Cosa hanno in comune Eneko Atxa e Jiro Ono? Poco, all'apparenza. Basco, giovane, festoso, creativo l'uno, giapponese, anziano, silenzioso, tradizionalissimo l'altro. Cuochi entrambi, entrambi nell'olimpo della cucina, celebrati insieme in Soul, un documentario presentato al festival del cinema di Berlino nel 2017, nella sezione Culinary Cinema e in questi giorni visibile sulla piattaforma Netflix.
Soul, in cerca dell'anima della cucina
Sono passati quasi 7 anni da quando Ángel Parra e José Antonio Blanco hanno realizzato la pellicola e qualcosa nel frattempo è cambiato, per esempio all'epoca i due ristoranti - Azurmendi e Sukiyabashi Jiro - erano entrambi premiati con le tre Stelle Michelin, un paio di anni dopo, però, il nipponico le ha perse, e non perché la sua cucina non fosse più eccellente, ma perché la notorietà ha reso praticamente impossibile prenotare, a meno che non si abbiano i giusti agganci o si prenoti direttamente tramite il proprio hotel, purché sia uno di quello giusti (leggi: lussuosi). Le storie sul sushi master più importante al mondo si inseguono, una vuole che al suo ambitissimo bancone – solo 10 posti – l'allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama si sia guadagnato uno sguardo di riprovazione e una manifesta ostilità per non aver terminato il suo boccone. Che queste voci siano vere o meno, il ristorante è inaccessibile ai più, per questo è uscito a pie' pari dalla guida (mentre una filiale gestita da suo figlio Takashi a Roppongi Hills ha ancora oggi Due Stelle). Poco importa: Jiro è una leggenda. Come è un mito Joël Robuchon, scomparso nel 2018 ma presente nella pellicola.
Nel doc, circa un'ora e un quarto di girato da una parte all'altra dell'Oceano, si seguono i due cuochi in cucina, al mercato, di fronte al mare, si raccolgono testimonianze di altri grandi cuochi, come Carme Ruscalleda, Martin Berasategui, Joël Robuchon, Seiji Yamamoto, di critici gastronomici, del direttore internazionale della Guida Michelin Michael Ellis, e del preside della scuola Hattori Nutrition Center, Yukio Hattori, che non ha dubbi: se per acquisire le conoscenze base della cucina francese o di altri paesi europei servono 3 o 4 anni, ce ne vogliono quasi il doppio per quella nipponica. E non è detto che basti: ha circa 1.500 studenti l'anno nella sua accademia, ma solo uno su 10mila diventa uno chef, tutti imparano a cucinare, ma la capacità di andare oltre è di pochi. Si tratta di vedere il contesto, la stagione, di dare importanza al tempo, di riuscire a far sprigionare la magnificenza del cibo donato dalla natura.
L'anima dei luoghi e dei popoli
È l'anima dei luoghi che si deve infondere nel cibo. Nel caso dei Paesi Baschi, è il carattere di un popolo che ha una storia gastronomica unica, baciata cos'è dall'incontro tra la tradizione francese e quella spagnola, da una posizione fortunata, da grandissime materie prime, e da una incredibile forza, quella della popolazione, che si ritrova – potente - nel cibo e ne costituisce il Dna gastronomico. La voglia di esplorare continuamente, conoscere e indagare si muove a partire da processi tradizionali, spiega Axta: «io arrostisco, friggo, faccio bollire». Le migliorie tecniche consentono solo una maggiore precisione, ma sono parte di quella stessa matrice, non se ne discostano. Come non se ne discosta il lavoro di Jiro che da quasi 100 anni cerca di perfezionare quello che agli occhi esterni potrebbe sembrare già perfetto, per questo immutabile: suo figlio, con “appena” 35 anni di esperienza, può solo sperare di emularne la sapienza artigiana, «tutto nasce dalla tradizione» spiega. Mantenere le tecniche tradizionali per conservare il sapore è cruciale, per lasciare esprimere il massimo ingredienti che nel corso del tempo sono cambiati: in meglio, per i miglioramenti nella conservazione e nel trasporto, ma anche in peggio, per le conseguenze dei cambiamenti climatici e dell'inquinamento. Seppur in direzione apparentemente opposte, i due cuochi sono mossi da un'attitudine affine.
Un altro elemento in comune? Il rispetto per l'ambiente: la preoccupazione che il mare non possa più offrire il pesce di un tempo, violato com'è dalle conseguenze dell'azione dell'uomo, la lotta allo spreco, sono cardini silenti del lavoro di Jiro, concentratissimo, serio, ascetico, controlla tutto con attenzione certosina, andando fino alle origini del sushi, nato circa 200 anni fa come recupero del pesce avanzato. Dall'altra parte del mondo, invece, Axta si impegna a favore dell'ambiente in cucina e fuori: il suo Azurmendi è stato proclamato il ristorante più sostenibile al mondo da The World’s 50 Best Restaurants nel 2018. Merito di un edificio a basso impatto ambientale, un cubo trasparente perfettamente integrato con la natura circostante, progettato con materiali locali e riciclati, con sistemi di energia rinnovabile all’avanguardia che reimpiegano l'acqua piovana, e trasformano i rifiuti in compost con un beneficio per tutta la comunità.
A rinvigorire la leggenda intorno a Jiro, c'è la ricerca minuziosa del gesto perfetto che accompagna il suo lavoro, la consapevolezza che anche nella ripetizione pedissequa dei gesti ci possa essere una costante evoluzione. La rivelazione, insomma, che evoluzione e tradizione non sono nemiche giurate m sono in un certo senso espressioni diverse di una stessa ambizione.