«Prima di essere un’esperienza i ristoranti sono un servizio alle persone e si devono adeguare alle loro esigenze. Non il contrario». Una dichiarazione lapidaria, quella che Martino Ruggieri consegna a Gabriele Principato nell'intervista rilasciata al Corriere della Sera dallo chef pugliese, tra i grandi chef italiani a Parigi. Con la sua Maison Ruggieri ha bruciato le tappe, con una prima stella Michelin conquistata a pochi mesi dall'apertura e la seconda l'anno dopo, sorprendendo lo stesso Ruggieri. La terza è un sogno, un obiettivo, confessa nell'intervista. E aggiunge che i tre macaron sono un passaporto per la sicurezza finanziaria.
La stabilità economica e l'equilibrio vita-lavoro
Esattamente l'opposto di quel che abitualmente si dice, almeno in Italia. La vulgata infatti vuole che i ristoranti più lussuosi siano in realtà quelli che fanno più fatica a mantenere un equilibrio economico, con margini molto ridotti rispetto all'impegno necessario per mantenere gli standard richiesti. Racconta che se all'apertura del ristorante il primo pensiero era riuscire a lavorare, ora è far quadrare i conti, strutturando un ecosistema economico virtuoso, in cui – anche qui a dispetto della vulgata – ci sia un ambiente sereno per tutta la squadra, ma non a discapito del cliente. Per questo, se da una parte chiude nel fine settimana per assicurare ai dipendenti una vita il più normale possibile, dall'altra non impone regole rigide a chi va a cena: né in termini di piatti e menu, né in termini di orario. Racconta infatti di dopo cena lunghissimi in cui i clienti – molti abituali – si fermano per un distillato fino a tarda notte. Come conciliare questo servizio al cliente con l'attenzione ai dipendenti?
Il ristorante è una casa
A scorrere la carta di Maison Ruggieri i tasting menu da 200 e 300 euro fanno il paio con piatti che superano anche i 100 euro l'uno. Abbastanza per mantenere una sostenibilità economica e le corrette condizioni di lavoro? A sentire Ruggieri, sembrerebbe di sì. Lo chef tarantino parla infatti di ambiente sereno, si dice molto attento ai bisogni di chi lavora con lui, persone con cui si frequenta anche fuori dal lavoro, con cui ha intrapreso un percorso di attività sportiva all'aperto per cementare il gruppo, come ha imparato a fare con Yannick Alléno al Pavillon Ledoien, tre stelle con cui ha lavorato a lungo e con cui lo unisce un rapporto di profonda amicizia, come racconta nell'intervista. Per lui il ristorante è una casa, i clienti ospiti si cui è al servizio - «li conosco, so chi sono, cosa amano mangiare e come» dice- il team una famiglia, da coccolare e stimolare: il prossimo menu avrà accanto ai piatti il nome di chi lo ha creato con lui, un modo per dare visibilità ai singoli ma anche per solleticare il loro orgoglio, stimolare una sana competitività che possa contribuire sempre alla definizione di un inconfondibile stile Ruggieri, al pari di altri grandi: Alléno, Passard. La sicurezza economica che offrirebbe la terza stella è anche un viatico per la piena libertà di espressione, ben lontana dalla ripetitività di certi grandi ristoranti, ma improntata al gesto e allo slancio immediato, e sempre con un'occhio alla sostenibilità: basta visitare il suo sito per vederlo, con sul ca loco di emissioni e compost prodotto fino a oggi.
La creatività in cucina e fuori
Un'espressione che si esprime in cucina, con piati costruiti secondo due concetti: da una parte valorizzando l'ingrediente principale, sublimato con abbinamenti ad hoc e processi per definire e accentuare i sapori, dall'altra scuotendo il cliente, per sorprenderlo e aprirlo a nuovi percorsi gustativi. La creatività però per Ruggieri si esprime anche in un approccio artistico ad alcuni prodotti impiegati non solo in cucina ma anche al di fuori, impiegati come materiali d'arte, per le caratteristiche espressive che questi elementi, persa la connotazione alimentare, possono avere, come nel caso di scarti di pesce: «con pelli e spine di salmone accumulate per otto mesi abbiamo realizzato un blocco rettangolare che sembra quasi un fossile e può fungere da elemento di arredo o supporto per un piatto. Altre sculture possono diventare vassoi, parti di coltelli...». Non fa mistero che amerebbe affiancare alla cucina, laboratorio in cui nascono i piatti utilizzando in ogni parte degli alimenti, un altro atelier per modellare queste nuove materie prime. Un sogno, per ora, come lo è aprire un ristorante in Italia, magari a Martina Franca. Rimane un'idea da accarezzare alla lontana per ora. Il motivo? «La figura del cuoco è uscita dall’ombra ed è cresciuta tanto nella considerazione generale, ma è ancora molto lontana dall’acquisire quel valore culturale che ha Oltralpe. Qui in Francia gli chef sono percepiti, in primis dallo Stato, come coloro che portano avanti il territorio tramite le ricette e suoi prodotti, valorizzandone tradizione e cultura. A volte capita che delle persone entrino solo per dirci “bravi!” per il lavoro che facciamo. È bello. Ti fa capire che l’impegno che metti è compreso».