Roma è ferma su sé stessa ormai da diversi anni. Una prassi amara che vale un po' per tutti gli ambiti, ristorazione inclusa. Decine di artigiani del cibo che per decenni hanno provato a darle lustro, anche a livello internazionale, oggi combattono più che in passato per darle lustro tra strade dissestate, quartieri invasi da spazzatura, taxi introvabili e trasporti fatiscenti. Disservizi che incidono anche sulla platea di turisti e "buone forchette" che girano la città a caccia di un buon ristorante. Dopo le parole dello chef del Pagliaccio, Anthony Genovese, e della chef di Glass Hostaria, Cristina Bowerman, arrivano quelle del maître Alessandro Pipero, che guida da anni il suo ristorante omonimo (stella Michelin e Due forchette del Gambero Rosso). Siamo in Corso Vittorio Emanuele II al civico 250, proprio di fronte la chiesa di Santa Maria in Vallicella che separa il Chiostro del Bramante dal Tevere. Una vetrata di un ristorante e il tavolo tondo apparecchiato affacciato su due storie, una che racconta la storia della città (con una delle sue bellissime piazze) e l’altra, amara, molto amara, che si ripete in continuazione. Quest’ultima, colorata ed evidente, è sintetizzata in un grosso mucchio scomposto di spazzatura relitto sulla piazza.
Alessandro Pipero è un uomo di consapevole capacità comunicativa, sempre composto, si dimostra padrone di una leggerezza puntuale e pungente. La porta si apre e lui si ferma a guardare fuori, oltre le vetrate del suo ristorante; non punta il dito ma con lo sguardo indica la montagna di immondizia e dice: «Ecco, io apro le tende su Roma a un tavolo che guarda una chiesa del XVI secolo, poi qualcuno arriva qui, si siede e magari spende 500 euro per guardare la sporcizia di Roma! Di cosa dobbiamo parlare?».
Parleremo anche di questo, certo. Nel frattempo, ha qualcosa da dichiarare?
Guarda, sono contento che abbiate pensato anche a me tra le voci importanti di Roma, anche perché si potrebbe scrivere un libro sull’argomento a cui avete dato inizio con Anthony Genovese. Lui è uno degli chef migliori d’Italia e questa è Roma, una città che amo senza soluzioni. In anni di lavoro ho imparato che questa città è un costo variabile molto significativo da inserire in un business plan imprenditoriale. Se vuoi aprire un’attività a Roma, Roma è un costo da tenere a bilancio come l’affitto, le utenze e il personale.
Molti suoi colleghi, infatti, sostengono che per fare impresa è meglio andare a Milano.
Milano è un foglio Excel, Roma è un file Word. Lì fanno i conti, qui facciamo parole. Da sempre Roma è più bella, ma Milano è meglio e se qui le persone vengono a vedere i musei e a mangiare la pizza con la mortadella, al nord si fanno affari. Lì c’è business e chi va a Milano cerca servizi alti e un alto livello anche ristorativo. Sono un quarto di noi, come estensione e come popolazione, hanno molte meno presenze di noi come turismo eppure, hanno in forza quasi i nostri stessi Taxi sulle strade. Come ce lo spieghiamo?
Il caso dei Taxi a Roma è una spina nel fianco.
Ma secondo voi, se un cliente del Bulgari viene a Roma e spende mille euro per dormire, 250 euro per ordinare due panini in camera a pranzo poi esce e aspetta quasi un’ora un taxi chiamato dall’albergo per venire a cena qui, dove spende ancora, per poi aspettare un’altra mezzora il secondo taxi e andare via esausto. Ora, secondo chi ha competenze per risolvere questa storia, stiamo parlando di una cosa normale? Questo è successo davvero eh, non l’ho inventato. Ovvio che sono una spina nel fianco, soprattutto per chi come noi lavora per offrire a questa tipologia di clientela quello di cui hanno bisogno per vivere una Roma all’altezza dei costi e delle aspettative. Il lusso esiste, che ci piaccia o no e ha bisogno di servizi.
Secondo Anthony Genovese, la ristorazione romana meriterebbe più attenzioni e riconoscimenti. Anche da parte di guide come Michelin.
Lo chef Anthony Genovese è più conosciuto nel mondo che a Roma, bisognerebbe domandarsi perché. Parliamo di un argomento complesso e io posso condividere alcune cose e non condividerne altre. Sicuramente chiunque di noi apre un ristorante con delle ambizioni entra a far parte di un sistema, un gioco di stimoli e riconoscimenti che fai tuo a prescindere. Io pure potrei essere incazzato, ma mica solo per me, oggi premiano due ristoranti e magari lo meritavano altri venti e chi lo sa. Quello di Genovese non è stato un lamentarsi, ma un dirsi amareggiato, che è diverso.
Lei invece è arrabbiato?
Ma no, potrei, ma non lo sono. Arrabbiarsi fa male ed è faticoso. Io amo il mio lavoro e in questo posto ho tutto. Quello che si dovrebbe capire veramente è che chi ha un ristorante così, come Il Pagliaccio o come Glass Hostaria di Cristina, se fattura mille spende novecento. Abbiamo spese altissime per assicurare standard elevati. A fare due conti questa città ha quattro milioni di abitanti, se ci conoscesse anche solo il venti percento sarebbe già il pari di una qualsiasi grande città d’Italia. Noi ci prendiamo cura di quel venti percento in maniera speciale e siamo quell’agio speciale che rende bellezza, piacere e valore a questo settore. Se non ti rendono giustizia, io comunque ho sempre pensato che le cose sia meglio viverle che subirle. Calcisticamente parlando ti dico che è meglio stare a centrocampo e seguire o dettare i ritmi del gioco, piuttosto che puntare tutto o sull’attacco o sulla difesa.
Roma sembra il contenitore di problemi irrisolvibili, dentro cui anche i ristoratori hanno le mani legate.
Sarebbe bello fare una rivoluzione, ma non ho soluzioni. Io a volte non so se riesco a fare ben e il mio lavoro, figurati se posso sindacare quello degli altri. Sono un profondo conoscitore di questa città e te lo dico alla Anthony Genovese, per ridere, che, se non riusciamo a prendere una stella in più, possiamo mai cambiare Roma? Io sono uno che non si arrende, come i colleghi che mi hanno preceduto nelle interviste, ma il nostro mestiere è difficile e siamo in una capitale che come dicevo prima non è Berlino, non è Londra e neanche Milano, ma è un altro lavoro da sommare a quello che già facciamo.
Genovese e Bowerman, insieme ad altri chef, hanno presentato un progetto al sindaco Roberto Gualtieri per realizzare un grande evento in città. Può essere un punto di partenza per far riscattare la ristorazione in città?
Assolutamente sì. Bowerman è una guerriera e abbiamo provato molte volte a cercare di fare qualcosa per questa città in termini di eventi, ma niente. C’è anche da dire che qui in Italia in genere si tende poco a fare squadra, c’è poca unione vera e perseveranza nelle cose. Dovremmo insistere nel darci un valore. Un grande evento, che magari abbia visibilità internazionale, porterebbe a Roma una luce diversa ed è gente come Genovese che può farlo. Lui e Bowerman sono conosciuti e rispettati nel mondo, metterebbero la loro fama a disposizione di tutta la città.
Non tutti possono permettersi ristoranti come i vostri.
Questo è ovvio. Ma siamo siamo i migliori ristoranti di Roma, siamo costosi, ma mai cari. Una trattoria di scarsa qualità dove spendi 40 o 50 euro per mangiare e magari farti bruciare lo stomaco è cara, non un’esperienza come quella che fai qui con gli stessi soldi a pranzo, tre pani e tre oli, un aperitivo e un piatto col pre dessert.
Alcune persone hanno un pregiudizio nei confronti dell'alta cucina.
È una questione di cultura. Ci vuole cultura anche solo per essere aperti a parlarne. Finché si spendono mille euro per uno smartphone e chissà quanti altri ancora per le cover, senza mai pensare di andare a mangiare in un fine dining, di cosa stiamo parlando? Quando andiamo all'estero siamo i primi a pagare in anticipo con la carta di credito - alberghi, ristoranti importanti, macchine - poi però quando noi ristoratori chiediamo la carta in anticipo per evitare i cosiddetti "no show", ovvero clienti che non si presentano dopo aver prenotato, nascono mille polemiche. Ma in un ristorante fine dining, magari con pochi posti a disposizione, le disdette dell'ultimo momento sono una piaga enorme. Un atteggiamento che parla da solo.
Un'ultima domanda. La ristorazione a Roma può fare qualcosa per fermare il declino in corso?
Esserci. Io quest’intervista potevo non farla e invece la faccio, magari proprio perché faccio parte del sistema che dicevo prima. Posso incazzarmi, posso ridere, posso fare il democratico, io alla fine tutto questo preferisco viverlo. Nella vita due cose sono sicure, una di queste è il cuscino. Quell’attimo la sera, quando sei a letto, appena prima che chiudi gli occhi e qualsiasi cosa tu sia stato il giorno ti restituisce la realtà. Ti spogli e sei tu. Ecco io alla fine quasi ogni sera mi auguro di essere sereno. Se Anthony e io chiudiamo i nostri ristoranti qui e apriamo a Milano, secondo voi funzioniamo? Secondo me il triplo. Però stiamo qui e vale la pena viverla.