Diciamolo subìto. Non sono d'accordo con lo chef Giorgio Locatelli. Nelle cucine spesso i lavoratori vengono maltrattati. Di frequente, uomini e donne, nessuno escluso. Apprezziamo il tentativo di Masterchef di portare all'attenzione del grande pubblico, finalmente, un problema che non possiamo più ignorare, ma quello che è andato in onda nella prima puntata della nuova edizione del programma tv è un gesto autoassolutorio nei confronti di una categoria molto varia e a volte problematica.
L'occasione per parlarne è stato il racconto di uno dei concorrenti. Michael Stefano, 25 anni, nella vita fa il corriere. Si è presentato come "aspirante chef" e ha raccontato di essere stato duramente maltrattato nell'unica cucina in cui ha lavorato, ricevendo addirittura un piatto addosso da parte dello chef che guidava quel ristorante. Non ha fatto nomi, ovviamente, ma è stato un momento che dovrebbe farci riflettere.
Masterchef 2023, la storia di Michael
Purtroppo il percorso di Michael a Masterchef si è interrotto subìto, non avendo preparato un piatto all'altezza del giudizio degli chef non ha ricevuto il solito grembiule bianco che permette l'accesso alla masterclass. Quindi, è tornato a casa. Ma non è questo il punto. Michael ha confessato ai tre giudici - Locatelli, Bruno Barbieri e Antonino Cannavacciuolo - di essere timido, di non aver fiducia in sé stesso, e che Masterchef era per lui un modo per riscattarsi.
Alle scuole superiori veniva chiamato "Caramella", nomignolo che alcuni compagni di scuola, con intenzioni poco gentili, gli hanno affibbiato solo perché tutti i weekend aiutava la mamma al banco di vendita di dolciumi, che gli permetteva di campare. «Sono dieci anni che ho questo soprannome. Una volta lo vedevo come un difetto, ma crescendo ne ho fatto una virtù e mi sono tatuato tutte le caramelle sul braccio». Sollecitato da Barbieri, Michael ha poi raccontato che non sempre le cose gli sono andate bene: ha incontrato persone, anche sul lavoro, «che non hanno fatto sì che diventassi più fiero di me». Parole sue.
Mai più in cucina
«Che ti hanno fatto?", ha chiesto un Barbieri sincero. È arrivata una risposta, la prima, pesante come un macigno: «Tutto il bullismo che ho subìto a scuola non mi ha aiutato a credere in me stesso». Barbieri (innocentemente) ha poi fatto una domanda a cui è seguita una risposta più pesante della prima: «Se ti piace così tanto la cucina, non hai mai pensato di lavorare un ristorante? Di iniziare a fare il "commis" e poi tutta la strada?».
Ecco, è qui che Michael ha rivelato una cosa che succede a molti giovani che vogliono intraprendere il mestiere di cuoco. O del percorso di sala. Le sue parole: «In realtà, avevo iniziato questo percorso, poi ammetto di non aver avuto la forza di affrontare la gavetta, sono stato molto maltrattato dallo chef che guidava la cucina; invece di insegnarmi mi ha maltrattato. Una sera mi ha addirittura tirato un piatto che mi ha preso in pieno. Sono uscito in lacrime, mi sono tolto la divisa, e ho giurato che non avrei mai più fatto il cuoco".
Incollati allo schermo si vede Locatelli, con le mani in faccia, che scuote la testa. Più volte. E poi dice: «Voglio chiederti scusa da parte di tutti i cuochi per quella persona che ti ha fatto passare la voglia di essere in cucina».
Ah, non male! Era ora! È la prima cosa che mi è venuta in mente. Peccato però che quello che ne è seguito ha pregiudicato la premessa: «Ti assicuro che specialmente adesso, tantissime, la maggior parte delle cucine non sono più così, per cui le cose sono cambiate. Ti chiedo scusa, mi dispiace per quello che è successo». Se si fosse fermato alla prima frase, ci saremmo alzati in piedi ad applaudire. E, invece, purtroppo, il siparietto che ne è seguito è stata un'omelia senza fondamento, né empirico né fattuale, che non ha avuto altro scopo se non quello di assolvere una categoria: quella degli chef.
Paghe basse, orari lunghi e (a volte) ambienti tossici
Lavorare in cucina, come in sala, non è affatto facile. Anzi, è un lavoro duro, a volte durissimo. Colpa delle paghe basse, degli stage che assomigliano più a lavori massacranti che a momenti di formazione, e ovviamente senza alcuna prospettiva, ci sono molti luoghi di lavoro che comprimono le aspettative personali a vantaggio dell'economia aziendale. I maltrattamenti infatti non passano solo per gli insulti e i piatti in faccia, ma soprattutto per orari sfinenti, stipendi miserevoli, ambienti tossici e regimi da esercito, pochissime aspettative di crescita, mobbing, abusi e, purtroppo, anche molestie nei confronti delle donne. E non parlo solo dell'alta cucina (pure lì le cose succedono, eh) ma anche del formicaio ristorativo presente nel nostro paese. Enorme e problematico.
I contratti di lavoro della categoria prevedono 40 ore di lavoro settimanali, ma quanti chef realmente possono permettersi di rispettare quegli orari? C'è chi ne lavora 60 o addirittura 80, senza straordinari pagati. Negli Stati Uniti il fenomeno del Great resignation, 47 milioni di persone che hanno deciso di cambiare lavoro, rinunciando volontariamente a quello che avevano, ha riguardato anche la ristorazione. Il fenomeno ha attecchito in parte anche in Italia, il Covid è stato il suo acceleratore, e ora è sempre più difficile trovare qualcuno disposto a lavorare in cucina o in sala. Chi è riuscito a rimpiegarsi col cavolo che è tornato a fare il cuoco e il cameriere a mille euro al mese.
Bullismo e minacce
E poi c'è la violenza psicologica, sicuramente meno misurabile rispetto a quanto detto ma esiste eccome. Il bullismo e gli abusi in cucina sono fatti di minacce, sberle, umiliazioni e urla. Abusi di potere da parte del principale. Le donne molto spesso subiscono discriminazioni. C'è paura a denunciare, e andrebbe indagato il motivo anziché far finta che i problemi siano stati quasi del tutto superati. Il bullismo - verbale e fisico - non è facilmente misurabile, ma prolifera in ambienti dove lo stress è alto, i ruoli sono definiti e la comunicazione è spesso manchevole.
Micheal ha solo 25 anni e non credo che abbia lavorato in quella cucina molto tempo fa. Non si può risolvere tutto dicendo "eh, ora per fortuna le cose non sono più come prima, le cose sono cambiate in meglio". Non sono mica passati decenni, ma probabilmente molti pochi anni. Insomma, non si può liquidare un tema così controverso con una pacca sulla spalla.
Masterchef ha avuto l'indiscutibile merito di portare al grande pubblico di massa il tema della cucina, dei prodotti di qualità, del lavoro degli chef. Ha mostrato quanto questo mondo sia multiculturale, ha dato spazio a chi ha origini diverse dalle nostre, e spesso ne ha fatto un valore aggiunto. Se è vero che in tredici anni ha spesso schivato temi critici e problematici del settore, è altrettanto vero che nella prima puntata del 2023 ha interrotto questa tradizione. Gli autori, con piacevole sorpresa, hanno confezionato un frame su un tema, quello degli abusi e i maltrattamenti, molto importante. Ma le conclusioni sono superficiali.
Purtroppo, duole dirlo, non è cambiato un bel niente, caro Locatelli.