Dici Librandi e capisci Cirò. Sì, perché se c’è una cantina, una famiglia, anzi un motore per questo territorio dove il vino è di casa ma dove per anni sembrava rimasto all’anno zero, questa è proprio Librandi di Cirò Marina, in provincia di Crotone.
Il lavoro certosino su ogni angolo della zona Doc Cirò
E loro, che più di tutti in questi ultimi decenni hanno studiato i terroir della regione e fatto impianti e vinificazioni sperimentali, questo angolo di Calabria tra l’Appennino e il mare lo conoscono a menadito. “Sappiamo perfettamente quale uva dobbiamo usare per i diversi vini e sappiamo dove prenderla. Oggi abbiamo 230 ettari di vigna, ma abbiamo lavorato in ogni angolo della zona Doc Cirò per capire come influissero sui vitigni e sui diversi cloni il terreno differente e i microclimi – racconta Paolo Librandi, oggi alla guida dell’azienda insieme alla famiglia – Per questo, adesso, abbiamo deciso di lanciare una nuova linea sotto un unico nome: Segno Librandi. Ecco, questi sono i vini che sintetizzano nostro il lavoro di settant’anni sulle vigne calabresi, queste etichette sono il segno che lasciamo in questa terra, chiude il circolo di anni e anni di studi e ricerche”.
L'inizio dell’attività di imbottigliamento
Era il 1953 quando i Librandi avviano l’attività di imbottigliamento nella piccola cantina di via Tirone, a Cirò Marina, per la produzione di vini a base di uva gaglioppo per i rossi e greco per bianchi: puntano a incrementare la superficie vitata e acquistano la proprietà Ponta- Duca San Felice.
La prima annata di Cirò Rosso Riserva Duca Sanfelice
Trent’anni dopo vede la luce la prima annata di Cirò Rosso Riserva Duca Sanfelice: un grande rosso da vitigno autoctono che consacra la fama dell’azienda nel territorio regionale. Ma devono passare ancora dieci anni perché nel campo sperimentale di Ponta-Duca Sanfelice inizi la vera e propria, forsennata, attività di ricerca: si avviano le prime selezioni massali di gaglioppo; così, 700 cloni e 30 portainnesti dopo, dopo le ricerche fatte insieme da Nicodemo Librandi e dall’agronomo Davide De Santis con la supervisione del professore Attilio Scienza, e dopo ben 4 pubblicazioni sui vitigni, i terroir e i microclimi che possono ben fare da modello a tutta la viti enologia italiana, oggi il Segno prende corpo.
A dirigere i lavori in cantina e in vigna ci sono Raffaele, Paolo, Francesco e Teresa che hanno saputo raccogliere l’eredità dei genitori Antonino e Nicodemo e che hanno dato e danno un impulso decisivo sia all’azienda sia alla Doc Cirò. Sorride Paolo: “Siamo lontani ancora dalla definizione di microzone all’interno della Denominazione, ma sicuramente già si può parlare di diverse sottozone che hanno terreni e microclimi diversi e danno sfumature e caratteri diversi ai vini. Le abbiamo studiate e vissute sulla nostra pelle. E ne portiamo il… Segno”.
Segno Librandi. I tre vini in anteprima
Il Cirò Rosso. È un vino molto tipico, da uve gaglioppo al 100% ed estratto in maniera soft, senza macerazioni spinte: nello spirito della filosofia enologica della famiglia Librandi. Questo vino offre i profumi tipici del Cirò: frutti rossi, con la marasca in piacevole evidenza, e una bella acidità. Paolo Librandi aggiunge: “Io ci riconosco il potpourri, quel sacchetto di fiori che si metteva un tempo nelle case”. E infatti arrivano le note di viola, tipiche del Gaglioppo, e ancora spezie e sottobosco mediterraneo.
Cirò Bianco. Vino molto fresco con buona acidità, da uve greco in purezza. “È un bianco meridionale: ha una sua consistenza ben presente, ma gioca molto sulle delicate note di fiori bianchi e frutti gialli. Noi lo utilizziamo molto quando mangiamo pesce” racconta Paolo. È un classico vino estivo: fresco, fruttato e godibile, ma con una sua personalità e complessità, come nelle vivaci note di biancospino.
Cirò Rosato. “È la tipologia più bevuta in Calabria, e dunque è un’etichetta strategica per noi”, spiega Paolo. In effetti, si sente la personalità de vino, la sua freschezza ma anche la sua complessità e la nota tannica che dà nervo. Di sicuro non è il rosato in stile provenzale: anche il colore non è il classico “velo di cipolla”, ma un po’ più carico. “È un vino che accompagna tutta la nostra cucina che è abbastanza decisa – sorride Librandi – e ha un’acidità che lo sostiene molto. È un vino da tutto pasto”.