Non morirò di fame. Il film sugli sprechi alimentari
“È vero, il tema degli sprechi alimentari viene sempre più spesso affrontato, a livello mediatico, ma il cibo continua a essere buttato via e quindi non bisogna abbassare la guardia: 7 spettatori su 10, dopo aver visto il mio film, hanno infatti dichiarato che ora ci pensano su, prima di gettare un alimento nella spazzatura. Del resto, ben il 70% dell’intero spreco alimentare con cui, in Europa, si potrebbero nutrire 3 miliardi di persone, è generato dal consumo domestico e da quello fuori casa, non dalle industrie”, ci ha detto Umberto Spinazzola, regista di Non morirò di fame, il film sugli sprechi alimentari in uscita il 15 febbraio. La pellicola – già mostrata in anteprima al Salone del Gusto 2022, vincitrice di 3 premi al Terni Film Festival/Popoli e Religioni 2022 diretto da Moni Ovadia – narra la storia di uno chef stellato, Pier, che a un certo punto non riesce più a reggere il peso del successo. Sfruttando il pretesto della chiusura del suo locale, decisa dal socio per dei (a dir poco dubbi) problemi economici, abbandona tutto e tutti, figlia compresa, finendo per diventare un barbone. Solo il giorno in cui deciderà di cucinare servendosi degli scarti alimentari dei supermercati, inizierà a “ritrovarsi”.
Chi è Umberto Spinazzola, regista di Non morirò di fame
“Il film s’ispira a una storia vera, ma non posso rivelare il nome dello chef coinvolto anche perché come lui ce ne sono stati molti altri” (e infatti, già nel 1995, un altro film - Le festin Chinois, di Tsui Hark – aveva raccontato lo stesso genere di discesa agli inferi). “Quello delle Stelle Michelin è una specie di Luna Park che – come ha recentemente dichiarato René Redzepi – non è più sostenibile, finanziariamente, emotivamente e umanamente: non è quindi un caso che tanto lui, quanto il protagonista di Non morirò di fame, abbiano deciso di chiudere il ristorante per aprire un laboratorio”. Umberto Spinazzola, in effetti, quel circo lo conosce bene, essendo dal 2012 il regista di Masterchef Italia, ma quando gli chiediamo se non si sente in qualche modo “responsabile”, nel nutrire televisivamente quello stesso genere di (parole sue) “girone dantesco”, risponde che “…mediamente i ragazzi che partecipano al mio programma non hanno come obiettivo il raggiungimento ossessivo del successo, bensì la realizzazione personale attraverso l’apertura di un piccolo ristorante attento alla cultura del cibo, al chilometro zero e ai piccoli produttori, temi che noi di Masterchef affrontiamo di continuo”.
Il tema: il recupero delle materie prime e il recupero degli affetti
Nonostante alcune forzature, nei dialoghi e nelle interpretazioni, allontanino a tratti lo spettatore dalla verità della storia, Non morirò di fame parla di sprechi alimentari anche in chiave simbolica, perché il tema del recupero delle materie prime è associabile al recupero degli affetti: è quello che fa Pier nel momento in cui, dopo essere tornato a Torino per la morte della moglie, finisce per ritrovare la figlia, il suo migliore amico e persino l’ex socio. In questo modo, attento com’è a non buttare più via alcun rapporto umano, intreccia un legame assai intenso con un altro clochard torinese, Granata, interpretato dal notissimo Jerzy Stuhr. “La scelta di Torino è una scelta del cuore, trattandosi della mia città, ma nel film rappresenta una qualsiasi altra metropoli in cui la tematica degli sprechi e quella della solitudine, sono assai ricorrenti. A riprova di ciò, il film è piaciuto a una società di Montreal che ha deciso di coprodurlo”, accettando di ambientare una piccola parte della storia proprio a Montreal.ù
Non morirò di fame: i piatti nel film
I piatti rappresentati nel film fanno intuire quanto Spinazzola sia un vero gourmet: “In effetti amo il cibo da tempi non sospetti, cioè da prima di Masterchef”, aggiunge ridendo, “ma amo il cibo semplice, dritto e senza fronzoli. Il primo piatto che entra in scena, non a caso, è una bagna caüda e se Pier, nel presentarla all’amico per cui l’ha cucinata, dice di averla abbinata a delle crudités, invece di dire “a delle verdure”, è per colpa di quelle scorie da teatrino mediatico dalle quali, in quel momento della storia, non s’è ancora liberato”.