca tecnica, di conoscenze chimiche e fisiche oltre che gastronomiche: “La cucina istintiva non l'ho mai fatta, sto anche mesi su un piatto, un anno per il cavolfiore, la testa mi dice dove voglio arrivare ma poi non so come, magari sto tanto su una cosa e mi rendo conto che non ci arriverò mai,ma poi quel processo creativo può tornare per altre cose. Gli stimoli nascono dal pormi dei limiti, poi divento ossessivo nel cercare di superarli, questo mi porta in scenari sempre diversi e magari inaspettati”.
Quindi sono 20 anni di studio? “Sì, e senza - forse - non avrei potuto fare il vegetale che faccio oggi, che nasce dall'Assoluto di cipolle del 2009, un piatto che sembra moderno ma ha 14-15 anni, e non è stato istintivo neanche quello. E poi c'è il lavoro sulle strutture e sul sapore”. Lo fa a partire da un paniere di grande varietà, con colori vivaci, puliti, chiari, con strutture e sapori diversi, “il vegetale visto in maniera complessa, lavorato in profondità è un ingrediente come e più di carne e pesce”, un tempo si pensava che potesse svalutare un ristorante (e in alcuni posti ancora è così). Come la mettiamo con i prezzi? “Il costo della nostra ristorazione è dato dal lavoro sulla materia prima, è quello che rende nobile anche il prodotto che a monte non lo è. Lo rende prezioso, emozionante e unico”. È il costo della ricerca e dell'innovazione che consente anche a una foglia di cavolo di stare in uno dei più premiati ristoranti al mondo. E poi c'è l'esperienza complessiva. “È vero, serviamo piatti con una foglia, ma c'è un grandissimo studio dietro, e c'è il senso di servire quella foglia in quel luogo che ha quel tipo di architettura, che dialoga con il resto. La coerenza che trovi da quando entri a quanto esci”. Mi stai dicendo che quel piatto in un altro posto ha meno forza? “Esattamente, l'intelligenza di chi fa cuoco e chi fa impresa è anche cercare la coerenza”.
Cucina e impresa. La formula Romito
Parola chiave: impresa. Nei ristoranti c'è la sfera creativa e la sfera imprenditoriale. Unirle è la cosa più difficile, in tutti i settori; non è detto un bravo cuoco sia anche un bravo imprenditore. “Io nasco come cuoco, ma faccio pure l'imprenditore, la forza è che cerco di investire su una creatività personale. Ho un sistema che mi consente di avere un risultato economico che rende sostenibile la gestione”. Adesso è facile, ma un tempo? “Quando ho aperto Casadonna, nel 2010 – 2011, ho sofferto tantissimo, se penso solo ai materiali, alla manutenzione, al personale: non so se quell'investimento fosse più coraggio o follia. Oggi” continua “è in equilibrio, e per me un valore aggiunto: non ha grandissimi margini, ma ha comunque un bilancio in attivo solo con le stanze (10) e i tavoli (9) anche senza sistemi economici satellite intorno. Ma ci siamo arrivati negli anni, tirando la cinghia, con un sistema di investimenti e debiti e tantissimi sacrifici”. Anni di sacrifici, studio e impegno, “ho ragazzi che stanno con me da 15 anni e restano perché ogni anno vivono un processo creativo, abbiamo progettato insieme quel che è successo, siamo cresciuti insieme e fanno parte integrante del progetto. Come cresco io, crescono loro”.
Ma l'imprenditore sei tu, non loro, perché dovrebbero fare sacrifici? “Guarda: su mille cuochi che fanno benissimo il loro lavoro ne emerge una percentuale molto bassa, in genere sono quelli che fanno più sacrifici di quanto è dovuto. Ora abbiamo 2 giorni e mezzo di chiusura e 60 di ferie e molti li usano per studiare e continuare la formazione. Non tutti sono predisposti a investire più tempo di quello che l'azienda ti richiede. Su 30 ragazzi ci sono quei 3 che vogliono migliorare, e qui gli diamo la possibilità di crescere. Ovvio che quando vivi in un sistema in cui fai sempre ricerca, si alza l'asticella, sei stimolato e vuoi migliorare, penso che in qualsiasi settore sia così. Credo che per avere responsabilità sia necessario avere quell'approccio, ma ci sono anche altri oltre alle prime linee”.
Facciamo i conti: 10 camere, 9 tavoli (tra i 20 e i 26 coperti), 34 dipendenti e un menu degustazione a 190 euro – un prezzo inclusivo per questo livello. Una scelta di inclusività, di concetto gastronomico - “Dobbiamo conquistare un pubblico nuovo”. Poi ci sono tutte le alte attività che declinano la cucina a diversi livelli: dal fine dining al bistrot, dal fast food al grande ristorante borghese, fino allo street food, sempre con lo stesso concetto. “Ducasse sta facendo uno sviluppo verticale dall'alta ristorazione in giù, con caffè, cioccolata biscotti a breve anche pasta all'uovo”. Lo stesso Ducasse che a breve approderà a poche centinaia di metri da Romito, nell'hotel Romeo di curerà la ristorazione. Ma c'è qualche cuoco che ti colpisce? “I colleghi che cercano di battere nuove traiettorie, come in passato delle esperienze alla Certosa di Maggiano: uscivo da lì con 3mila domande”. E poi ovviamente c'è il gusto: “Se mangio qualcosa senza emozione e bontà il messaggio non passa”.