Con il suo terzo trasloco, Da Lucio cresce ancora e perde la denominazione Trattoria, a segnare un cambio di stato e di prospettiva, senza cambiare rotta. Costruire un dialogo nuovo, più responsabile con il mare e il territorio è sempre e da sempre il punto di partenza e insieme l'obiettivo di un percorso che ha scelto strade poco battute, talvolta impopolari. Stavolta il passaggio è spingersi letteralmente in mezzo al mare, alla Darsena di Rimini, «il luogo più iconico della costa romagnola» dice chef Jacopo Ticchi. «È un posto incredibile, unico», con la sala letteralmente circondata dal mare, «qui trova tutto più senso» commenta.
Al momento i lavori sono in corso per presentarsi puntuale all'appuntamento del 17 settembre, quando Da Lucio – non più Trattoria – aprirà i battenti nella nuova sede. La novità più sostanziale, insieme a elementi di arredo e dettagli di mise en place tutti nuovi, è una cucina di servizio in sala, con banconi monolitici con tanto di forno a legna e brace a vista, per eliminare i confini tra sala e cucina, accorciare le distanze, razionalizzare le energie, «convogliandole su cose concrete invece di correre tra sala e cucina. In più avrò tutti i clienti sott'occhio e mi permetterà di fare un servizio più su misura rispetto a ora».
Come cambia Trattoria Da Lucio
«Il ristorante dei sogni» così lo definisce Ticchi, è la spinta verso un nuovo, ulteriore cambiamento nell'approccio alla cucina targato Da Lucio, che da sempre fa della prospettiva il punto focale del lavoro: un nuovo modo di guardare al pesce, al rapporto tra i mondi animale e vegetale, al ruolo del tempo nella cucina. Ora è il momento di un'evoluzione degli intenti, «una scelta più sostenibile nel tempo» dice laconico Ticchi.
Con il nuovo reparto ricerca e sviluppo lavora già da tempo al menu della riapertura, che definirà in modo nuovo alcuni capisald del ristorante, a partire dal ruolo della proteina animale, «Ci saranno il vegetale, gli animali da cortile, e il mare come prima scelta, luogo di partenza e destinazione, passando per colline e boschi. Stiamo ampliando la nostra visione senza tradirla, ripensando il menu per avere uno sguardo più sostenibile». Rimangono le maturazioni al centro del lavoro - che sia per un frutto, un vegetale o altro - dando più valore al tempo, rimangono il quinto quarto, la cucina senza scarti, la filosofia dalla testa alla coda. Mentre si lavora su un pairing analcolico ben strutturato. Non solo: con il nuovo locale ci sarà anche un giardino di erbe alofite che nasce direttamente sulla scogliera, «l'unico verde che ci possiamo permettere di avere in quel contesto, annaffiato dal mare» spiega Ticchi. A curarlo Lorenzo Barbasetti, che con The Tidal Garden sta dando una nuova vita alle terre salinizzate nella laguna veneta.
Da Lucio: storia di un ristorante inaspettato
L'esordio è stato nel 2019, dopo un rodaggio al Necessaire di Rimini dove Jacopo Ticchi ed Enrico Gori si sono fatti le ossa, poi il passaggio alla prima Trattoria Da Lucio, una trentina di coperti, e una cucina che declinava il gusto mare con un'intenzione e un'attenzione difficili da reperire. Sono stati loro infatti, i primi a interpretare in modo chiaro e diretto l'insegnamento di Josh Niland della frollatura del pesce. Non a caso entrambi hanno lavorato in Australia. Non è servito troppo tempo perché quell'insegnamento si evolvesse, dando vita a una cucina originale, e che la Trattoria Da Lucio si spostasse in un secondo locale, ai piedi di un hotel sul lungomare riminese.
Spazi più ampi, dove trasformare in azioni e piatti quelle intuizioni che si inseguivano l'un l'altra, dando seguito al primo principio: pensare il pesce come la carne, e non solo per quanto riguarda le tecniche di maturazione – mettendo in crisi l'equivalenza pesce buono uguale pesce fresco, cui ha dedicato un libro edito da Manfredi Maretti – ma anche per le cotture dei pesci interi in forno a legna e per quell'uso delle interiora a tutto tondo, non come una stranezza da mettere in carta, ma come passaggio fondamentale del menu e del lavoro di cucina, che è sempre di più un'applicazione della filosofia del from nose to tail al prodotto ittico. E di passaggio in passaggio, c'è stata la voglia di portare al livello successivo l'approccio zero waste, indagando le potenzialità ancora inesplorate di alcune parti. Ne è un esempio la terrina di pelli di pesce: «le conserviamo fino a quando ne abbiamo abbastanza, le condiamo con spezie e vino bianco e le sovrapponiamo per 7 ore in una busta sottovuoto» spiega Jacopo Ticchi. Sfruttando il potere gelificante del collagene si ottiene una specie di coppa di testa. Bingo.
È stato un processo graduale ma a ritmo sostenuto che ha aperto nuove riflessioni, come quelle su come gestire il fermo pesca, che nella zona riminese cade nel pieno della stagione vacanziera. La necessità di continuare a costruire con coerenza il proprio percorso ha dettato la linea: niente pesce. Così a Rimini, nel bel mezzo delle vacanze, uno dei posti di cucina di mare più noti d'Italia per 45 giorni non serve pesce, se non per qualche piccola intrusione nel menu, per quei piccoli crostacei e molluschi per i quali la pesca sostenibile è ancora possibile, senza scordare le conserve di mare. «Ci divertiamo con una cucina completamente diversa, ma mantenendo la nostra identità». Che significa, di nuovo: lavorare solo animali interi, valorizzare tutti i tagli, rispettare il paesaggio romagnolo nella scelta delle carni: «la mora romagnola di Lucio Zavatta, gli animali da cortine di Pellone, conigli, piccioni, quaglie, faraone, anatre, e poi pecore e asini di contadini locali». Niente manzo? «Niente manzo» conferma. Insomma: dal primo agosto al 15 settembre il dialogo terra-mare inverte la rotta e racconta una cucina diversa, ma senza cambiare linguaggio. Quest'anno sarà solo per il mese di agosto, poi la chiusura per un paio di settimane e la riapertura il 17, nel nuovo locale in mezzo al mare.