Il talentuoso chef Michelangelo Mammoliti con il suo ristorante La Rei Natura, aperto due mesi fa, è stato premiato dalla guida Michelin direttamente con Due stelle, non avendone in partenza neppure una.
Lo avevamo lasciato alla Madernassa, il locale dove era giunto nove anni fa dalla Francia, dalla scuola di Yannick Alléno, di Pierre Gagnaire, a cercare di rovesciare come un calzino la ristorazione delle Langhe, con quel filo di arroganza (che è il modo con cui i poveri di ambizione chiamano la consapevolezza) che inizialmente non gli aveva attirato poi tante simpatie, salvo poi costringere tutti, prima o dopo, a ricredersi. Lo ritroviamo oggi al Boscareto, il resort della famiglia Dogliani a Serralunga d’Alba, al La Rei Natura, in uno spazio talmente vasto che all’inizio non sapeva cosa farsene. Ma no: facciamo che l’aperitivo si prende in una sala, la cena si degusta in un’altra e il dolce in una terza ancora. Una soluzione inconsueta per l’Italia, l’abbiamo vista da Aponiente di Angel Léon al Puerto de Santa Maria vicino Cadice, al Plénitude di Arnaud Donckele a Parigi, ma in Italia in pochi hanno provato una formula che necessita di una capacità organizzativa e di una tempistica più che svizzera. Perché complicarsi la vita?
Visione chiarissima
Già, perché? Inutile chiedere a questo chef nemmeno quarantenne (è nato nel 1985 a Guarene) eppure dotato – non certo da oggi - di una visione talmente chiara di quello che è il suo orizzonte da creare un percorso di una completezza e di una coerenza entrambi quasi irreperibili al momento in Italia. E badate, questa ricerca di un discorso compiuto, questo lavoro matto e disperatissimo su ogni piatto, questa esplorazione che non si chiude nella claustrofobia dell’ossessione, è mirata solo alla pienezza del sapore, che in effetti in alcuni piatti ha una potenza espressiva quasi drammatica.
MAD100% Natura
Mammoliti al Rei Natura propone al momento tre menu. Il Voyage (240 euro) è una sorta di valigia piena di etichette, il riassunto delle tante esplorazioni di Michelangelo nel mondo, delle sue scoperte “che spesso restano lì a decantare per mesi, per anni. Poi capisco come utilizzarle, come collocarle nel mio discorso, magari le incrocio con un ingrediente del territorio, e bùm, nasce il piatto”. Poi c’è quello stagionale dedicato al tartufo (Best of Oro Bianco, tre portate con dolce a 240 euro, quattro con dolce a 300). Ma quello che racconta di più di Mammoliti è il MAD100% Natura, 300 euro, che include dieci portate a mano libera e rappresenta il più nitido fermo immagine della ricerca dello chef volta al vegetale come reale protagonista di ogni piatto. E sì, l’avrete sentita mille volte questa cosa, ma certe volte si capisce che è un bluff, una moda. Qui invece, credeteci, ci siamo dentro fino al collo.
Tre tappe diverse
Prima tappa, l’aperitivo, servito in vari momenti e uguale per tutti a prescindere dal menu prescelto. Tante pennellate: una Tuile al nero di seppia con mousse al tonno, Tartelletta con tartare di scampi, fagiolini e giardiniera, Frittella di zucchini e crema di acciughe, Sanguinaccio vegetale farcito con crema di barbabietola, riso venere e riduzione di peperoni, la magnifica Farinata moderna in cialda con crema di farinata e lardo di Colonnato scottato. In accompagnamento il Contrasto, un’infusione lenta di sambuco con un Metodo Classico.
Grande attenzione al pane
Si cambia sala per la cena vera è propria, per noi il MAD100% Natura. Si parte con un’insolita divagazione sul pollo arrosto, con un Mammoliti a caccia di ricordi nonneschi: una pelle di pollo arrosto con all’interno un paté delle parti meno nobili del pennuto e una scorzonera fermentata, accanto una Scorzonera arrostita e glassata nel suo caramello da intingere in un ketchup di Scorzonera. Poi arriva il pane, che Michelangelo propone in due veri e propri servizi in differenti momenti della cena. Lui ha studiato panificazione con i grandi di Francia e tiene molto a dare dignità assoluta a quello che viene trattato sovente come un attore non protagonista del pasto: carta musica aromatizzata all’oliva taggiasca, focaccia classica aromatizzata al melilotus, una piccola baguette, il tutto accompagnato da un olio monocultivar da olive taggiasca e burro d’alpeggio della Val di Susa. Si enta nel vivo con il Leche de tigre, una crudité di ricciola accompagnata da cavolo rapa marinato in Mezcal e Yucatay, spuma al leche di tigre, prorompente salsa peruviana e caviale di limone.
Piemonte mediterraneo
Piemonte Mediterraneo
Poi un uno-due stordente, forse i piatti migliori della serata. Dapprima uno Scampo cotto al vapore con foglia di Castelfranco e pesto di alghe, crema acidula al pepe di Tchouli e infusione al kaffir lime, una concentrazione di sapori profondissimi. Poi il Coj, che è il modo piemontese per dire: verza. Proposta in foglie fini con il lardo arrostito, jus di kimchi, e un’infusione di bagna cauda. Altro uppercut per papille già in estasi. Piemontesissimo eppure molto mediterraneo il Karma, peperone di Capriglio con salsa anchoiade, alici marinate in agrumi e peperoncino e succo di semi tostati.
La riscoperta del pollo arrosto
I primi, se vogliamo chiamarli così. Dapprima il Canto piemontese, dei ravioli a foggia di dumpling, e quindi con amido di mais, con quattro differenti farce: pollo, cotechino, coda e stinco di manzo. Il tutto immerso in un dashi aromatizzato preparato coreograficamente al tavolo con un Syphon. Poi un altro piatto memorabile, lo Spaghetto del pastificio Mancini cotto in un’estrazione di pollo arrosto e patate e creste di gallo fritte che mima un pranzo domenicale in famiglia. Prima dei secondi il nuovo servizio del pane: danish bread ai cinque cereali, pane al miso d’orzo e limone alla marocchina. Poi i secondi: il Re dei fiumi è un salmerino alla brace con radice di prezzemolo e salsa affumicata al melilotus e il Keralà è un’animella glassata di vitella al pepe trattata come un filetto al pepe verde. Ci spostiamo nell’ultima sala, per la conclusione. Il predessert è un manualetto: “L’essenziale per essere felici”, un biscuit profumato alla fava di tonka, crema di pane e pralinato di nocciole, un gioco di dita e piacere. Infine lo scioccante PH3 30, un apparentemente innocuo fiore che nasconde una essenza di agrumi, quasi l’anima dell’agrumitudine, roba da amare o odiare con tutto sé stessi. Noi l’abbiamo amata, ma non garantiamo.
Che cosa si beve
Carta dei vini ricca di episodi inconsueti, di abbinamenti provocatori: un Langhe Chardonnay Batasiolo Morino 2021 (giocare in casa), un Blanc Mose 2020 di Paolo Berutti, piccolo produttore coraggioso della zona, un rosato Calafuria 2020 di Tormaresca, un Geurtztraminer 2021 di Bellavedere, un Timorasso Riserva del 2012 dei Carpini, un Tempranillo Area Pequena 2020, un vino da uve stramature Ghiomo. Servizio perfetto, con tempistiche cronometriche gestite da una squadra di fedelissimi di Michelangelo, che lo hanno seguito dalla Madernassa. Ambiente raffinato e spazioso, di notte soffuso, di giorno affrescato dalla vista delle colline ricamate di vigneti.