Abbiamo intervistato Claudio Amendola, attore ma anche ristoratore non proprio di primo pelo; ne è uscita una conversazione arguta e piacevole, in cui si sono toccati anche alcuni dei temi caldi della ristorazione. Le difficoltà, le soddisfazioni, la fatica, l'entusiasmo e le criticità di un settore complesso. La leggete sul numero di giugno del Gambero Rosso in edicola, come annunciato qualche giorno fa.
Sono bastate le poche frasi estrapolate nel lancio, per scatenare l'ondata di repliche in cui sono stati snocciolati i più vari luoghi comuni, l'attacco al personaggio famoso di turno, oltre a interventi completamente fuori tema alternati ad altri su cui altri su cui vale la pena ragionare.
La maggior parte dei commentatori, però, è caduta nel male comune del rispondere senza sapere esattamente a cosa (e qualcuno lo sottolinea pure). Così tra le repliche frequenti, c'è il “che ne sa” con le varianti del caso “lui ci mangia al ristorante, non sa cosa ci sia dietro”. E invece no, perché Amendola il mondo della ristorazione lo conosce benissimo, e da dietro le quinte, avendo un ristorante da oltre 10 anni e un altro nato qualche mese fa - Frezza Cucina de Coccio – che lo vede impegnato in prima persona, quotidianamente. Dunque non solo sa di che cosa parla, ma le sue considerazioni sono frutto dell'esperienza diretta. Nell'intervista parla anche di paga e di orari di lavoro, di regole e dell'ammissione, se pure obtorto collo: “i giovani hanno paura della della fatica”. Apriti cielo. Ma come? Un personaggio pubblico da sempre chiaramente schierato a sinistra, dalla parte dei lavoratori che accusa i giovani di non voler lavorare? La considerazione nasce da una constatazione. Non si trova personale, neanche a fronte di contratti e orari “seri”. Qualcuno conferma: “A 8 ore al di con un giorno e mezzo di pausa a 1500 euro non trovi nessuno per la sala, poi tutti i discorsi lasciamoli al vento”, “Amendola dice in sostanza la verità, senza dare giudizi: che il sacrificio non sia contemplato da parecchi giovani è un dato fatto, che onestamente non mi sento di condannare”. Molti però hanno inondato il web dicommenti caustici. Ecco quali.
Le reazioni all'intervista di Claudio Amendola
Ogni lavoro è rispettabile, se onesto. O no?
Uno dei tormentoni è: “Ma cosa ne sai tu della fatica, che non hai mai lavorato”. Ecco, come se fare l'attore sia un lavoro di Serie B o addirittura non sia un lavoro. Alla faccia del rispetto dei lavoratori! Qualcuno poi – chissà se un critico cinematografico o altro – dice che non vale come attore, figurarsi come ristoratore (come se le due cose siano collegate).
I giovani non vogliono lavorare vs i giovani non vogliono essere sfruttati
Tra attestazioni di riconoscenza a tutti quegli under qualcosa che si sono rimboccati le maniche per aiutare nei giorni più duri dell'alluvione (ammirevoli, davvero... ma che c'entra?) e repliche taglienti: “pagate il giusto” oppure “che ne sai tu?” è una corsa a difendere le nuove generazioni o ad accusarle. Chi porta la propria testimonianza di imprenditore con dipendenti giovani e volenterosi (tranne poi aggiungere: certo non tutti sono così) e chi conferma che molti ragazzi non hanno voglia di imparare un mestiere e di sacrificarsi, aggiungendo “Colpa di noi genitori che li abbiamo viziati, iperprotetti”.
Diffusa illegalità
La cosa più impressionante è la quantità di persone che denuncia (per conoscenza diretta o per sentito dire) situazioni di completa illegalità, lavori sottopagati, in nero, orari impossibili, zone d'ombra inaccettabili, vessazioni. Senza dare dimostrazione di comprenderne la gravità, senza mai accennare alla possibilità di ribellarsi e denunciare queste irregolarità, come se questa situazione fosse inevitabile, lasciando l'idea di una forma di silenzio assenzo che non sappiamo sappia più frutto di rassegnazione o più di abitudine all'illegalità. Tanto che poi quando qualcuno, di fronte all'ennesima testimonianza di sfruttamento, interviene: “e chi la costringe? E perché invece di lamentarsi sui social non va all’ispettorato del lavoro? Siete dei collusi pure voi così. Vuol dire che vi va bene”, la replica arriva immediata: “ma uno se ha bisogno e non trova niente perché la maggior parte sono tutti così, poi non dovrei essere io ad andare all'ispettorato del lavoro ma dovrebbe essere loro a controllare, poi è bello parlare con la pancia piena”. E vabbè. La verità spesso è nel mezzo, ma di certo il nostro paese non brilla per senso civico e della collettività.
Condizioni di lavoro
La questione orari e paga è un tema chiave: “Fate sì che sia un lavoro 'normale' e vedrete che i giovani torneranno ad innamorarsi del lavoro come abbiamo fatto noi” dicono in molti, e qualcuno aggiunge: “Perché un ragazzo dovrebbe sacrificare la propria vita in un sogno che non è il suo, senza la giusta ricompensa, soprattutto in qualità della vita”. Certo, come dice un altro: “il lavoro nella ristorazione quello è, quelli sono gli orari e non lo fai se non hai un minimo di passione”.
Le scuole professionali vs realtà
Interessante anche il passaggio da formazione e lavoro, dove emerge con chiarezza l'inadeguatezza della scuola per preparare al percorso profesionale: “la gran parte dei ragazzi che frequentano le scuole di settore sono sempre presenti e pronti quando c'è da lavorare. Diversamente, quando tornano dagli stage, sono delusi dal trattamento ricevuto”. Serve aggiungere altro?
Questone contratti
Qualcun altro cerca di guardare la situazione nella sua complessità: “Sarebbe interessante leggere dati precisi e ragionare su di essi: quale sarebbe uno stipendio degno? quale orario sarebbe giusto? I contratti esistono: quelle somme e quell'impegno richiesto rendono il lavoro del cameriere giustamente retribuito, ovvero basterebbe che fosse rispettata la legge? per chi ancora non è un cameriere abile, l'apprendistato è sufficiente? La durata del contratto è senza dubbio dirimente, ma se non c'è certezza di incasso, come modulare la necessità di personale senza fare del nero?” Un altro risponde “i contratti esistono dove vengono stabilite le paghe e gli orari, dove viene stabilito anche quale sarebbe lo stipendio degno in base alla propria qualifica... ci sono ristoratori che vogliono personale di cucina mettendolo in regola con la qualifica di lavapiatti. Nelle attività autonome il rischio fa parte del gioco, la certezza di incasso non la si può avere mai, fare il nero dovrebbe essere illegale o sbaglio!? Un modo di fare il nero è anche sottopagare”.
Costo del lavoro
Il costo del lavoro è un altro punto chiave: “Sicuramente lo stato incide molto nel fare lievitare il costo del personale...ed è lì che dovete alzare gli scudi e non fare ricadere ingiustamente il problema sugli ultimi”. Tasse, burocrazia, costi fissi, “nessuno parla di quello stato ladro che ci sta divorando”. Uno stato che “alimenta una inattuale lotta di classe e guerra tra poveri. Parliamo invece di oppressione fiscale, di impossibilità di sopravvivenza delle piccole e medie imprese. Parliamo di contributi che non arriveranno mai nelle tasche del lavoratore, parliamo di disservizi, parliamo di costi di benzina, autostrade, assicurazioni, parcheggi pubblici ect ect. Parliamo di aziende piccole che chiudono perché non hanno sedi fiscali all'estero. Parliamo di costi di transazioni”.
Il sacrificio paga? Professionalità vs pretese
E poi c'è l'epica del lavoro e del sacrificio, in certi lavori forse più che in altri. Qualcuno scrive che il sacrificio è necessario per emergere, ma anche che emergere non è mica necessario. Quel che è certo è che è un mestiere che si fa sul campo e se è vero che la “professionalità deve essere riconosciuta” è altrettanto vero che “bisogna averla la professionalità perché possa essere riconosciuta e pagata”. E ancora: “che debba essere riconosciuta una professionae a un ragazzo che va in un ristorante per la prima volta mi sembra un'idiozia”. Insomma: si inizia, si impare e poi si avrà un aumento di stipendio. Almeno, qualcuno porta la sua testimonianza, un tempo era così: “Una volta era accettata perche sapevi che serviva a qualcosa”, ci si poteva permettere di costruire una professione dopo l'apprendistato. È un botta e risposta: “si sentono già arrivati…troppe opportunità subito e troppi soldi che danno alla testa ….dovrebbero conoscere l’umiltà la dedizione e il rispetto di chi è più grande” oppure “la verità è che non vengono invogliati abbastanza, da loro si pretende e basta”. Qualcuno poi fa ilpunto sul mestiere della sala. “Il tempo del cameriere nelle vacanze appartiene al passato come il garzone di bottega e l’adolescente baby sitter in nero”, tranne poi concludere: “In Italia mancano lavoratori professionalizzati non gente a tempo perso”.
Italia vs resto del mondo
Il confronto con altri paesi è impietoso: “in altri paesi come Svizzera, Germania quello della ristorazione è un lavoro normale dove magari riesci a lavorare le tue ore giuste con i tuoi riposi adeguati; in Italia troppo spesso succede giusto il contrario: tante ore, riposo saltato, lavoro fino a notte e così via”. Replica un altro: “Purtroppo o per fortuna all'estero questi tipi di problemi sembrano non esistere e quindi i giovani che hanno voglia e ambizioni se ne vanno dall'Italia, chissà forse qui rimangono solo quelli che si lamentano e non hanno voglia di faticare” e via di esempio in esempio.
Il futuro dei ristoranti
“Tra 2/3 anni il settore della ristorazione dovrà diventare come quello delle gioiellerie extra lusso. Chiuderanno i mediocri, ci sarà un ristorante ogni 5 km” dice uno e, aggiunge “solo così potremmo salvare la categoria dando ai dipendenti tutto il dovuto". Risponde un altro, "Si potrebbe ripristinare il lavoro forzato come nell’URSS oppure prendere atto che troppi sono i ristoranti sul mercato, specie nelle grandi città, rispetto alle maestranze disponibili. Non si possono costringere le persone a lavorare nella ristorazione". Un punto di vista su cui riflettere.