Ora è tornato davvero. L’Italia riabbraccia Enrico Croatti, ex enfant prodige dell’alta cucina, di nuovo in patria dopo essere stato il primo chef italiano a guadagnarsi una stella nell’avanguardissima Spagna, all’Oro Blanco di Calpe, nei pressi di Alicante. Ha aperto Moebius già nel 2019, l’anno prima della pandemia, sterminatrice di sogni e progetti: un tapas e cocktail bar elegante e scenografico al numero 25 di via Cappellini, tra Centrale e Repubblica, un vasto e tecnologico antro con un soppalco trasparente sospeso, destinato al progetto fine dining. Che era partito sommessamente al momento dell’apertura, ma poi era rimasto inespresso, fino a scomparire nel gorgo dei lockdown, delle regole, del distanziamento. Così la parte pop di Moebius aveva continuato a prosperare mentre del Croatti di lotta e di ricerca si erano perse le tracce. Fino alla ripartenza in questi giorni con Moebius Sperimentale, un nuovo concept in cui il quarantunenne cuoco riminese sembra finalmente aver ritrovato il tocco del campione che era apparso in modo fulmineo al Dolomieu di Madonna di Campiglio, che aveva preso in mano all’età di appena 26 anni portandolo alla stella nel giro di qualche anno.
Moebius Sperimentale di Croatti, tre menù
Moebius Sperimentale è una capsula silenziosa all’interno di un locale vociante. Ha un bancone da sei commensali che guardano quello che accade in cucina - un format non più nuovo ma sempre di grande effetto - e altri due tavoli da quattro per un totale di quattordici coperti. La cucina è basata su un processo creativo libero e un po’ spregiudicato, che rispetta i cicli biologici dell’ecosistema utilizzando ortaggi coltivati in piena terra da agricoltori sostenibili, carni da allevamenti non intensivi o meglio al pascolo, pesce che rispetta tempi e stagioni. Quando ci sono ingredienti di lusso - caviale, ostriche - arrivano da produttori rispettosi di queste regole. Tre i menu: il .libertà (180 euro a ospite) è una raffica di quattordici piatti dal nome icastico: Caccia, Scampo, Hokkaido. Lo svolgimento è un po’ a sorpresa. Il menu .mare e il menu .terra (120 euro, con 65 euro di abbinamento vini) propongono svolgimenti tematici. Croatti appare più maturo, ha scartavetrato certe ruvidezze giovanili, è meno brusco e non fa più come quando, mi racconta, a Madonna di Campiglio cambiò tutto il menu in una notte di tormenti, spiazzando la brigata la mattina dopo. Ora la provocazione c’è, e anche l’inquietudine («sono così, se oggi siamo stati perfetti domani possiamo fare meglio») ma senza eccessi di autolesionismo.
Attacco alla Carbonara
Si parte con una ricottina realizzata con un cavolfiore («un ortaggio così sottovalutato», biasima Croatti) abbinato a un caviale osetra fresco di Pisani Dossi, in Lombardia, e una mandorla cruda. Poi un altro illusionismo: un’oliva realizzata con erba cipollina servita su una bruschettina. Poi una tartare di calamaro trattata come fosse un risotto e quindi mantecata con una pasta di riso e un brodo asiatico e un pesto verde messicano e del caviale grattugiato. Quindi lo scampo con una salsa segreta («che nacque una sera per gioco e non l’abbiamo codificata, la dobbiamo ripensare ogni volta. Non c’è un dosaggio ma un sentimento ma il fatto è che è un po’ segreta anche per me»). Poi un trionfo di umami con la noce di capasanta con estratto di dodici funghi, burro nocciola ed erba cipollina e del tartufo bianco. Un rombo chiodato pescato nelle Marche («ho il mio pusher di pesce») cotto sulla brace «acquea»: «La brace di legna a 450 gradi viene gettata in una sorta di boule di acqua di mare, ciò che crea un effetto magico, sapido, affumicato», spiega Croatti. A completare il piatto una salsa alle lumachine di mare e una focaccia alle alghe.
Poi una spiazzante Ex Carbonara, che rimescola ingredienti e pensieri dell’intoccabile piatto romano: protagonisti l’uovo di gallina, il riccio di mare, il guanciale, il pecorino di fossa («un po’ di Romagna dovevo mettercela»), cinque pepi. «E poi siamo a Milano, quindi abbiamo fatto un casino. O piace molto o è immangiabile». A me, romano, è piaciuta molto. Poi una crocchetta con crudo di cinta senese e un burrito di biancostato e guacamole. Un agnolotto con fondo di cottura dell’ossobuco, salsa di zafferano e gremolada. La Battuta di caccia, una sella di cervo ossidata fuori a causa della marinatura e quasi cruda dentro, avvolta in foglia di acero e guarnito con melograno.
Propensione all'ascolto
I dolci: un tortello di zucca con burro, salvia e cacioricotta affumicata e del burro noisette. La zucca Hokkaido («con un retrogusto di castagna»), un gelato con semi, un mandarino cinese caramellato, sfoglie di carpaccio di zucca, foglia di shiso. Delle praline di cioccolato monorigine peruviano. Fine. Si beve bene, vini convenzionali ma coraggiosi, qualche buon cocktail. Servizio in presa diretta, fatto di scambi continui. «È giusto mantenere la propria ma non esistono regole fisse, bisogna saper ascoltare. Per questo mi piace parlare con il cliente». Bentornato, Enrico.