Il giovane sushi chef (italiano) che coltiva edamame, daikon e fagioli azuki nel suo orto in Irpinia

4 Mar 2024, 17:19 | a cura di
Innamorato della cucina nipponica, Andrea Rullo ha aperto ad Avellino "Barà - Japanese Fusion Restaurant" e coltiva in proprio tutti gli ortaggi orientali che entrano nei suoi piatti

Andrea Rullo ha 28 anni e le idee molto chiare. Punto saldo: l’amore per il Giappone e per la sua cultura gastronomica che lo ha conquistato sin da adolescente. La formazione iniziale è quella classica: studi all’alberghiero di Avellino, stage in ristoranti stellati, da Marennà a Sorbo Serpico all’Hotel Emma di San Vigilio di Marebbe. A un certo punto - è passato più di un decennio - frequenta un corso di aggiornamento sulla cucina orientale a Milano. Tra i formatori c’è Ignacio Hidemasa Ito: è una folgorazione. Ito, oltre a essere un grande cuoco, è un vero maestro e diventa il suo tutor. Rullo lavora con lui da Jap-one a Napoli ed è sempre Ito a spingerlo a fare il salto ulteriore, con un viaggio verso Osaka: nonostante lo chef, infatti, sia noto per la cucina nippo-brasiliana, ha legami familiari nella città giapponese e consiglia al suo allievo di passarvi del tempo e di accumulare esperienze gastronomiche, dal sushi bar allo street food tradizionale.

Genesi di un sushi chef

Da lì la strada è segnata: Andrea apre il suo ristorante, Barà, nel 2021 (e poi il delivery Mr.Jap), siamo in via Circumvallazione, di fronte al Teatro Gesualdo di Avellino. «Il nostro è uno stile fusion ragionato – racconta – se il fusion di solito tende a unire salse e contorni della cucina italiana a quella orientale, noi invece utilizziamo ingredienti prettamente irpini per fare cucina giapponese autentica». A partire dalle verdure.

L’orto

Grande virtù del lavoro di questo ragazzo sta nel perfezionismo che lo ha spinto fino a creare un vero orto giapponese nel cuore dell’Irpinia. «Avevamo già un terreno di famiglia, di circa 3 ettari, destinato a orto molti anni fa per il consumo domestico. Quando ho deciso di produrre per il ristorante, fin dall’apertura, siamo andati avanti per selezione». Cosa significa? «Prendiamo i semi dall’Oriente, li innestiamo, vediamo quali vanno avanti, quali stanno bene nel nostro habitat appenninico e poi decidiamo se inserirli in coltura o meno». Così nelle terre di San Potito, insieme ad alberi da frutto e ortaggi autoctoni, crescono soia verde edamame, zucca hokkaido, daikon, cavoli cinesi, fagioli azuki: la selezione, secondo periodo, è vasta e in continuo aggiornamento.

Creatività e autoproduzione

Con l’orto qui si copre quasi tutto il fabbisogno vegetale del ristorante (eccetto per alcuni prodotti, come i funghi) e dall’orto si parte per creare i piatti: «Essendo colture a rotazione stagionale, quando vediamo che la stagione sta per cambiare, ogni 3-4 mesi circa, cambiamo anche le ricette: partiamo dall’ingrediente per lavorare sulle modifiche del menu».
A pranzo da Barà c’è un menu agevolato, un vassoio con preparazioni del giorno; di sera la proposta è più impegnativa, alla carta o con due percorsi di degustazione, tra i quali non manca l’omakase, quello che per i giapponesi vuol dire affidarsi totalmente allo chef, con le preparazioni più tradizionali, sushi in primis. La creatività è di casa nell’interazione fra le tecniche nipponiche e i prodotti irpini: cipolla di Montoro, mela di Grottolella, tartufo nero, nocciola mortella. Il pescato è selezionatissimo, locale e non: scampi, gamberi, tonno del Mediterraneo, ostriche dalla Sardegna, salmone scozzese: «In casa facciamo preparazioni come il tofu o il miso di fagiolo Quarantino di Volturara, il katsuobushi, i lime essiccati. Ma anche il brodo del ramen e i noodles». A parte, in una cella frigorifera apposita, prendono vita le fermentazioni, dal koji alle kombucha.

L’importanza degli abbinamenti

«Nel prossimo menu inseriremo un abbinamento ai piatti con la nostra kombucha, per ora in carta ne abbiamo solo una, prodotta da un’azienda che lavora in biologico». Il ventaglio dei pairing è già ampio, in sala la brava Antonella Biondi gestisce a dovere una carta dei vini che mette in luce le grandi produzioni irpine, insieme a una selezione internazionale, dagli Champagne ai Riesling della Mosella. E poi ci sono i sake, altra grande passione di Andrea. «Io sono un sake sommelier, ho fatto il master con la Sake Sommelier Association, che è un circuito internazionale. Per i sake, lavoriamo con un’azienda di Kanazawa che ha un mediatore a Milano, la Sake Company di Lorenzo Ferraboschi. Lavoriamo con lui a stretto contatto per poter portare innovazione in Irpinia, con sake rari, frizzanti, da riscaldare, da raffreddare: qui c’era solo l’abitudine al sake caldo a fine cena, invece vogliamo far passare l’idea che sia una bevanda adatta a tutto pasto».

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