Fragile come una crema catalana. Per gli uomini della 'ndrangheta entrare nel nuovo business dei mercati comunali di Milano è stato facile come rompere la crosticina di caramello, e sguazzare poi nella crema. La crosticina, quella che doveva garantire la legalità e proteggere dalle infiltrazioni, era il consorzio temporaneo di imprese cui il Comune aveva assegnato la gestione nel 2019 del Mercato di piazzale Lagosta: uno dei tanti spacci rionali creati negli anni Trenta per calmierare i prezzi nei rioni popolari, messi in crisi dai supermarket e rinati come food district. La rigenerazione dei mercati è stata un fiore all'occhiello delle ultime giunte, e quello di piazzale Lagosta era uno degli esempi più in vista.
Ma ieri, grazie al blitz della Direzione antimafia della Procura milanese, già intervenuti nel 2018 con la chiusura del Dom Cafè, cocktail bar al centro della Movida di via corso Como, si scopre che capitali e uomini della 'ndrangheta erano penetrati senza sforzo, acquisendo parte degli stand e mettendo gli occhi su altri.
Ad aprire loro le porte, il consorzio che aveva preso in mano dal Comune la struttura, composto anche da soggetti denunciati, ma per reati da colletti bianchi: fatture false, evasione fiscale, eccetera. Uno schema a suo modo classico: i lumbard dai conti disinvolti incontrano i calabresi con soldi da investire. Ed è subito business.
Che in piazzale Lagosta, dopo l'inaugurazione in gran spolvero, non tutto andasse per il verso giusto se ne era accorto anche il vostro cronista qualche settimana fa: banconi semivuoti, personale distratto, un'aria generale di mezzo abbandono. Ora le intercettazioni della Guardia di finanza, messe agli atti della retata di ieri, raccontano quel che già si sapeva: che quando entrano i soldi sporchi l'efficienza, la qualità del servizio, sono l'ultimo degli interessi da tutelare. C'è lo sfogo significativo di uno dei prestanome contro Agostino Cappellaccio (sul personaggio torneremo tra poco), l'uomo che controllava gli stand per conto del clan Piromalli di Gioia Tauro, e che ha appena fatto una scenata per come è gestito lo stand Pescarius: «È arrivato e mi fa 'come mai non c'è niente sul banco??', e io 'il pesce è qua, Agostino, cosa vuoi? Salmone, spada, branzino, orata... domani è lunedì, cosa faccio, carico? Che poi dopo mi scassi la minchia e mi dici cos'è tutta sta roba, non la vendiamo, butto via i soldi. 'Deciditi frà', fai pace col cervello».
Coinvolgimento nei locali della movida milanese
Agostino Cappellaccio, uno degli arrestati e considerato il "rappresentante a Milano" dei Piromalli di Gioia Tauro, avrebbe acquisito la proprietà effettiva di alcuni di questi esercizi commerciali situati all'interno del Mercato comunale Isola.
È quanto emerge dal decreto di sequestro delle società riconducibili al presunto intermediario del gruppo criminale guidato da Giacobbe Salvatori, che ha portato le autorità a chiudere quattro locali: La Masseria, una bottega di prodotti alimentari; Granum, una pizzeria d'asporto; la pescheria Piscarius e il Beats Bar di via Borsieri, a un passo dallo storico Blue Note.
L'intercettazione “Faremo diventare qui la terra dei fuochi”
Lui, Agostino Cappellaccio detto il Ciccione, nato nel dicembre 1985 a Gioia Tauro, nel regno dei Piromalli, è da anni un navigatore delle sere milanesi e delle notti di Formentera e Ibiza. Nel capoluogo lombardo controllava il chiassoso locale che il Comune (sempre lui) ospitava nella vecchia palazzina dell'Atm sui bastioni di Porta Volta, andato incontro anch'esso a un malinconico degrado. Nel corso del tempo si era impadronito per conto dei clan (secondo la Procura milanese) di ristoranti in via Parini, in via Fiamma, in corso Como, in via Galilei. Schema classico, anche qui: si entra con una quota di minoranza, si porta denaro fresco, si presta, si pretende, si riduce il vecchio proprietario a una testa di legno. Il superiore diretto di Cappellaccio, anello di congiunzione col padrino Mommuccio Piromalli, era Salvatore Giacobbe, grado di "Vangelo" nella gerarchia 'ndranghetista: secondo quanto riporta oggi il Corriere della sera, nel ristorante "Terraferma" di via Melchiorre Gioia, "poteva vantare un trattamento privilegiato rispetto alla clientela ordinaria". Quando entrava il "Vangelo", era come se venisse steso un tappeto rosso.
Da ieri Cappellaccio, Giacobbe e altri compari sono agli arresti per associazione a delinquere di stampo mafioso: stavolta la crema catalana gli è andata di traverso. Su quale sarà la sorte dei colletti bianchi che hanno aperto loro le porte del mercato comunale, gli inquirenti non rispondono.