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Tornano a svettare nell'ultimo piano dell'Hotel Hassler le Tre Forchette del Gambero Rosso, dopo solo un anno e mezzo dall'insediamento del nuovo chef, ancor meno se si considerano i mesi di chiusura Covid. Così, Roberto Wirth – proprietario dell'hotel – conferma la sua stoffa da talent scout: “Nella mia storia personale ho sempre trovato grande forza nel dare fiducia a giovani chef e professionisti emergenti e mi hanno sempre ripagato dando tutti loro stessi per costruire insieme un percorso di successo” ci diceva ad aprile dello scorso anno, quando presentava il giovane (classe 1991) cui affidare la guida del suo Imàgo.
“Abbiamo cercato un giovane chef per dare una nuova impronta alla cucina. Punto dunque su un talento fresco ed entusiasta, come quello di Andrea Antonini, che arriva da importanti esperienze italiane e internazionali”. E la sua scommessa sul futuro e sulla cucina che verrà è vinta a mani basse, senza alcuna deferenza rispetto a un passato importante, come quello che ha legato l'Imàgo al precedente chef, Francesco Apreda.
Chi è Andrea Antonini
“A un certo punto mi chiama il signor Wirth, per chiedermi se mi interessava fare un colloquio” racconta Andrea Antonini. “In quel momento stavo da Crippa, dopo diversi anni all'estero. Sognavo di tornare a casa e quindi ho accettato”. A quel primo incontro ne sono seguiti altri due, prima di sancire l'accordo. Tre colloqui e una cena. All'Imàgo. Invitato da Roberto Wirth per vedere il ristorante da cliente. “Quando salii su, guardando tutta Roma dal ristorante con quella vista incredibile, ho pensato che sarebbe stato magnifico”. Comincia nei primi giorni di primavera 2019. In una città (e in un mondo), ancora ignara di quel che sarebbe successo un anno dopo. “Sapevo che avrei avuto tutti gli occhi puntati addosso”. Perché raccoglieva un'eredità pesante, quella di Francesco Apreda, che a sua volta aveva portato l'Imàgo in cima alla ristorazione romana. E l'Hassler voleva risalire nuovamente su quella vetta, scommettendo su quel ragazzo romano neanche trentenne, con un curriculum dai grandi nomi.
Andrea Antonini. Esperienze ed eredità
Dopo gli anni iniziali, con Andrea Fusco al Giuda Ballerino, e dopo la tappa romana ma dall'anima sudamericana con Roy Caceres, Antonini decide di lasciare l'Italia, dopo una prima fuga giovanile in Australia, stavolta per fare un'immersione nella cucina creativa. Prima tappa: il laboratorio di creatività di Quique Dacosta, sotto la guida di Juanfra Valiente, responsabile del settore creativo. Poi è la volta dei fratelli Roca, presso l'El Celler de Can Roca. In brigata con Joan matura la sua identità e l'ispirazione, tanto che a consegnargli il premio per la creatività che ogni anno si indice tra i membri della brigata, è un piatto che sa di casa: Triglia, panzanella e limone. È il momento di tornare: l'Italia lo sta chiamando. Ed è la cucina del Piazza Duomo a fargli varcare il confine. Ed è lì che lo va a pescare Roberto Wirth. Cosa è rimasto di quelle esperienze? “Da Enrico Crippa la fortissima passione per le erbe, ed è inevitabile che sia così anche se non sono stato molto con lui. È una persona che ti contagia. A lui devo la passione. A Dacosta il metodo della creatività”. Ai Roca il resto; “il metodo di lavoro, l'organizzazione, il modo di stare in cucina” spiega, e aggiunge: “sono quelli che più mi hanno influenzato”.
L'ingresso all'Hassler
“I primi giorni mi è sembrato di scendere all'inferno, è stato durissimo, a livello psicologico. Mi pareva impossibile farcela”. Catapultato in una realtà enorme, a lui sconosciuta. E, soprattutto, senza brigata. “Abbiamo riaperto l'Imàgo in 5” meno di metà rispetto alla brigata precedente “senza neanche sapere dove si accendeva la luce in quella cucina”. I primi giorni sono stati difficilissimi, “a un certo punto però ho capito che poteva andare bene, poi benissimo e poi che potevo farcela”. Così è stato: “dopo 2 settimane eravamo in linea”. Oggi sono in 6 e la brigata è ormai ben affiatata.
Quale cucina?
“Credo che la cosa più difficile, per un cuoco, sia decidere cosa fare” e a cena in quello che sarebbe presto diventato il suo ristorante, Andrea ha capito quale era la strada da percorrere: “su 10 tavoli, 7 erano di stranieri” racconta, “lì ho pensato, vedendo tutta Roma dall'alto, che sarebbe stato bello fare una cucina italiana”. Una scelta limitante solo all'apparenza, inaspettata, forse, da uno che ha messo bandierine nei più importanti ristoranti di Spagna, avamposti di un'avanguardia a tutta tecnica.
Il giro dei menu
In poche settimane è cambiato tutto, “vedevamo che il menu girava e la gente era contenta”. Così è arrivata una certa consapevolezza, e la sicurezza. “Sono migliorati il metodo,e soprattutto la velocità: all'inizio era tutto molto più lento... avevo paura di cambiare un menu”. Invece ora la carta cambia completamente ogni sei mesi, di quel che c'era nella stagione precedente non rimane niente “neanche uno snack” dice Andrea, che aggiunge: “finito l'ultimo piatto del menu dopo 10 giorni vorrei distruggere tutto e rifare tutto daccapo”. Ma pur in questo continuo rinnovamento, la cucina mantiene la sua identità, anzi sembra aver rafforzato l'impronta italiana, ne sia un esempio il Coniglio alla cacciatora (versione Antonini) dell'ultimo menu. Lo stile nel tempo si è affinato, “ma ancora il concetto è quello iniziale” conferma: “una cucina italiana classica, spero di altissimo livello, con materie prime veramente di altissimo livello”.
Cosa si mangia da Imàgo
Pescando dai vari menu, a partire da quello d'esordio, si incontrano la famosa Triglia panzanella e limone, che tanto era piaciuta a Girona, e poi lo Spaghetto ricci di mare affumicati e pecorino, passando per Piccione camomilla e borragine fino all'ultimo, il 3.0, in cui ci sono Carciofo animelle e bottarga e Ravioli di scampi e cime di rapa. Facendo un rapido conteggio, si arriva facilmente a quasi 50 piatti, “non ce ne è uno cui sono più legato. Ma” aggiunge “in questo momento sono molto orgoglioso della pasticceria. Non abbiamo un pastry chef, faccio io; e per un cuoco fare una gran bella pasticceria, con il pane e tutto il resto è davvero difficile, penso che siamo riusciti a ottenere un risultato”.
Oggi ci sono 12 piatti – 3 per ogni passaggio - da pescare dalla carta per comporre un menu da 3 portate (130 euro che diventano 150 con il dessert) oppure c'è il menu degustazione da 6 (160 euro). A coronare il tutto, la grande cantina e una sala che gira come un orologio, merito della consueta maestria di Marco Amato, restaurant manager di gran rango - “anche grazie a lui una cena all'Hassler è qualcosa di unico”.
Il post lockdown
Oggi si affronta un autunno che guarda con circospezione al futuro: “per ora l'unica differenza, rispetto allo scorso anno, è che non possiamo accettare prenotazioni oltre le 10 di sera” e intanto racconta dei mesi appena passati: “abbiamo riaperto il 16 di giugno, con un lampo di genio”. Si riferisce alla decisione di usare per l'Imàgo lo straordinario spazio esterno al settimo piano, che normalmente fa parte di una esclusiva suite. 250 metri quadrati di terrazzo con una vista come non ce ne sono al mondo. “Quando l'ho proposto mi hanno guardato come un pazzo, e i primi 3 o 4 servizi abbiamo sofferto parecchio”: spostare di un piano una cucina del genere non è semplice. Ma poi – ancora una volta – le cose sono andate. “Immaginate: la stessa vista de L'Imàgo, ma all'aperto, sotto le stelle. Credo che sia una delle cose più belle al mondo, e più irripetibili. Un evento eccezionale, peccato per chi lo ha perso” sorride.
Imàgo dell'Hotel Hassler – Roma – piazza Trinità dei Monti, 6 – 06 69934726 - www.hotelhasslerroma.com/it/ristoranti-bar/imago
a cura di Antonella De Santis