Le nostre nonne, custodi di segreti gastronomici, storie di famiglia e qualche errore, sono state guide importantissime per lo "svezzamento" sensoriale, aspetto che va ben oltre la semplice preparazione di un pasto. Con una mamma single impegnata a mandare avanti la baracca, mia nonna è stata una figura fondamentale. Lei mi ha cresciuto praticamente in cucina.
In cucina con nonna
Guardarla cucinare non è stata solo un'occasione per apprendere tecniche e ricette, ma un vero e proprio rito di passaggio che mi ha fatto capire come fosse unico il nostro legame e quanto particolare la dinamica in cucina. Le sue mani, alle quali le mie somigliano ogni anno di più, mi hanno insegnato la pazienza, la cura per il dettaglio e il rispetto per i prodotti genuini. Ma nonna Titta, al secolo Giuditta Rissone, non era la classica nonnina.
Chi era mia nonna, Giuditta Rissone
Raccontava favole, preparava torte e occasionalmente sferruzzava a maglia, ma in gioventù è stata una stimata attrice di teatro. E con un'infanzia degna di un romanzo. Nata nel 1895 in una famiglia di teatranti, ha iniziato a girare il mondo con la compagnia di Ermete Zacconi insieme ai suoi genitori e ai suoi fratelli fin da neonata, e sul palcoscenico da quando stava in piedi da sola, costretta a interpretare solo ruoli maschili (una femmina in teatro non era una notizia felice). Nonna era la penultima di quattro fratelli maschi: due interpretavano i ruoli più giovani, e i meno talentuosi erano addetti a lavori di manovalanza; suo padre, il mio bisnonno, era il "trovarobe", incaricato di dipingere i fondali, raccogliere i mobili, allestire le scenografie, gli oggetti di scena, ecc. Sua moglie, mia bisnonna Luigia, era sarta e disegnava tutti i costumi per ogni produzione, la responsabile del taglio, cucitura e confezione dei costumi di tutta la compagnia.
Questo assortimento di talenti si allontanava dall'Italia ogni estate, diretto in Sud America, dove la compagnia si esibiva soprattutto per gli italiani emigrati nei teatri del Paraguay, Uruguay, Argentina e Cile. Gli italiani non sbarcavano solo a Ellis Island. Nonna Titta non spiccicava una parola di inglese, ma grazie a queste tournée annuali che duravano mesi, parlava correntemente lo spagnolo e aveva imparato i rudimenti del portoghese. Una volta terminata la stagione all'estero, la compagnia impacchettava le attrezzature e l'allestimento e navigava l'Atlantico su piroscafi a vapore per tornare in patria, giusto in tempo per l'inverno nell'emisfero settentrionale (per la stagione teatrale italiana). Titta amava il caldo e l'estate, perché per tanti anni di tournée, l'estate non era stata un'opzione per lei.
In seguito, da adolescente e poi giovane prima attrice, il suo talento e il suo fascino l'hanno portata al successo. Divenne presto la protagonista di molte pièce teatrali popolari degli anni Venti e il suo repertorio spaziava dai classici greci, ai drammi shakespeariani, a pezzi contemporanei umoristici, intelligenti e ironici. Nel 1930 conobbe mio nonno, Vittorio De Sica, con il quale formò una compagnia e che poi sposò sette anni dopo. Mia madre nacque l'anno successivo e questo diede a nonna Titta la possibilità di finalmente ritirarsi dalle scene all'età di 42 anni. Diventata nonna quasi trent'anni dopo, questo suo glorioso passato ha caratterizzato in qualche modo le nostre interazioni, i nostri giochi e le nostre piccole abitudini a tavola e in cucina, la sua grande passione.
Nonostante la separazione da mio nonno (il divorzio non esisteva in Italia all'epoca), le difficoltà dell'Italia negli anni della Seconda guerra mondiale, il suo impegno umanitario (ha tenuto nascosta in cantina una famiglia di ebrei fino al giugno del 1944) e l'essere genitore single negli anni Cinquanta, nonna riuscì a tenere duro e, a suo malgrado, recitare in 25 pellicole dal 1933. Una delle sue ultime interpretazioni è stata nel 1962, nel ruolo della madre di Marcello Mastroianni nel capolavoro di Fellini "8 1/2".
I regali gastronomici di nonna Titta
Nonna Titta era una compagna di giochi divertente, anticonvenzionale, tenera e spiritosa. Facevamo meravigliosi giochi di ruolo, chiacchieravamo e spettegolavamo come signore che bevono il tè (fatto di acqua del rubinetto zuccherata) e Nonnami ha viziato come solo i nonni sanno e sono autorizzati a fare. Mi ha insegnato ad apprezzare la buona tavola grazie alle sue virtuose abilità culinarie. All'interno di questo importante percorso di conoscenza e di trasmissione di saperi ricordo con affetto alcune "pietre miliari" sensoriali lasciatemi in dote da questa donna straordinaria. Ecco alcune delle più vivide nella mia memoria.
Sherry e Parmigiano (non diciamolo a mamma)
Cucinare insieme era un gioco divertente, una forma di educazione alla vita e al gusto che non ha prezzo. Ma con nonna Titta avevamo anche i nostri piccoli rituali segreti ai fornelli e a tavola. Per esempio, mentre le pietanze sobbollivano sul fuoco, apparecchiando la tavola nel tinello, io e nonna ci concedevamo spesso un aperitivo tutto particolare. Con il coltello a goccia lei mi insegnava a scagliare la punta di Parmigiano Reggiano, e poi versava in due minuscoli bicchierini di cristallo gocce preziose di sherry. Gustavamo religiosamente questo abbinamento perfetto. Lei mi spiegava come la sapidità e la grinta del formaggio “ballano il valzer" con le note dolci di dattero, fichi secchi e cioccolato dello sherry. Che la granulosità del Parmigiano rincorre ogni sorso che a sua volta lascia la bocca vellutata e sciropposa. Era un momento intimo e che in qualche modo ha plasmato le mie papille gustative. Una follia se si pensa che avevo solo sette anni. «Non diciamolo a mamma, che se scopre che ti faccio bere mi ammazza».
l segreti del bagnetto verde
La salsa verde di Titta, che da brava astigiana chiamava bagnèt vert, è la chiave di volta della complessa cerimonia del bollito misto, un caposaldo dei pranzi più importanti. Da bambina l’ho osservata preparare questa ricetta centinaia di volte. Sempre con lo stesso trita-prezzemolo a manovella, l'olio buono a filo, le acciughe che toccava a me mondare dalle invisibili spine, il pane secco ammollato nell’aceto, i capperi in salamoia, e il trucco del tuorlo sodo. A casa nostra il bagnetto verde si fa esclusivamente ancora così.
Tirare la sfoglia al mattarello
Una domenica, considerandomi a quel punto capace (o degna), nonna mi ha dato come uno scettro il suo prezioso mattarello lungo un metro. Era venuto il momento di imparare a tirare la sfoglia. Niente macchinetta Imperia, lei faceva tutto a mano. Infarinando la spianatoia, mi faceva toccare la superficie di legno, la sua grana ruvida. Una volta nato l’impasto giallo, mi spiegava come esercitare pressione minima all'inizio e aumentare lentamente la forza man mano che l'impasto si assottiglia, e mi indicava come valutare se l'impasto chiede più farina. Quando la superficie iniziava a espandersi, ridevamo pensando alla "coperta corta": stendendo in verticale la striscia lunga e stretta andava compensata con movimenti orizzontali, e la forma si allungava istantaneamente in un ovale opposto. Soprattutto, mi ha incoraggiato a continuare, a non arrendermi mai, e testare i limiti della sottigliezza dell'impasto a seconda dell'uso e del formato (agnolotti, tagliatelle e via dicendo). Il mattarello e la spianatoia di legno sono ancora al loro posto, usati sempre più di rado da quando nonna e mamma non ci sono più. Né io né mia sorella osiamo toccarli per rispetto.
Come fare la bagna cauda
Da piccola temevo la quantità così abbondante di aglio della bagna cauda che nonna faceva d’inverno, e così mi ha insegnato un suo trucco: dimezzare la quantità di olio e compensare con una tazza di latte intero, da versare nella pentola di coccio. Identica quantità di aglio, e stessa identica procedura: il latte doma la grinta dell'aglio. Funziona, garantito.
La pasta all'estratto
Ancora oggi, quando sento il peso di scadenze e problemi legati alla vita quotidiana, mi ritrovo a cercare conforto ai fornelli, proprio come facevano nonna e mamma. Mentre cucino con un turbinio di preoccupazioni nella testa, spesso riproduco automaticamente le ricette di nonna Titta e replico involontariamente quei suoi gesti d'amore quotidiani con cui sono cresciuta. Per sentirmi particolarmente vicina a lei e a tutto ciò che ha significato per me, mi basta aprire un barattolo di estratto di carne e mettere a bollire una pentola d'acqua. La combinazione di aromi e consistenze scatena un potente momento kafkiano. Improvvisamente sono proiettata indietro nel tempo, nella casa in cui sono cresciuta, sono in piedi su una sedia accanto al piano di lavoro della cucina, indosso il mio grembiulino e guardo mentre nonna scioglie cucchiaiate di estratto di manzo scuro, simile al catrame, in una piccola quantità di acqua di cottura della pasta, insieme a del burro. Stiamo preparando la sua pasta all'estratto, la mia "madeleine".
L’aroma raggiunge le mie narici e chiudo gli occhi. Sento il jingle del telegiornale anni Settanta che proviene dal vecchio televisore a tubo catodico Grundig nell'altra stanza. Il sorriso di nonna e i suoi occhi scintillanti color smeraldo striati d'oro mi appaiono come il flash di una fotografia. Mi ritrovo nel presente, abbasso lo sguardo sulla ciotola che ho davanti. Mi accorgo che le macchie di vecchiaia sulla pelle delle mani sono proprio come quelle di nonna. Il suo anello, che porto alla mano destra, brilla nella luce del mezzogiorno nella mia piccola cucina. Condisco la pasta scolata con la miscela di burro ed estratto e ci spolvero sopra un sospetto di Parmigiano Reggiano grattugiato. Il risultato è un piatto poco attraente di pasta grigio-beige. Ad ogni giro di forchetta e ad ogni boccone, vengo abbracciata dal tenero e fugace ricordo di lei. Avevo dieci anni quando è morta, ha lasciato un buco nella mia infanzia, colmato solo da molti ricordi e un'impronta unica che ha formato la mia natura e individualità. Grazie Nonna per avermi fatto capire che il cibo non è mai solo nutrimento, ma anche memoria e identità.