La presentazione a Roma
Che il Prosecco sia ormai un trend key del mercato è chiaro a tutti. Il punto, però, è che ormai non si parla solo del mercato del vino, ma anche di quello cinematografico. Uscirà, infatti, il 31 ottobre il film Finché c'è Prosecco c'è speranza, con Giuseppe Battiston, Teco Celio e Liz Solari, per la regia di Antonio Padovan (distribuzione Parthénos). Alla Festa del Cinema di Roma (26 ottobre – 5 novembre) lo si potrà vedere in anteprima all'interno della rassegna Alice Kino Panorama Italia.
Un giallo in chiave vitivinicola
A fare da sfondo alla vicenda, tratta dall'omonimo giallo di Fulvio Ervas (edizione Marcos Y Marcos), ci sono le colline venete, mentre al suo interno si muove tutto un mondo singolare e curioso, fatto di bottai, osti e confraternite di saggi bevitori. In poche parole, il mondo del conte Desiderio Ancillotto (interpretato da Rade Serbedzija), grande vignaiolo che si è tolto la vita, inscenando un improvviso e teatrale suicidio. Ma si sarà davvero trattato di suicidio? E chi sarà il responsabile di tutta una serie di omicidi, le cui tracce sembrerebbero portare proprio al Conte? A indagare su questi casi viene chiamato l'ispettore Stucky (Battiston), che, nella cantina del nobile vignaiolo, scoprirà, tra vetro e sughero, alcol e lieviti addormentati, una realtà che, invece, a dormire non ci pensa per niente e, al contrario, rivendica il suo diritto al futuro.
Il commento del regista
"Dopo aver passato un terzo della mia vita a New York" dice Padovan "l'ispettore Stucky è venuto a prendermi e mi ha riportato alla mia terra: un piccolo arcipelago di dolci rilievi trapuntati di vigne, che si sta trasformando velocemente in un frenetico luna park eno-finanziario: Proseccolandia. Finché c'è Prosecco c'è speranza vuole essere un giallo, ma al tempo stesso un modo per puntare la lente d’ingrandimento su una realtà geografica poco esplorata dal cinema italiano. È un’indagine impregnata di riflessioni sul futuro che vogliamo. Un inno all’andare piano, assaporando la vita. Un ritratto di un territorio ingarbugliato tra progresso e tradizione, tra eccellenze e vergogne. Una lettera d’amore".
I cammei vitivinicoli
In un film che parla di vino, non potevano mancare riferimenti filmici alla realtà vitivinicola del nostro Paese. Per la villa del conte Ancillotto sono stati scelti i vigneti della Famiglia Dalla Libera di Conegliano Valdobbiadene. Ma non sono gli unici filari finiti sul grande schermo. Ci sono pure quelli di Angelo Bortolin, storico nome della viticoltura regionale, impegnato nella produzione di Prosecco Docg. La cantina del film è, invece, quella del ristorante Da Gigetto di Miane (Treviso): 1600 etichette di vini che riposano a 18 metri di profondità, attorno a un pozzo con acqua sorgiva. La lista dei ristoranti continua, poi, con Ca' del Poggio di San Pietro di Feletto, località famosa, oltre che per la produzione di Prosecco, anche per il Muro di Ca’ del Poggio. Altra tappa enogastronomica del film è a Valdobbiadene, in cima alle colline di Cartizze, dove all'interno di un vecchio casolare si trova l'Osteria senz'oste, ormai nota alle cronache culinarie nazionali e internazionali, grazie all'idea del suo proprietario, Cesare De Stefani, l'oste che non c'è. Ovvero, colui che rifornisce la dispensa di cibo (salumi, pane, formaggi e dolcetti) e bottiglie di Prosecco e Cartizze, e poi va via, mettendo l'osteria a disposizione degli ospiti, che pagheranno, si faranno lo scontrino da soli e poi lasceranno il posto ai nuovi venuti. Una scommessa sulla fiducia nel prossimo che si è meritata un giro anche sul grande schermo.
Cammeo di colore, anche, per i cavalieri della Confraternita del Prosecco – tutti di porpora vestiti - associazione nata nell'immediato dopoguerra per evitare l'abbandono dei vigneti da parte dei viticoltori della Docg (ipotesi oggi senz'altro ampiamente scongiurata) con tangibili sostegni materiali e morali.
Citazione d'onore, infine, per la cantina veneta Masi e per il suo premio Civiltà del Vino: nel film è proprio il conte Ancillotto ad apporre la sua firma sulla storica Botte di Amarone, ormai diventata famosa in tutto il mondo. Per una strana coincidenza, proprio qualche anno fa (nel 2011), il protagonista del film – Battiston – fu proprio insignito del Premio Masi Civiltà Veneta.
I precedenti enogastronomici di Battiston
Lo stesso Battiston, tra l'altro, non è nuovo a film legati alla cultura vitivinicola del nostro Paese. Nel 2013 è stato protagonista di Zoran, il mio nipote scemo(regia di Matteo Oleotto) ambientato nel suo Friuli Venezia Giulia, con vigneti, cantine, vini e osterie a fare da naturale background a tutta la vicenda. Tant'è che lo stesso attore quache anno fa aveva dichiarato che avrebbe potuto rinunciare al cinema solo per una bella vigna. Ma a giudicare dalla sua carriera, battezzata da calici di vino e premi internazionali, le due cose possono senz'altro continuare a convivere nella stessa dimensione.
Dalla Francia arriva Ritorno in Borgogna
E intanto, nelle sale italiane è già arrivata la risposta francese al film di Padovan. Si chiama Ritorno in Borgogna (in francese Ce Qui Nous Lie, ovvero Quello che ci lega), che porta la firma di Cédric Klapisch, lo stesso regista dell’Appartamento spagnolo. È la storia di tre fratelli - Jean (Pio Marmai), Juliette (Ana Girardot) e Jeremie (Francois Civil) - che si ritrovano eredi del vigneto del padre e che provano a ricostruire rapporti e cantina. Ma è anche l'incontro tra le nuove generazioni, un po' nomadi e un po' globali, e il mondo della tradizione francese che richiama i più giovani alla loro radici.
Che siano bollicine italiane o rosso di Borgogna, l'annata vitivinicola di sicuro non sembra soffrire di mancanza di prodotto. Per lo meno non al cinema.
a cura di Loredana Sottile