“Se un ristorante non mi è piaciuto, evito di scriverne”.
“Le stroncature non sono costruttive. Se qualcosa non va, lo segnalo soltanto allo chef. Con discrezione. Faccia a faccia”.
“Voglio cogliere il bello delle esperienze gastronomiche. Gli aspetti negativi non mi interessano”.
Chi non si è mai imbattuto in dichiarazioni di questo tenore nulla sa dei critici gastronomici. Date retta a me, che faccio parte della categoria da trent’anni.
La caricatura del critico severo
Una letteratura superficiale, da cartone animato, ci dipinge come giudici severi e intransigenti. Gente con forchetta e mannaia al posto del cuore. È tutto il contrario: siamo dei teneroni. Uomini e donne da tagliare con un grissino. Il nostro approccio alla professione è un poetico bon ton esistenziale. Se ci portano in tavola una fetenzia, cancelliamo gli appunti, porgiamo l’altra guancia e passiamo religiosamente al piatto successivo.
In qualsiasi altro ambito giornalistico (cinema, letteratura, arte, teatro…), l’omissione sistematica di recensioni negative sarebbe accolta con pernacchie e sganassoni. Per noi, al contrario, è regola aurea, assunta come un comandamento dall’intera comunità. Se l’autocensura si limitasse ai casi più gravi - all’ambito ristretto, cioè, delle stroncature – la nostra missione non sarebbe altrettanto efficace. Si potrebbe pensare a un limite morale scaturito dalla natura compassionevole di una categoria ammansita da eccesso di cibi e bevande alcoliche. La nostra, invece, è una disciplina morale olistica.
E le rare volte in cui qualcuno la trasgredisce, l’eco del botto rimbomba nella voragine dei social come un’eresia. “Che cattiveria, che accanimento, che insensibilità!”
Bando ad analisi oggettive e motivate
Salvo sporadiche eccezioni, quindi, pubblichiamo resoconti di luoghi idilliaci, come se tra il “non mi piace” e il “mi piace incondizionatamente” non vi fossero infinite sfumature potenziali. Non compare in nessun caso (o quasi), tra le righe delle nostre soavi prose, il minimo accenno critico. Non si ravvisa un dettaglio fuori posto, una cottura acerba o un po’ troppo matura, un accostamento infelice o improprio, un inciampo nel servizio. Non ha asilo alcun dubbio. Nemmeno sul tenore dei prezzi, dettaglio trascurato o addirittura omesso nei nostri rapporti. Ma questo si spiega facilmente col fatto che non cacciamo una lira.
Ma che volete? Il critico scrive per lo chef!
A volte temo che gli ignari lettori ci fraintendano, finendo per credere che i critici gastronomici siano strutturalmente inadatti a esprimere opinioni genuine, paralizzati da convenienze e pavidità. Non è così. Gli inviti a scrocco, le pressioni degli sponsor e delle guide, la soggezione nei confronti degli chef di grido sono dettagli del tutto ininfluenti. Inutile dare sfogo alla solita macchina del fango.
Ma poi, scusate, che cosa pretendono i lettori? Noi scriviamo per gli chef.