Quando si va al ristorante Da Vittorio lo si fa per il piacere di mangiare bene avvolti da un servizio come in Italia non ce ne sono, ma soprattutto per cercare di comprendere dal suo epicentro il segreto di un sistema gigantesco, che fa della famiglia Cerea un caso imprenditoriale unico. Locali al vertice in Italia e nel mondo, negozi, consulenze, specialità alimentari, un catering di militaresca efficacia: l’universo firmato Da Vittorio non teme rivali. A dirigere la cucina dell’insegna di Brusaporto, in provincia di Bergamo, ci sono Enrico – Chicco – e Roberto, detto Bobo, che guidano una brigata affiatatissima, nata per vincere. Qui l’avanguardia si fa con i piatti, certo, ma anche con gesti scenografici come la mantecatura in diretta dei leggendari paccheri alla Vittorio, ulteriore dimostrazione – se mai ce ne fosse bisogno – che è attraverso la semplicità che si giunge alla perfezione.
Il caso imprenditoriale dei Cerea
Proprio quei paccheri restano uno dei capisaldi del menu, apprezzato da buongustai di tutto il mondo, vip e politici inclusi. In questa pietra miliare della ristorazione italiana hanno mangiato un po’ tutti: Berlusconi, la Ferragni, Obama, Beppe Sala, e pure la Regina Elisabetta. Lo racconta Michela Proietti in una lunga intervista rilasciata da Francesco Cerea, responsabile della ristorazione esterna e delle pubbliche relazioni, al Corriere della Sera. Tanti gli aneddoti e le curiosità in una carriera simile, a cominciare da papà, “il” Vittorio, lavoratore infaticabile, “padre padrone” in cucina: cuore grande ma intransigente quando si trattava del ristorante. Francesco Cerea ricorda le poche vacanze fatte, le tante ore passate ai fornelli, poi la svolta: papà e Chicco insieme, a segnare un nuovo capitolo della cucina italiana. Proprio quel Chicco che da ragazzo “amava stare dietro le quinte, anche per una certa timidezza, ma si è rifatto dopo”, stando “prepotentemente in sala”. Francesco, che con i primi soldi si è comprato un giradischi per fare il dj alle feste, è sempre stato portato per “fare felici gli altri”: così, con i catering e gli eventi alla Vittorio, è diventato il “MacGyver della situazione”.
I paccheri alla Vittorio che piacciono a vip e reali
Ma torniamo a quei paccheri, tanto cari alla Ferragni. Anche lei ha vinto il bavaglione con la scritta “oggi sono goloso”, quello che un tempo faceva arrabbiare i clienti, “oggi lo mettono tutti volentieri, ma non deve essere da solo uno a farlo, sennò si sente pirla”. La mantecatura è quell’effetto di scena che colpisce sempre, “a 80 anni starò ancora lì a girare, dovrò inventarmi una nuova tecnica, più tranquilla”. E pensare che tutto è cominciato dalle tagliatelle flambé del papà, “le girava e rigirava davanti ai clienti. I miei fratelli hanno cambiato il tipo di pasta, usando tre pomodori diversi e poi un trucco in cottura. Segreto, come per la Coca Cola”. Una cucina degna dei reali: nonostante il rigido protocollo di corte, la regina Elisabetta nel 2019 ha chiesto un bis del risotto. Dagli Stati Uniti, invece, è arrivato Obama, che Francesco ha incontrato in occasione della visita a Milano: “Ha chiesto i cannoncini per otto volte e allora ho detto al cameriere di andare via, sennò ci usciva l’indigestione”. Sa come farsi voler bene, Francesco Cerea, soprattutto dalle mamme. Compresa quella di DiCaprio, “che mi è stata incollata per tutta la sera”.
Anche la cucina stellata stanca
Ma il segreto, qual è? Probabilmente la somma di tutti questi elementi. O, più semplicemente, come ha dichiarato Cerea al Corriere, “la costanza nel fare bene da mangiare. Lo stellato alla lunga annoia”. Già, anche l’alta cucina può stancare. E poi il catering, “ci dicevano che eravamo matti. Oggi lo fanno tutti”. Costanza e tenacia, questi i trucchi del mestiere: lo diceva il papà anni prima, con le sue frasi più iconiche rimaste nella memoria dei figli, “agli sfaticati diceva 'òia de laurà sàltem adòs'”, ma soprattutto “mola mia”, mai mollare. I figli non l’hanno fatto, continuando a confrontarsi con i colleghi, “con Cracco siamo vicini a Portofino, a fine servizio beviamo un drink” e a far tesoro delle critiche, necessarie, “se un critico parla bene di uno che non sa far da mangiare non fa la sua fortuna, ma la sua sfortuna”.