L'impegno contro il caporalato
Tra le linee programmatiche del ministro Teresa Bellanova, la lotta al caporalato rappresenta un'azione da intraprendere con forza, su un doppio binario che favorisce le produzioni agroalimentari di qualità e al contempo restituisce dignità e valore al lavoro agricolo. L'auspicio è che le buone intenzioni possano tradursi in impegno istituzionale sistematico. Ma sul territorio italiano già operano realtà che investono su filiere controllate e trasparenti, combattendo sul campo lo sfruttamento dei braccianti ed educando chi compra a un consumo consapevole ed etico. In mezzo c'è la catena della grande distribuzione, che troppo spesso complica le cose, in nome della convenienza economica. E infatti, nonostante gli sforzi, la piaga del caporalato interessa in modo diffuso il comparto agricolo nazionale, da Nord a Sud dell'Italia (anche se i casi che fanno più clamore sono concentrati nel Meridione, e alimentano le condizioni disumane dei ghetti tristemente noti). Negli ultimi anni l'impegno delle associazioni e delle cooperative sociali che operano nelle regioni agricole si è concentrato in particolar modo sulla filiera di coltivazione e lavorazione del pomodoro. Iniziando da Funky Tomato, apripista (dal 2015) nel divulgare, con una strategia di comunicazione accattivante (ed etichette bellissime), l'alternativa possibile (più recente, invece, è l'esperienza di Assay).
No Cap e la passata di pomodoro etica
No Cap è un'operazione analoga, avviata da Yvan Sagnet: originario del Camerun, in Italia dal 2007, Sagnet è testimone diretto della tragica rivolta di Nardò, che avvia l'iter legislativo poi concretizzatosi nella prima legge sul caporalato (148/2011), aggiornata dal disegno di legge 2217. All'associazione fondata da Sagnet si deve la produzione della passata di pomodoro No Cap, prodotta nella Capitanata, ma anche il confezionamento di prodotti ortofrutticoli freschi nel Metapontino, e la coltivazione di diverse varietà di pomodoro nel Ragusano. Tutto in applicazione dei contratti collettivi del lavoro, e in osservanza di un decalogo che spazia dal rispetto per il lavoro umano alla sostenibilità ambientale, alla valorizzazione della trasformazione del prodotto, con processi ad alto valore aggiunto. Tutto questo si traduce in un bollino etico, che mette in fila sei mani, una per ogni criterio di valutazione, con tante dita aperte quanto è soddisfacente lo standard garantito dall'azienda che richiede la certificazione. Circa una ventina le aziende coinvolte e un centinaio i braccianti extracomunitari selezionati principalmente all’interno di ghetti e baraccopoli delle tre regioni, sottratti alla malavita e al ricatto dei caporali.
Good land e l'alleanza con No Cap
A settembre scorso, il primo importante traguardo: l'accordo con il gruppo di distribuzione Megamark di Trani, per la commercializzazione della passata di pomodoro No Cap marchiata Iamme. Ora un altro passo avanti, grazie all'interessamento di Lucio Cavazzoni, che in passato è stato tra i fondatori di Alce Nero, e ora si (ri)mette alla guida di una startup, la Good land, impegnata per promuovere le filiere agroalimentari sane, e dunque, anche le associazioni che lottano contro lo sfruttamento del lavoro. Come No Cap. “Vogliamo essere avamposto di un nuovo modello di impresa che unisce nella sua missione il proprio core business insieme alla protezione e alla riparazione, alla rigenerazione a partire dal proprio territorio” ha spiegato Cavazzoni al Corriere di Bologna. In collaborazione con l'associazione di Sagnet, Good land (che nel frattempo lavora sull'Appennino emiliano sul latte di pascolo da fieno, con alcuni piccoli produttori) sosterrà il Gruppo Megamark nella distribuzione sul mercato della passata di pomodoro realizzata nella Capitanata dai braccianti agricoli strappati al caporalato, già in vendita sugli scaffali dei 500 supermercati del gruppo, presente soprattutto al Sud.
a cura di Livia Montagnoli