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Esperienze diverse, proposte diverse. Impensabile sovrapporre le cose. Per questo Marco Ambrosino – come molti altri protagonisti della ristorazione d'autore - ha deciso di mettere in cantina, per un po', la proposta tutta spigoli e fermentazioni, sorprese e rimandi del suo 28 Posti di Milano, e di ragionare su altro. “Non abbiamo mai preso in considerazione l’ipotesi di portare i piatti del ristorante a casa” conferma. L'idea per il suo delivery è di studiare quella che chiama “una chiave di lettura personale alle pietanze che ben si prestano all'asporto”. E di ragionare come se si trattasse di un altro locale, “ma con il nostro approccio e i nostri ingredienti”.
Il lancio ufficiale è in questi giorni, ma l'idea ha preso forma quando l'Italia non era ancora a tre colori e da un paio di settimane è operativa. “Abbiamo cominciato che eravamo ancora aperti anche se solo dal venerdì alla domenica a pranzo”. Un momento in cui i ritmi erano tornati a quelli del pre-pandemia, al netto di limitazioni e nuove regole, “e avevamo anche la nostra piccola lista d'attesa” aggiunge, ma ai primi segnali di chiusura si è rimboccato le maniche.
All'inizio c'erano solo 4 panini, poi nel corso del tempo l'offerta si è ampliata includendo anche dei piatti più elaborati, inserendo nuove proposte ogni settimana, facendo acquisti di misura e a seconda delle esigenze. “Le valutazioni commerciali in questa seconda chiusura sono più accurate”. Sulla scorta di un'esperienza fatta subito dopo il primo lockdown, in estate: “avevamo proposto dei kit in cui ognuno si costruiva il suo piatto, c'erano pasta, sughi, pane, dolce, ma adesso abbiamo cambiato rotta” spiega. “Ora abbiamo deciso di non delegare alle persone ma consegnare piatti pronti all'utilizzo e consumabili in breve tempo”.
La gastronomia di quartiere firmata Ambrosino
“Non voglio nemmeno provare a portare il 28 Posti a casa, non è imitabile né sostituibile. E credo che non debba esserlo perché poi le persone – quando tutto sarà finito – devono avere voglia di tornare al ristorante. Sarà difficile per tutti, e lo è già adesso” continua “ma secondo me chi lavorava, chi ha curato i suoi clienti e gli è stato vicino, tornerà a lavorare”.
In questa nuova formula i piatti sono golosi, semplici ma non banali: “la vedo un po' come una gastronomia di quartiere, un tipo di lavoro mi sarebbe anche piaciuto fare, ma mai avrei pensato di doverla fare in questo ristorante e al posto di questo ristorante che abbiamo costruito in tanti anni di fatica”. Ma l'esigenza ora è di non spegnere i motori: “lo stiamo facendo per cercare di mantenere l'attività aperta, far lavorare i ragazzi e non perderci, con loro e con i clienti”. Tutto con la consueta coerenza: “Abbiamo deciso da subito, per onestà intellettuale, di limitare sacchetti e confezioni varie. Anche i sughi sono in barattolini che i clienti ci riportano e noi li riutilizziamo”. E nel frattempo, accanto al delivery, va avanti lo studio per il menu, quello che verrà “dopo”.
Parola d'ordine: semplificare
Mentre in primavera 28 Posti è stato chiuso, stavolta Amborsino ha deciso di scendere subito in pista. E di farlo a modo suo, con concretezza e lucidità, semplificando un'offerta che non vuole neanche avvicinarsi a quella di un ristorante gourmet e puntando dritto a una clientela che negli anni si è sempre più affezionata, “avevamo persone che venivano da noi anche due volte a settimana, dobbiamo continuare a far sentire loro la nostra presenza, andandogli incontro anche ora, eliminando ogni difficoltà e senza obbligarli a mettersi a lavorare”. E sono quei clienti affezionati che continuano a cercare Ambrosino anche in questo momento. Ma non è facile, perché i consumi sono diversi: se prima si mangiava a casa solo alcune volte a settimana e magari in due, adesso la famiglia intera è riunita attorno al tavolo tutti i giorni, e le scelte che si fanno sono diverse. Il vino, per esempio, è sempre più spesso ordinato dalle enoteche della città che hanno – a loro volta – messo su un servizio di consegna.
I piatti del delivery
In menu (dai 7 ai 14 euro) cose come la Pancia di maiale affumicata, anchoiade e papaccelle, Lingua salmistrata con salsa ponzu e verdure in agro, il Pollo alla brace con salsa romesco e rape marinate o il Cavolfiore fritto con cipolle in carpione e shiso, ma anche la Frittatina di pasta e la Scarola affogata alla napoletana, i panini home made (10-12€) con la focaccia al cavolo nero con Sarde affumicate, scalogno in carpione e salsa alle erbe e quella ai semi con Petto d’anatra, pomodoro alla brace e salsa di anatra e funghi, Pane arabo con Kofta di agnello al sugo e hummus di ceci e Pane rustico, cavolfiore brasato al miso, olio alle erbe bruciate e salsa d’orzo. La Cena per due (75 €), che include un sugo, due portate principali, due contorni, due dolci e il vino.
Delivery e ristoranti. Lavori simili, ma differenti
Quali sono le difficoltà maggiori di un passaggio del genere? “Dal punto di vista tecnico, il fatto che le cose che non verranno consumate nei tre minuti successivi, quindi bisogna ragionare con un approccio completamente diverso”. Sia per quanto riguarda le pietanze, che devono reggere bene al trasporto, sia per quanto riguarda i panini “non sono l'equivalente di un piatto ma di un menu intero, di un pasto”. Ma non è il solo ostacolo con cui bisogna fare i conti: “non era il nostro mercato, se come ristorante abbiamo conquistato una certa regolarità e abbiamo una nostra clientela affezionata, ora ci siamo messi in un circuito completamente nuovo”. Insomma: “ognuno sta facendo un lavoro che non è il suo”.
Non è il momento delle medaglie, ma della sopravvivenza commerciale e umana
Come sta andando? “Mediamente bene come potrebbe andar bene una attività aperta da una settimana in una settimana in cui hanno aperto tutti insieme in città”. E poi aggiunge: “niente a che vedere con quel che servirebbe per pagare bollette e stipendi”. È un momento in cui si parla di “sopravvivenza commerciale e umana: i ragazzi che lavorano con me arrivano da fuori, sono stati 3 mesi chiusi in una stanza, in una città che non è la loro”. La serenità è un'esigenza, soprattutto a fronte di incertezza economica, con la cassa integrazione che non sempre è arrivata e le prospettive poco limpide. “Bisogna dare un messaggio serio: la ristorazione ha bisogno di un grandissimo aiuto e noi che ne facciamo parte lo sappiamo e dobbiamo smetterla di cercare la notizia o il colpo di genio a tutti i costi. Tutto questo non vale una medaglia o una classifica. Non esasperiamoci ulteriormente con delle cose che c'entrano poco con questo lavoro. Ognuno sta ingegnandosi a fare un lavoro che non é il suo. Non è il momento della competizione tra di noi”.
28 Posti – Milano - www.28posti.org
a cura di Antonella De Santis