Uno sgradevole – per quanto a suo modo divertente – dissing tra l’imprenditore Flavio Briatore (Billionaire) e l’onorevole Angelo Bonelli (Alleanza Verdi e Sinistra) ha intrattenuto nelle scorse settimane migliaia di lettori assetati di polemiche da bancone e risse variamene assortite.
Parole grosse
Tra i due, riassumiamo, sono volate parole grosse. Ha attaccato Bonelli. Commentando il provvedimento con cui il Governo ha ridotto del 4,5 per cento il già esiguo canone annuo che gli stabilimenti balneari, tra cui il Twiga, devono versare allo Stato, il parlamentare ha accusato l’imprenditore di avere la residenza a Montecarlo e di pagare appena 20mila euro l’anno per la concessione del suddetto Twiga il cui valore è ben più alto. La risposta è stata violentissima: “Questo sta fuori di testa, gente così non bisogna votarla”.
Fin qui, si potrebbe dire: affari loro, non fosse per la questione fiscale, per il regalo ai balneari e per la svendita dei beni dello Stato; ma non è questo il punto. Il problema, o meglio, uno dei problemi, è che Briatore e Bonelli hanno deciso di continuare la rissa e nel continuare hanno tirato in ballo con una superficialità a dir poco fastidiosa una categoria di lavoratori che ci sta molto a cuore e che andrebbe invece tirata in ballo in altri tavoli, con altri toni e, soprattutto con altri contenuti.
Dileggio verso i camerieri
Per dileggiare l’avversario, infatti, Briatore – dopo aver ripetuto il suo mantra sul Twiga che crea posti di lavoro – ha usato il servizio di sala come termine di paragone, come una specie di insulto: “Sinceramente ho molto più rispetto di un cameriere che lavora da noi che di questa gente qui (i politici, ndr). Venga da noi a lavorare, Bonelli, tre mesi al Twiga e capirà che cos’è la fatica”.
Ora. A parte che non si capisce perché limitare il rispetto dovuto ai soli camerieri che lavorano al Twiga (e gli altri?) ma poi, in generale, che senso ha questa frase? Non ricorda un po’ quelli che hanno anche amici gay? O quelli che non hanno niente contro i neri? Più che un apprezzamento, quello di Briatore sembrava quasi un dileggio - involontario, per carità - qualcosa a metà tra il “mangino brioche” e il “miei cari inferiori” del Duca Conte Piermatteo Barambani. (E già che ci siamo chiariamo che Briatore non ha aperto il Twiga per creare posti di lavoro, ma come tutti i grandi imprenditori per procurare a se stesso importanti guadagni; non c’è niente di male, anzi è una cosa positiva, ma vale sempre la pena precisarlo).
I "cari inferiori"
Bonelli se possibile ha fatto di peggio. Mettendola sul cazzeggione-provocatorio, ha accettato la scommessa, e sfida l’avversario: “Vengo a lavorare lì a patto che lui porti in Italia la residenza”. Come se il mestiere di sala fosse una prova di Pechino Express.
La politica e la comunicazione hanno le loro regole. E queste consentono, spesso, eccessi di ogni tipo. Tuttavia non sarebbe stato male se i duellanti in un qualunque momento del loro scontro si fossero ricordati di avere dei ruoli ben precisi (imprenditore e politico) con responsabilità ben precise. E che i “cari inferiori” di Briatore, altro non sono che un pezzo cruciale della società e della loro stessa attività quotidiana. Un pezzo di società, ci permettiamo di ricordare – e in questo numero lo facciamo con particolare attenzione – che forse meriterebbe una riforma strutturale, una riscrittura totale delle regole che parta dalla tipologia di contratti (ce ne sono 32 in vigore oggi) fino a intaccare la percezione che oggi se ne ha. Forse questo potrebbe essere oggetto del prossimo scontro.