C'è un movimento che dal centro città porta verso le aree più periferiche, rompendo quell'abitudine inveterata che lasciava le zone collaterali a digiuno di nuovi ristoranti ed esperienze gastronomiche interessanti. Qualcosa sta cambiando, dicevamo, così giovani chef e pizzaioli famosi progettano i loro locali in aree meno centrali, quando non del tutto periferiche. È il caso di Giù upside down restaurant che apre la prossima estate a Giardino di Roma, poco distante da Acilia, in direzione del litorale capitolino. È la nuova avventura dello chef Giuseppe Milana.
Qualcuno lo ricorderà nel primo Umani - Trattoria Giapponese, uno dei locali della galassia dell'imprenditore romano Marco Pucciotti. Da quell'esperienza e dalla sua conoscenza della cucina giapponese, eredita l'idea di un menu snello, fatto di piattini in piccole porzioni da ordinare in sequenza per assaggiare più cose. «C'è l'influenza di uno stile di cucina molto orientato al Giappone, l'idea è quella dei piatti del kaiseki», spiega lo chef.
Giù upside down arriva a Roma sud
Una trentina di posti, che aumentano con il portico nella bella stagione, Giù vuole essere un luogo semplice, alla portata di tutti, grazie a una proposta facile, dalla fruizione libera. «Giù Upside down si chiama così perché è il contrario di un ristorante normale; e perché è un posto familiare, infatti Giù è come mi chiamavano da ragazzino in Sicilia, cioè quando stavo Giù» spiega lo chef. La Sicilia è una delle coordinate gastronomiche di questo ristorante, insieme al Lazio e al Giappone. Tre riferimenti chiari che Milana elabora alla luce di una tecnica maturata tra grandi tavole d'albergo e locali casual. Tecnica che da Giù c'è, ma non si vede, perché ha come obiettivo democratizzare la cucina d'autore e aprirsi al pubblico in modo semplice e familiare.
Cosa si mangia da Giù
Leggerezza è la parola d'ordine: nell'approccio, nel menu, nei prezzi. 14 proposte in carta, tra dolci e salate, più 6 voci in lavagna, piatti del giorno elaborati all'impronta sul prodotto fresco. Nessuna distinzione tra antipasti e secondi, ma una sequenza di proposte di facile comprensione, tre ingredienti al massimo per valorizzare la materia prima, e pietanze che spesso mantengono più di quanto promettono: cose come pizza e gold pig, una rivisitazione di pizza e mortazza romana, con mousse di mortadella in purezza e pistacchio, gyoza alla parmigiana o mozzarella panzanella e gambero. Ci saranno alcuni piatti ludici, alcuni da mangiare con le mani, altri in cui il cliente è chiamato a intervenire, come nel dolce da comporre, che arriva in tavola con mini sac à poche «perché ho riscontrato che il cliente non vuole essere solo servito ma vuole interagire e si diverte pure». L'idea è di una fruizione libera: si può venire per un paio di piattini e un bicchiere di vino o fermarsi per la cena (prezzo medio: sui 25-30 euro a persona). Non subito, ma una volta partito, ci sarà anche un menu degustazione con piatti diversi da quelli in carta, studiati per far vivere al cliente un'esperienza più particolare (degustazione a 5 portate a 35 euro, 7 a 50 euro), con portate spesso composte di più piattini, ognuno con una lavorazione diversa, che esplorano l'intersezione tra tradizione nipponica e sapori italiani come nella quaglia: yakitori, coscia in tempura, roché di fegatini al lampone e nocciole. Il degustazione sarà riservato al bancone dello chef, che affaccia sulla cucina a vista. Da bere birre artigianali romane, una trentina di vini (con 5 o 6 alla mescita), e una cantina dello chef con qualche etichetta speciale, cocktail in bottiglia di Smile, che in un secondo momento saranno anche alla spina. Il menu è pronto, il locale ancora no. Cosa manca? «Permessi e documenti». La burocrazia è il vero nemico degli imprenditori.
Giù – Upside down restaurant – Roma – via Paolo Stoppa, 40